L’indagato alloglotta ha diritto alla traduzione degli atti anche se ha eletto domicilio presso il difensore

Redazione Scientifica
02 Dicembre 2016

L'elezione di domicilio presso il difensore non comporta la rinuncia dell'indagato alla traduzione degli atti nella propria lingua o la traslazione in capo al difensore di un obbligo che non può che far capo allo Stato.

L'elezione di domicilio presso il difensore non comporta la rinuncia dell'indagato alla traduzione degli atti nella propria lingua o la traslazione in capo al difensore di un obbligo che non può che far capo allo Stato.

Con tale principio di diritto la Cassazione penale, Sezione V, ha dichiarato infondato il ricorso proposto dal procuratore della Repubblica di Pordenone avverso l'ordinanza con cui il giudice monocratico del tribunale aveva dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio e dell'avviso di conclusione delle indagini in quanto non tradotti nella lingua dell'indagato.

Il procuratore sosteneva che in caso di elezione di domicilio presso il difensore, il cittadino alloglotta non avrebbe diritto alla traduzione degli atti elencati nell'art. 143, comma 2, c.p.p., in quanto, essendo unico destinatario dei medesimi il difensore , la redazione in lingua italiana sarebbe idonea e sufficiente a far comprendere all'avvocato i termini dell'accusa.

Di contrario avviso i giudici di legittimità, secondo i quali attenendo l'elezione di domicilio presso il difensore solo alle modalità di notificazione degli atti processuali, per effetto di essa, l'indagato alloglotta non rinuncia affatto alla lettura ed all'esame degli atti che lo riguardano, svolgendo tale elezione, soprattutto ove si tratti di individuo privo di recapiti stabili, la funzione opposta di garantirgli una più sicura conoscenza degli atti.

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