L'incompatibilità del giudice non è causa di nullità

02 Ottobre 2015

L'incompatibilità ex art. 34, c.p.p. non attiene alla capacità del giudice e non determina, pertanto, la nullità del provvedimento ex artt. 178 e 179, c.p.p., ma costituisce soltanto motivo di possibile astensione ovvero di ricusazione dello stesso giudice, che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all'art. 37 c.p.p.
Massima

L'incompatibilità ex art. 34, c.p.p. non attiene alla capacità del giudice e non determina, pertanto, la nullità del provvedimento ex artt. 178 e 179, c.p.p., ma costituisce soltanto motivo di possibile astensione ovvero di ricusazione dello stesso giudice, che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all'art. 37 c.p.p.

Il caso

Il ricorrente proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d'appello di Ancona, con la quale, previa assoluzione per uno dei capi di imputazione, veniva ridotta la pena applicata in primo grado dal Tribunale di Fermo.

Tra motivi di ricorso, si segnala quello relativo alla nullità della sentenza di secondo grado ai sensi dell'art. 34 c.p.p. per avere un componente del collegio in appello concorso a pronunciare la sentenza di primo grado.

La questione

Un tema che sovente si pone in concreto all'interprete, tenuto conto dei tempi di processi e dei numerosi trasferimenti dei magistrati dovuti anche ai termini massimi di permanenza in un determinato ruolo previsto dall'ordinamento giudiziario, è quello della eventuale partecipazione di un giudice ad altra fase o grado del giudizio in violazione dell'art. 34 c.p.p.

La questione rimanda immediatamente al problema dell'incompatibilità e dei suoi rapporti con la capacità del giudice.

Ora, è noto che le incompatibilità costituiscono un sistema articolato, mirante a scongiurare che la funzione giurisdizionale sia esercitata da un giudice che, pur astrattamente capace, versi in talune situazioni tipizzate tali da incrinarne l'imparzialità in concreto o la propria immagine concreta di soggetto imparziale.

Parte della dottrina (Dell'Anno, Giudice (Capacità del), in Digesto pen., Torino, 2013, 80 ss.) ritiene che le norme in tema di incompatibilità rilevino anche in termini di requisiti di capacità del giudice valutata in concreto. La capacità del giudice dovrebbe dunque essere accertata non solo in astratto, ma anche in concreto, con riguardo alle condizioni di indipendenza e di imparzialità dell'organo giudicante. Si richiamano, in particolare, le ipotesi, in cui il giudice, versando in situazione di incompatibilità ha l'obbligo di non esercitare la sua funzione giurisdizionale (astensione) e, contestualmente, le parti hanno diritto di chiederne l'estromissione (ricusazione).

Senonchè, la giurisprudenza (Cass. pen., Sez. II, n. 12896/2015; Cass. pen., Sez. V, n. 13593/2010) maggioritaria nega la categoria dell'incapacità in concreto: invero, le cause di incompatibilità convergono e si risolvono, in chiave processuale, nei meccanismi dell'astensione e della ricusazione dello judex suspectus trattandosi di materie regolate da normative distinte e autonome; conseguentemente, devono essere fatte valere tempestivamente con la procedura di cui all'art. 37 c.p.p.

Le soluzioni giuridiche

In ossequio all'orientamento consolidato della suprema Corte, è stato conclusivamente enunciato il seguente principio di diritto:

L'incompatibilità ex art. 34, c.p.p. non attiene alla capacità del giudice e non determina, pertanto, la nullità del provvedimento ex artt. 178 e 179, c.p.p., ma costituisce soltanto motivo di possibile astensione ovvero di ricusazione dello stesso giudice, che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all'art. 37 c.p.p..

Osservazione

La sentenza in esame ribadisce la linea argomentativa espressa dalla suprema Corte secondo cui le cause di incompatibilità sono da escludere dalle condizioni di capacità del giudice, sul presupposto, che le prime non attengono ai requisiti prescritti per l'esercizio della funzione giurisdizionale e non sono, quindi, colpite dalla sanzione della nullità ex art. 178, lett. a), potendo giustificare unicamente la dichiarazione di astensione o di ricusazione e rendere inefficaci gli atti compiuti ex art. 42, comma 2, in caso di accoglimento dell'istanza. Sicché, esclusa la sanzione della nullità degli atti compiuti dal giudice incompatibile, operano in tal caso i congegni previsti dagli artt. 36 ss. c.p.p., con le rispettive cadenze temporali di attivazione. Ciò significa, in altri termini, che, correlandosi la nullità assoluta determinata dalla violazione delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice, soltanto ai difetti di capacità generica all'esercizio della funzione giurisdizionale, conseguentemente, le situazioni di incompatibilità, non privano il giudice della capacità generale di giudicare ma incidono soltanto sulla capacità specifica e, pertanto, costituiscono motivi di astensione e di ricusazione.

Non è stata dunque accolta l'interessante impostazione dottrinale (Dell'Anno, Giudice (Capacità del), in Digesto pen., Torino, 2013, 80 ss.) secondo cui le situazioni di incompatibilità integrano un difetto di capacità del giudice, sanzionabile con la nullità ex art. 178, comma 1, lett. a), poiché riguardano le condizioni di imparzialità e indipendenza del giudice che costituiscono l'essenza stessa della sua fisionomia, posto che il giudice è tale solo in quanto rigorosamente imparziale e indipendente. Tale tesi risulterebbe ulteriormente avallata dal rilievo secondo cui sarebbe gravemente contraddittorio un sistema processuale che da un lato, fissa un termine perentorio per la ricusazione del giudice che si trova in una situazione di incompatibilità e, dall'altro, non consenta di ottenere in ogni stato e grado del processo penale, la declaratoria di nullità conseguente all'incompatibilità stessa. In altri termini, l'art. 33 c.p.p. sarebbe norma di “stretta interpretazione” nella parte in cui indica ciò che non incide sulla capacità del giudice, di talché, non essendovi richiamate le ipotesi di incompatibilità rimane per ciò stesso escluso che le situazioni di mancata astensione possano non considerarsi attinenti alla capacità del giudice.

Si tratta in ogni caso, come osservato in dottrina (Dell'Anno, Giudice (Capacità del), in Digesto pen., Torino, 2013, 80 ss.), di una questione, la cui soluzione non può oggi prescindere dalla opportuna considerazione dei principi del “giusto processo'' proclamanti dal nuovo testo dell'art. 111 Cost. ed il cui presidio è garantito dai principi di terzietà ed imparzialità del giudice, capaci di offrire ulteriori chiavi interpretative e rafforzative dell'assunto. Si evidenzia altresì che sembra logico ritenere che il divieto posto al giudice di compiere certi atti, ancorché divieto processuale e non ordinamentale, incida sulla capacità del giudice sospetto di parzialità, con la conseguente classificazione degli atti eventualmente compiuti in violazione del divieto impostogli nella sfera della nullità assoluta ai sensi dell'art. 178, lett. a), e 179.

A supporto dell'impostazione che colloca il tema della capacità del giudice nella materia delle incompatibilità, si richiama anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che considera l'incompatibilità, anche solo oggettivamente apparente, come prova della carenza di imparzialità del giudice, conseguentemente determinante un vizio essenziale della sua capacità, che può farsi valere non solo oltre i termini di decadenza previsti dalla normativa interna, ma anche dopo la formazione del giudicato (Corte Edu, 27 gennaio 2011, Krivoshapkin c. Russia; Corte Edu, 22 aprile 2004, Cianetti c. Italia; Corte Edu, 28 gennaio 2003, Dell'Utri c. Italia). Del resto, per come noto, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha da tempo elaborato sul punto il principio di imparzialità oggettiva, secondo cui “il giudice deve non solo essere imparziale, ma anche apparire tale” (Corte Edu, 27 gennaio 2011, Krivoshapkin c. Russia; Corte Edu, 22 aprile 2004, Cianetti c. Italia; Corte Edu, 28 gennaio 2003, Dell'Utri c. Italia). La Corte europea ha anche ribadito, in più occasioni, che è fondamentale che i tribunali di una società democratica siano dotati dei requisiti di imparzialità ed indipendenza (esterna ed interna) (Corte Edu, 28 gennaio 2003, Dell'Utri c. Italia). In particolare, la garanzia dell'indipendenza esterna dei giudici non è una prerogativa o un privilegio accordati nel loro interesse personale ma nell'interesse dello Stato di diritto e di ogni persona, che richieda e attenda una giustizia imparziale. L'indipendenza dei giudici deve cioè essere considerata una garanzia di libertà, di rispetto dei diritti dell'uomo e dell'applicazione imparziale del diritto. L'imparzialità e l'indipendenza dei giudici, sono quindi essenziali per garantire la parità delle parti dinanzi ai tribunali. Il principio di indipendenza interna, invece, presuppone l'indipendenza del singolo giudice nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali. I giudici devono, conseguentemente, assumere le loro decisioni in modo indipendente ed imparziale e devono poter agire senza alcuna restrizione, influenza indebita, pressione, minaccia o interferenza, dirette o indirette, da parte di qualsiasi autorità, comprese le stesse autorità interne alla magistratura. L'organizzazione gerarchica dei tribunali non deve cioè compromettere l'indipendenza del singolo giudice. Ulteriormente approfondendo il tema, recentemente, la medesima Corte (Corte Edu, 27 gennaio 2011, Krivoshapkin c. Russia) ha fornito un quadro ancor più completo circa la sua concezione di imparzialità, peculiarmente valorizzando i requisiti della imparzialità soggettiva e di quella oggettiva. Sotto il primo profilo, nessun componente del tribunale deve avere pregiudizi personali verso gli imputati. Tale imparzialità personale si presume salvo prova contraria. L'imparzialità oggettiva consiste, invece, nell'escludere ogni legittimo dubbio, anche apparente e non dipendente dalla condotta personale dei giudici. L'imparzialità, inoltre, viene declinata sotto il profilo della necessità che il giudice sia precostituito per legge. La Corte richiama cioè, arricchendolo, il già evocato modello di imparzialità, inteso in senso soggettivo ed oggettivo, e che, alla stregua di pronunce maggiormente datate, era stato definito come assenza di pregiudizi o preconcetti.

In definitiva, vale la pena di considerare con maggiore impegno esplicativo l'orientamento (Dell'Anno, Giudice (Capacità del), in Digesto pen., Torino, 2013, 80 ss.) secondo cui anche le norme convenzionali e pattizie - avendo specifico riguardo alla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, enucleati i caratteri minimi della giurisdizione, individuati nella naturalità, terzietà ed imparzialità del giudice - statuiscono che l'assenza di situazioni di incompatibilità rileva come requisito attinente alla capacità generica dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali.

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