Attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa non costituita parte civile

02 Dicembre 2016

Le regole dettate dall'articolo 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone ...
Massima

Le regole dettate dall'articolo 192, comma 3, c.p.p., non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone; inoltre, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi.

Il caso

La Corte d'appello di Torino con sentenza del 20 novembre 2014, confermava la pronuncia emessa dal tribunale di Cuneo, in composizione monocratica, in data 11 ottobre 2013 che aveva condannato l'imputato alla pena di mesi sette di reclusione ed euro 400,00 di multa per il reato di truffa aggravata.

Secondo l'accusa, l'imputato agendo in qualità di avvocato, con artifizi o raggiri consistiti nell'assicurare in più occasioni la persona offesa che la cartella esattoriale notificata dalla S.P.A. era stata impugnata e cautelarmente sospesa, circostanza risultata falsa giacché l'impugnazione non era mai stata effettuata, induceva in errore la persona offesa che, confidando nel buon esito della controversia, consegnava mediante un assegno la somma di euro 6.500,00 procurandosi in tal modo un ingiusto profitto con pari danno della stessa persona offesa; fatto aggravato perché commesso con abuso di prestazione d'opera. Avverso la sentenza nell'interesse dell'imputato la difesa proponeva ricorso per Cassazione rilevando i seguenti vizi di legittimità:

  • violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all'individuazione dell'elemento oggettivo del reato di truffa;
  • vizio di motivazione per violazione dei criteri legali di valutazione della prova a discarico;
  • violazione di legge con riferimento al principio di correlazione fra l'imputazione contestata e la sentenza;
  • vizio di motivazione per mancanza e contraddittorietà in ordine alla valutazione dell'attendibilità' della persona offesa.

La Corte di cassazione rigettava il ricorso ritenendolo inammissibile perché manifestamente infondato.

La questione

In relazione al primo motivo di doglianza si evidenzia come integri il reato di truffa contrattuale la condotta del professionista che, tramite artifizi e raggiri, nasconde una propria inadempienza al cliente ovvero non rappresenti allo stesso che non è possibile avere una tutela legale per la decadenza del diritto. (cfr., Cass. pen., Sez. II, 11 novembre 2014, n. 49472). In merito al secondo motivo, si evidenzia come il giudice di merito abbia riconosciuto, senza incorrere in alcun tipo di vizio logico-giuridico, la sostanziale irrilevanza della c.d. prova a discarico. In riferimento al terzo motivo, si evidenzia come, essendo il principio di correlazione tra contestazione e sentenza rispondente all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto inteso come episodio della vita umana – diverso rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Cass. pen., Sez. I, 18 giugno 2013, n. 35574), la violazione di tale principio sia ravvisabile solo quando il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneità, nel senso che risultano variati o trasformati gli elementi costitutivi dell'ipotesi di reato descritta nel capo d'imputazione, e non già allorquando – come nella fattispecie – gli elementi essenziali che caratterizzano la qualificazione giuridica del fatto siano rimasti invariati e ad essi risultino aggiunti ulteriori particolari del fatto, in merito ai quali l'imputato ha comunque avuto modo di difendersi (Cass. pen., Sez. VI, 20 febbraio 2003, n. 34051).

In tema di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, quarto motivo di doglianza della difesa, si evidenzia come la Cassazione condivida la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale le regole dettate dall'articolo 192, comma 3, c.p.p., non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone; inoltre, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Cass. pen., Sez. unite, 19 luglio 2012, n. 41461; Cass. pen., Sez. II, 24 settembre 2015, n. 43278). Dette conclusioni appaiono tanto più giustificate se – come nella fattispecie – la persona offesa non si sia costituita parte civile, dal momento che, in tal caso, il valore delle dichiarazioni rese non subisce alcuna attenuazione, essendo il proprio coinvolgimento nel fatto assai più sfumato e potendosi parificare detta posizione a quella di qualunque altro dichiarante non coinvolto nel fatto a ragione della totale assenza di interessi di carattere patrimoniale. Peraltro, quand'anche si volesse ritenere che anche la persona offesa non costituita parte civile debba soggiacere ad un controllo di attendibilità particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi, è altrettanto vero che la giurisprudenza di legittimità, anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l'attendibilità estrinseca della testimonianza dell'offeso attraverso la individuazione di precisi riscontri, si esprime in termini di opportunità e non di necessità, lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto. In tal senso, le Sezioni unite hanno infatti affermato che può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato (conformi, Cass. pen., Sez. I, 24 giugno 2010, n. 29372; Cass. pen., Sez. VI, 3 giugno 2004, n. 33162). Peraltro, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo la quale la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, 14 aprile 2008, n. 27322; Cass. pen., Sez. III, 22 gennaio 2008, n. 8382; Cass. pen., Sez. VI, 4 novembre 2004, n. 443; Cass. pen., Sez. III, 13 novembre 2003, n. 3348; Cass. pen., Sez. III, 27 marzo 2003, n. 22848 del 27 marzo 2003).

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione, con sentenza n. 25680 del 21 giugno 2016, ha condiviso l'orientamento della consolidata giurisprudenza di legittimità, sottolineando l'attendibilità della dichiarazione resa in giudizio dalla persona offesa che non si sia costituita parte civile. A tal proposito si può sostenere come le affermazioni della persona offesa che non si sia costituita parte civile, hanno un valore più limpido alla luce del fatto che il coinvolgimento, della stessa, nella fattispecie concreta risulta molto più sfumato: pertanto le sue dichiarazioni si possono paragonare a quelle di qualsiasi altro soggetto, non coinvolto nel fatto, a ragione della totale assenza di interessi di carattere patrimoniale. È pur sempre richiesta al giudice un'attenta e specifica valutazione della reale attendibilità del soggetto.

Osservazioni

La Corte di cassazione attraverso un orientamento ormai consolidato ribadisce come le dichiarazioni della vittima di un reato possono essere assunte anche da sole come fonte di prova per la condanna dell'imputato ove sottoposte ad un vaglio positivo di credibilità oggettiva e soggettiva: tale controllo, considerato l'interesse di cui la persona offesa è naturalmente portatrice ed al fine di escludere che ciò possa comportare una qualsiasi interferenza sulla genuinità della deposizione testimoniale, deve però essere condotto con la necessaria cautela, attraverso un esame particolarmente rigoroso e penetrante, che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti. Ciò premesso, l'individuazione di un criterio valutativo non può che risentire delle particolarità del caso concreto. Ebbene in numerose pronunce della suprema Corte (Cass. pen., Sez. III, n. 11829/1999; Cass. pen., Sez. I, n. 6502/1999) si è limitata a sottolineare la necessità di un più accurato ed approfondito esame della credibilità oggettiva e soggettiva del dichiarante, senza peraltro richiedere l'apprezzamento, come nelle dichiarazioni di coimputati o coindagati in processi connessi o collegati, di riscontri esterni, il ricorso ai quali deve ritenersi pertanto meramente eventuale. Ne consegue che in linea di principio l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato può fondarsi anche sulla sola deposizione della persona offesa. Altre decisioni della Suprema Corte invece appaiono maggiormente sensibili all'esigenza di sottoporre a verifica dettagliata le dichiarazioni del testimone persona offesa, in considerazione dell'interesse accusatorio inevitabilmente connaturato in colui che è portatore di un interesse contrastante a quello dell'imputato, questo rende la deposizione della persona offesa non immune da sospetto a differenza di quella del teste, indifferente all'esito del processo, che può essere disattesa unicamente quando esistano elementi positivi e non mere congetture atti a far ritenere plausibile che essa sia mendace. Secondo la Cassazione Sezione sez II n. 6477 del 1997, la deposizione della persona offesa dal reato non è immune da sospetto perché portatrice di interessi in posizione di antagonismo con quella dell'imputato. In tale prospettiva si ribadisce l'inapplicabilità delle regole di cui all'articolo 192 commi 3 e 4 del codice di procedura penale ma, si qualifica opportuno il riscontro delle dichiarazioni con altri elementi probatori. Viene comunque esclusa la necessità di riscontri esterni nei casi di insussistenza di situazioni che inducano a dubitare dell'attendibilità del dichiarante, in tale senso la Suprema Corte ha poi affermato che per la credibilità soggettiva ed oggettiva occorre analizzare da un lato, la personalità, le qualità della persona, il suo atteggiamento verso il prossimo, le sue esperienze, le sue condizioni di vita; dall'altro, deve aversi riguardo alla precisione, alla coerenza interna ed alla ragionevolezza delle dichiarazioni della persona offesa individuando, alla stregua delle personalità e dei motivi che lo hanno indotto ad accusare l'imputato, il grado di interesse all'accusa, tenendo presente se riferisce su fatti direttamente percepiti o de relato ed accertando se sussistano o non sussistono elementi di prova, di qualsiasi natura o valenza, che la smentiscono o la confermino. Perfino lo stato di ritardo mentale della persona offesa e il conseguente riconoscimento dell'aggravante di cui all'articolo 61 n. 5 c.p., non esclude che alla testimonianza della medesima sia attribuito pieno valore probatorio sempre che il giudice abbia accertato, dandone motivazione, il fatto che la deposizione non è stata influenzata dal deficit psichico (Cass. Pen. Sez. III n. 9734/99).

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