Fattispecie applicative della misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e esigenze di cautela della vittima

02 Settembre 2015

L'art. 282-ter c.p.p. ha assunto una dimensione articolata in più fattispecie applicative, graduate in base alle esigenze di cautela del caso concreto; è compito del giudice del merito, pertanto, stabilire, in base alle concrete connotazioni assunte dalla condotta invasiva dell'agente, se questi debba tenersi lontano da luoghi determinati – in questo caso da indicare specificamente – ovvero se debba tenersi lontano, puramente e semplicemente, dalla persona offesa; e se una siffatta prescrizione debba essere accompagnata dal divieto di comunicare, anche con mezzi tecnici, con quest'ultima.
Massima

L'

art. 282

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ter

c.p.p.

ha assunto una dimensione articolata in più fattispecie applicative, graduate in base alle esigenze di cautela del caso concreto; è compito del giudice del merito, pertanto, stabilire, in base alle concrete connotazioni assunte dalla condotta invasiva dell'agente, se questi debba tenersi lontano da luoghi determinati – in questo caso da indicare specificamente – ovvero se debba tenersi lontano, puramente e semplicemente, dalla persona offesa; e se una siffatta prescrizione debba essere accompagnata dal divieto di comunicare, anche con mezzi tecnici, con quest'ultima.

Il caso

Il giudice per le indagini preliminari applicava a Tizio, indagato per il reato di stalking, lesioni personali e violazione di domicilio ai danni della ex compagna, la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nonché a due comuni. La misura veniva confermata anche dal tribunale del riesame, il quale riteneva sussistente il quadro di gravità indiziaria sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa che aveva riferito di una serie continuativa di atti molesti, costituiti da messaggi e telefonate ingiuriose e minacciose, di pedinamenti ed appostamenti, nonché di una aggressione fisica posta in essere alla presenza di numerosi testimoni.

Avverso tale ordinanza Tizio ha proposto ricorso per cassazione, articolato in diversi motivi. In particolare, con l'unico motivo ritenuto fondato, Tizio si duole dell'indeterminatezza della misura applicatagli.

In motivazione:

“Com'è noto, l'art. 282-ter c.p.p. – introdotto dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. con mod. dalla l. 23 aprile 2009, n. 38 – ha tipizzato una nuova figura di misura cautelare al fine di contrastare, prevalentemente, il fenomeno degli atti persecutori, costituito dal divieto di avvicinamento dell'imputato o dell'indagato" a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa", nonché dall'imposizione dell'obbligo di "mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa".

È vivo nella giurisprudenza di questa Corte – ma non contraddittorio – il dibattito sui caratteri che devono avere le misure suddette, affinché le esigenze di cautela sottese alla norma siano conciliabili con i diritti e le necessità della persona cui le misure sono imposte, sotto un duplice profilo:

a) quello di determinare una compressione della libertà di movimento dell'onerato nella misura strettamente necessaria alla tutela della vittima;

b) quella di assicurare una sufficiente determinatezza della misura, affinché sia ben chiaro all'obbligato quali comportamenti deve tenere e sia eseguibile il controllo sulla corretta osservanza delle prescrizioni a lui imposte. È compito del giudice, pertanto, riempire la misura di contenuti adeguati agli obbiettivi da raggiungere e rendere la misura sufficientemente determinata, per evitare elusioni o problematiche applicative. Ritiene il collegio che una interpretazione letterale della norma consenta di superare le difficoltà applicative create da una misura che, nello spirito della legge, deve essere "calibrata" sulla situazione di fatto che si vuole tutelare in via cautelare. Ebbene, l'art. 282-ter prevede – innanzitutto – il divieto di avvicinamento "a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa" e l'obbligo di "mantenere una determinata distanza da tali luoghi", al fine – evidente – di assicurare alla vittima uno spazio fisico libero dalla presenza del soggetto che si è reso autore di reati in suo danno.

Alla luce di tali criteri va ritenuta eccessivamente generica la misura applicata a Tizio, allorché prescrive a quest'ultimo di non avvicinarsi "ai luoghi frequentati da… (persona offesa)", in quanto i luoghi – intesi come porzioni di territorio della Repubblica – vanno specificamente individuati, con conseguente annullamento dell'ordinanza. Sarà compito del giudice di rinvio accertare se, oltre ai comuni di […] e […], vi siano altri "luoghi" che, per le esigenze di tutela dalla vittima, vanno interdetti al prevenuto, ferma la possibilità di applicare a quest'ultimo un generale divieto di avvicinamento alla ex compagna.”

La questione

La questione in esame è la seguente: è sufficientemente determinata la misura cautelare che imponga all'indagato il divieto di avvicinamento “ai luoghi frequentati dalla persona offesa” senza che questi vengano specificatamente individuati?

Le soluzioni giuridiche

Al fine di garantire alla vittima che l'autore di reati a suo danno non invada il proprio spazio fisico, l'art. 282-ter, comma 1, c.p.p. prevede che il giudice possa prescrivere all'indagato il divieto di avvicinamento "a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa".

La norma ricalca l'analoga previsione contenuta nell'art. 282-bis c.p.p., introdotto dalla l. 4 aprile 2001, n. 154, secondo cui il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può ordinare all'imputato o all'indagato, oltre che di lasciare immediatamente la casa familiare, "di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti".

Per entrambe le misure spetterà al giudice riempire la prescrizione di un contenuto determinato: quello della individuazione specifica di tali luoghi e ciò sia al fine di contenere le limitazioni imposte all'indagato nei limiti strettamente necessari alla tutela della vittima sia di assicurare a quest'ultima la certezza di uno spazio libero dalla presenza dell'indagato.

L'indagato, non sempre conosce tutti i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa (peraltro normalmente destinati a variare a seconda delle esigenze e delle abitudini della persona) ed ha il diritto di sapere quale comportamento assumere al fine di non violare la misura impostagli (art. 276 c.p.p.).

Al fine di evitare elusioni o problematiche applicative della misura, nonché per garantire il minimo sacrifico possibile alla libertà di movimento dell'indagato (art. 13 Cost.), la sentenza in commento recepisce il concorde orientamento della giurisprudenza di legittimità nel ritenere, quindi, che un provvedimento che faccia generico riferimento ai "luoghi frequentati dalla persona offesa", oltre a "non rispettare il contenuto legale, appare strutturato in maniera del tutto generica, imponendo una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finisce per essere di fatto rimessa alla persona offesa" (Cass. pen., Sez. VI, 7 aprile 2011, n. 26819. In senso conforme, Cass. pen. Sez. V, 4 aprile 2013, n. 27798).

Osservazioni

L'applicazione della misura del divieto di avvicinamento ai luoghi, specificatamente determinati ed individuati, frequentati dalla persona offesa sarà utile e necessaria in tutti quei casi in cui le modalità della condotta criminosa non manifestino un campo d'azione che esuli dai luoghi nei quali la vittima trascorra una parte apprezzabile del proprio tempo o costituiscano punti di riferimento della propria quotidianità di vita, quali quelli indicati dall'art. 282-bis c.p.p., (luogo di lavoro o di domicilio della famiglia di provenienza).

Spesso, tuttavia, nel reato di stalking, la condotta oggetto della temuta reiterazione assume i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi. Per questo motivo l'art. 282-ter prevede la possibilità di individuare la stessa persona offesa, e non i luoghi da essa frequentati, come riferimento centrale del divieto di avvicinamento. L'individuazione dei luoghi di abituale frequentazione della vittima, in tal caso, non sarebbe sufficiente a garantire le esigenze di tutela della stessa e comporterebbe un'inammissibile limitazione del libero svolgimento della sua vita sociale, che viceversa costituisce precipuo oggetto di tutela della norma. La persona offesa si vedrebbe, infatti, costretta a contenere la propria libertà di movimento nell'ambito dei luoghi indicati ovvero ad essere esposta, esorbitando dagli stessi, a quella condizione di pericolo per la propria incolumità che si presuppone essere stato riconosciuta sussistente anche al di fuori del perimetro della ricorrente frequentazione della persona offesa (Cass. pen., 16 gennaio 2012, n. 13568).

Al fine di ottenere l'emissione di una misura cautelare efficace rispetto alle esigenze del caso concreto, sarà, pertanto utile che, all'atto della presentazione della querela, la persona offesa ne faccia richiesta, fornendo al pubblico ministero più informazioni possibili in merito alle proprie esigenze di tutela, specificando dettagliatamente, sia le condotte poste in essere dal molestatore, sia i luoghi in cui la stessa subisca illegittime incursioni e limitazioni della propria vita privata e sociale.

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