Imputazione coatta del Gip per un reato diverso da quello indicato nella richiesta di archiviazione

02 Dicembre 2016

La pronuncia in commento analizza la possibilità che il giudice per le indagini preliminari, investito di una richiesta di archiviazione, ordini al pubblico ministero ...
Massima

Sia nel caso in cui ritenga diverso il soggetto nei cui confronti andavano svolte le indagini, sia quando ritenga diverso il reato rispetto a quello per il quale è richiesta l'archiviazione, il giudice per le indagini preliminari deve limitarsi ad ordinare al pubblico ministero le relative iscrizioni nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. Con l'ordine di imputazione coatta il Gip finirebbe con il tracciare un percorso che di fatto espropria il P.M. del suo diritto/dovere di esercitare l'azione penale, privandolo della capacità di determinazione al riguardo.

L'anomalia strutturale che viene a realizzatasi nel procedimento attraverso l'esercizio da parte del Gip di poteri di surroga delle attribuzioni del P.M. integra pertanto la figura dell'atto abnorme, che deve essere annullato per ripristinare il corretto svolgimento del procedimento, attraverso le determinazioni che il P.M. vorrà assumere rispetto alle segnalazioni provenienti dal Gip.

Il caso

Un soggetto è iscritto nel registro delle notizie di reato per le fattispecie di cui agli artt. 337 (resistenza a pubblico ufficiale), 341-bis (oltraggio a pubblico ufficiale) e 582 (lesioni personali) c.p.

All'esito delle indagini preliminari il pubblico ministero presenta al Gip una richiesta di archiviazione. Il giudice investito della richiesta di archiviazione, non condividendo le determinazioni dell'organo inquirente dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero ordinando la formulazione dell'imputazione nel termine di dieci giorni. Tuttavia, accanto alle fattispecie originariamente contestate e per le quali vi era stata richiesta di archiviazione, il Gip ravvisa dagli atti anche l'ipotesi di cui all'art. 368 c.p. (calunnia) disponendo la formulazione dell'imputazione anche per questo titolo di reato.

La persona sottoposta ad indagini ricorre in cassazione avverso il provvedimento, deducendone l'abnormità sul presupposto che il giudice per le indagini preliminari avrebbe esercitato i poteri di cui all'art. 409, comma 5, c.p.p., rispetto ad una ipotesi di reato per la quale non vi era stata la previa iscrizione dell'indagato nel registro delle notizie di reato ad opera del P.M. Per effetto di ciò, nelle conclusioni del ricorrente, tale attività avrebbe espropriato il pubblico ministero di una propria esclusiva prerogativa costituzionalmente sancita dall'art. 112 Cost.

La questione

La pronuncia in commento analizza la possibilità che il giudice per le indagini preliminari, investito di una richiesta di archiviazione, ordini al pubblico ministero di formulare l'imputazione per un titolo di reato diverso da quello per il quale soggetto è stato iscritto nel registro delle notizie di reato. A ben vedere si tratta di una nuova pronuncia sui rapporti tra Gip e Pubblico Ministero che concerne specificamente i poteri di controllo del primo a fronte di una richiesta di archiviazione.

È senz'altro questo la principale questione analizzata anche se, incidentalmente la suprema Corte interviene sulla legittimazione dell'indagato a ricorrere per cassazione avverso un siffatto provvedimento.

In motivazione

[...] Deve in argomento ricordarsi quanto già statuito da questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ove ha chiarito che "in materia di procedimento di archiviazione, costituisce atto abnorme, in quanto esorbita dai poteri del Giudice per le indagini preliminari, sia l'ordine d'imputazione coatta emesso nei confronti di persona non indagata, sia quello emesso nei confronti dell'indagato per reati diversi da quelli per i quali il Pubblico Ministero aveva richiesto l'archiviazione (Sez. U, n. 4319 del 28/11/2013 dep. 30/01/2014, P.M. in proc. L. e altro, Rv. 257786).

Come chiarito nello stesso contesto in tali situazioni infatti il giudice per le indagini preliminari deve limitarsi ad ordinare le relative iscrizioni nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. e non tracciare con la sua decisione un percorso che finisce con l'espropriare il P.M. del suo diritto/dovere di esercitare l'azione penale, privandolo di capacità di determinazione al riguardo.

L'anomalia strutturale realizzatasi nel procedimento attraverso l'esercizio da parte del Gip di poteri di surroga delle attribuzioni del P.m. integra la figura dell'atto abnorme, che deve essere annullato per ripristinare il corretto svolgimento del procedimento, attraverso le determinazioni che il P.m. vorrà formulare rispetto alle segnalazioni provenienti dal Gip.

Incidentalmente, poi, si afferma che “(...)non appare possibile dubitare della legittimazione a proporre impugnazione dell'indagato, legittimazione contestata in altre decisioni di questa Corte in riferimento al provvedimento assunto in applicazione dell'art. 409 c.p.p., comma 5 in maniera illegittima (per tutte da ultimo Sez. 5, n. 6807 del 21/01/2015, DR e altro, Rv. 262688), sia per l'accertata ricorrenza di un atto abnorme, ipotesi chiaramente esclusa dalla valutazione sull'inammissibilità del ricorso contenuta nella decisione richiamata, sia soprattutto per la presenza dell'interesse diretto dell'indagato il quale, nel caso in cui il P.m. non ritenga di reagire con l'impugnazione, si troverebbe dinanzi all'intervenuto esercizio dell'azione penale, in mancanza della necessaria interlocuzione in contraddittorio prevista a garanzia dei diritti delle parti dall'art. 409 c.p.p., comma 2, così come efficacemente ribadito dalla Corte Costituzionale nell'ordinanza n. 286 del 2012 a conferma di precedenti decisioni della medesima autorità sul punto (ordinanze nn. 460/2002 e 491/2002 e n. 441/2004).

Le soluzioni giuridiche

La suprema Corte ha annullato il provvedimento limitatamente all'ordine di formulare l'imputazione anche per un fatto diverso ritenendolo un atto abnorme e disponendo la restituzione degli atti al pubblico ministero per l'ulteriore corso.

La questione affrontata ha visto per lungo tempo divisa la giurisprudenza e la dottrina. Secondo un primo orientamento, sostenuto autorevolmente anche in dottrina, in caso di procedimento camerale a seguito di richiesta di archiviazione, il giudice non è vincolato alla domanda del pubblico ministero disponendo in realtà di un potere più ampio che gli consente di valutare se gli esiti investigativi siano esaurienti. Alla stregua di ciò si è concluso per l'ammissibilità dell'ordine di formulare l'imputazione coatta per un fatto diverso quale naturale prerogativa del giudice per le indagini preliminari (in giurisprudenza cfr. Cass. pen., Sez. VI, 28 settembre 2012, n. 42508; Cass. pen.,Sez. VI, 20 gennaio 2010, n. 9005).

L'opposta ricostruzione, che qualifica come abnorme il provvedimento del Gip che imponga al P.M. la formulazione dell'imputazione coatta per un fatto diverso, si poggia invece sulla considerazione che una siffatta ordinanza finirebbe per costituire una indebita ingerenza nelle attribuzioni e nell'autonomia del pubblico ministero. Secondo tale insegnamento, al Gip è al massimo consentito ordinare l'iscrizione dell'indagato nel registro delle notizie di reato di cui all'art. 335 c.p.p. per il fatto diverso, ovvero l'iscrizione nel medesimo registro di un soggetto diverso (Cass. pen.,Sez. VI, 27 maggio 2009, n. 28481; Cass. pen.,Sez. V,16 febbraio 2012, n.12987).

La questione è stata poi decisa dalle Sezioni unite, che di fatto hanno confermato il secondo degli orientamenti riportati qualificando come abnorme l'imputazione coatta per un fatto diverso.

L'approdo delle Sezioni unite integralmente seguito nel provvedimento in commento, individua il fondamento giuridico dell'ordine di iscrizione coatta ex art. 335 c.p.p. nell'obbligo di denuncia gravante sul pubblico ufficiale ai sensi dell'art. 331 c.p.p. Entro questi limiti non vi è alcunaviolazione delle prerogative del pubblico ministero che, una volta iscritto l'indagato per il fatto diverso potrà procedere a tutte le indagini del caso all'esito delle quali determinarsi per l'archiviazione o per l'esercizio dell'azione penale.

Viceversa, l'ordine di imputazione coatta obbliga il pubblico ministero a contestare i fatti come emersi dalle indagini precludendogli l'assunzione di proprie determinazioni all'esito dell'attività di investigazione. Pertanto, si conclude, tale provvedimento rappresenta un atto abnorme in quantoper tale via il Gip finisce per esercitare un potere che l'ordinamento attribuisce al P.M. (Cass. pen., Sez. unite, 30 ottobre 2014, n. 4319).

Allineandosi all'insegnamento da ultimo ricordato, ancora una volta la sesta Sezione della Cassazione ribadisce che quando il Gip dispone la formulazione dell'imputazione coatta per un fatto diverso in realtà va al di là delle sue attribuzioni ed il relativo provvedimento è affetto da abnormità c.d. strutturale.

È appena il caso di sottolineare come solo attraverso la riconduzione dell'atto nella categoria dell'abnormità lo stesso divenga ricorribile in cassazione. È proprio cioè la qualificazione dell'imputazione coatta per fatto diverso come atto abnorme, a consentire il superamento della doppia tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.) e delle impugnazioni (art. 568 c.p.p.) e per tale via rendere ammissibile il ricorso in cassazione dell'indagato a cui, normalmente, sarebbe in questa fase precluso.

Osservazioni

Come è noto il Legislatore non ha codificato le ipotesi di abnormità dell'atto processuale che, pertanto, rappresenta una sanzione processuale di creazione giurisprudenziale che concerne tutte le ipotesi in cui vi sia un atto processuale che si presenti in termini del tutto estemporanei vuoi dal punto di visto strutturale, vuoi dal punto di vista funzionale.

A tal proposito, in una delle prime sentenze che trattò l'argomento sotto il vigore del precedente codice, se ne colse un aspetto centrale, laddove si precisò che: il ricorso in esame dovrebbe, a rigore, essere dichiarato inammissibile [...] tuttavia talmente evidente è l'illegalità della pronuncia impugnata [...] e l'opportunità che vi si ponga riparo in questa sede...", che la Corte ritenne in definitiva il ricorso ammissibile (Cass. pen., 18 febbraio 1938, Villari, in Giust. pen., 1938, 720).

In buona sostanza la tematica dell'abnormità è sorta e si è sviluppata soprattutto al fine di far rientrare nelle regole basilari dell'ordinamento processuale quei provvedimenti non tipizzati né tipizzabili, che siano però tali da creare disordine nel regolare svolgimento procedimentale.

Secondo la costante giurisprudenza, cui correttamente si conforma la sentenza in commento, sarebbe affetto da abnormità il provvedimento che per la singolarità e la stranezza del contenuto risulti avulso dall'intero ordinamento processuale; ovvero quello che, pur essendo manifestazione di un legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di la di ogni ragionevole limite, sì da determinare una stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo, ovvero un'inammissibile regressione dello stesso ad una fase ormai esaurita (Cass. pen., Sez. unite, 28 novembre 2013, n. 4319).

In altri termini, l'atto processuale è abnorme: sia quando per la sua singolarità si pone al di fuori del sistema organico della legge processuale (abnormità strutturale); sia quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (abnormità funzionale) (Cfr. Cass. pen., Sez. II, 21 ottobre 2014, n. 2484).

Il presupposto dunque della sentenza in commento è la sussunzione del provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari ordina al pubblico ministero di formulare l'imputazione per un fatto diverso rispetto a quello contenuto nella richiesta di archiviazione nella categoria della abnormità di tipo strutturale.

La questione affrontata nella sentenza in commento va però al di là del tema dell'abnormità, rappresentando un ulteriore importante tassello nella delimitazione dei rapporti tra giudice per le indagini preliminari e pubblico ministero rispetto ad una richiesta di archiviazione, in quanto involge il potere di controllo del primo a seguito di una richiesta di archiviazione del secondo.

È noto che a fronte di una richiesta di archiviazione l'apertura di un procedimento camerale rappresenti una mera evenienza che può verificarsi in due distinte circostanze: o il caso in cui il giudice per le indagini preliminari non concordi con la richiesta del P.M.; oppure quando la persona offesa si opponga alla richiesta di archiviazione. Indipendentemente dal modo in cui si è attivato il procedimento, identici sono i tre possibili esiti.

Il Gip potrà innanzitutto convincersi della bontà della originaria richiesta del P.M. ed in tal caso disporre la archiviazione del procedimento (questa volta con ordinanza). In secondo luogo potrà ritenere incomplete le indagini preliminari e conseguentemente ordinare al Pubblico Ministero lo svolgimento di nuove indagini ed il relativo termine, fissando una nuova udienza innanzi a sé per la valutazione delle stesse. Da ultimo potrà imporre al pubblico ministero la formulazione della imputazione nel termine di dieci giorni.

Proprio quest'ultimo tipo di provvedimento rappresenta senz'altro l'ipotesi più controversa e che richiede in questa sede alcune ulteriori precisazioni.

La situazione ordinaria, nella quale cioè il Gip ordini l'imputazione coatta per lo stesso fatto per il quale il P.M abbia richiesto l'archiviazione, già più volte attenzionata dalla Corte costituzionale è stata sempre ritenuta legittima in quanto in alcun modo inficiante la signoria del pubblico ministero rispetto all'esercizio dell'azione penale sacramentata dall'art. 112 Cost. (Corte cost., n. 88 del 1991; Corte cost., n. 478 del 1993; Corte cost., 348 del 2005 ed ancora Corte cost., 286 del 2012).

Certamente differente è la situazione che si verifica allorquando il Gip individui negli atti di indagine un fatto nuovo. In questo caso senz'altro dovrà rimettere gli atti il P.M. Affinché proceda alla nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato. Rispettata questa formalità il magistrato del pubblico ministero potrà svolgere tutte le indagini ritenute opportune all'esito delle quali assumere in perfetta autonomia le proprie determinazioni.

Mutatis mutandis, non dissimile deve essere la conclusione nel caso in cui dagli atti oggetto di indagini emerga la responsabilità di un soggetto diverso da quello iscritto nel registro delle notizie di reato. Proprio questa specifica ipotesi è stata in particolare affrontata e risolta dalle Sezioni unite in una nota sentenza (Cass. pen., Sez. unite, 31 maggio 2005, n. 22909).

Nella richiamata pronuncia si ritiene senza alcuna esitazione che il controllo del Gip si estenda a tutti gli atti procedimentali ma che egli non può prendere l'iniziativa di esercitare l'azione penale in nome e per conto del P.M.

La regola ordinaria per lo svolgimento delle indagini è la previa iscrizione di una persona nel registro delle notizie di reato (v. artt. 335 e 415, comma 2, c.p.p.): anche il potere di disporre la formulazione di imputazione, come previsto dall'art. 409, comma 5, c.p.p. presuppone che la persona nei confronti della quale deve essere elevato l'addebito sia stata iscritta nel detto registro per uno specifico titolo di reato.

L'imputazione coatta ordinata dal Gip nei confronti di soggetti non ancora iscritti nell'apposito registro, comporta il totale scavalcamento dei poteri di iniziativa del P.M. e deve pertanto considerarsi abnorme.

Analogamente, come compiutamente descritto nel paragrafo che precede, il provvedimento con cui il Gip dispone la formulazione dell'imputazione coatta per un fatto diverso è affetto da abnormità di tipo strutturale in quanto si pone al di là delle sue attribuzioni.

Viceversa non è certamente abnorme il provvedimento con cui si ordina l'iscrizione di un soggetto non indagato nel registro delle notizie di reato in quanto non esorbita dalle funzioni del Gip l'ordine che siano svolte nuove indagini, a più vasto raggio, sì da coinvolgere anche altre persone, oltre quelle già individuate dal P.M. In altri termini, all'esito di un tale provvedimento il procedimento torna nella iniziativa del P.M. il quale, nel seguire le indicazioni del Gip, potrà esercitare, nella sua autonoma determinazione, tutti i poteri a lui attribuiti dalla legge, primo fra tutti quello di adottare le determinazioni conseguenti all'esito delle indagini espletate.

In questo quadro, deve invece ritenersi abnorme il provvedimento che, disposta l'iscrizione coatta ex art. 335 c.p.p., fissi poi un'udienza in prosecuzione. Proprio in questa seconda parte –fissazione di un udienza in prosieguo- si determina infatti un imprevedibile e non previsto vincolo per il P.M. potenzialmente incidente sull'esercizio dell'azione penale a lui rimesso e sulle sue determinazioni.

In conclusione appare senz'altro condivisibile l'approdo della suprema Corte perché rispettoso delle prerogative del Pubblico Ministero ed al contempo non penalizzante per il Gip cui resta un ampio ventaglio di possibilità operative.

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