Il punto della Cassazione sull'omesso versamento di tributi

22 Agosto 2017

Il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, entrato in vigore in data 22 ottobre 2015, ha modificato gli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. 74 del 2000, nel senso di attribuire rilevanza penale, elevando il precedente limite, unicamente alle condotte di omesso versamento dell'imposta per un ammontare superiore, rispettivamente, a euro 150.000 per gli omessi versamenti di ritenute e ad euro 250.000 per gli omessi versamenti Iva ...
Massima

Il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, entrato in vigore in data 22 ottobre 2015, ha modificato gli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. 74 del 2000, nel senso di attribuire rilevanza penale, elevando il precedente limite, unicamente alle condotte di omesso versamento dell'imposta per un ammontare superiore, rispettivamente, a euro 150.000 per gli omessi versamenti di ritenute e ad euro 250.000 per gli omessi versamenti Iva, per ciascun periodo di imposta; tale modifica, in quanto comportante una disposizione più favorevole rispetto alla precedente, si applica ex art. 2, comma 4, c.p. anche ai fatti posti in essere antecedentemente.

Al fine di escludere la volontarietà della condotta di omesso versamento di ritenute, occorre l'allegazione e la prova della non addebitabilità all'imputato della crisi economica che ha investito l'impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto.

La richiesta di applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 13 d.lgs. 74/2000, richiede accertamenti in fatto che sono preclusi in sede di legittimità e che debbono, dunque, essere demandati ai giudici del merito.

Il caso

Tizio, quale amministratore di una società a responsabilità limitata, veniva in primo grado condannato alla pena di mesi dodici di reclusione, in relazione ai reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e di omesso versamento di Iva, previsti rispettivamente dagli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. 74/2000. Egli, infatti, aveva omesso di versare l'imposta sul valore aggiunto per l'anno 2009 (per una somma pari a complessivi euro 137.764), e le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti d'imposta negli anni 2008 (per un importo complessivo di euro 158.216,91) e 2010 (per un importo complessivo di euro 110.528,40).

Tale decisione veniva confermata dalla Corte d'appello, sicchè l'imputato proponeva ricorso per cassazione, denunciando sostanzialmente la violazione degli artt. 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000, per la mancata considerazione da parte della Corte d'appello della insussistenza dell'elemento psicologico dei reati ascrittigli, non essendo state adeguatamente valutate le difficoltà finanziarie della società amministrata dal ricorrente, che gli avevano impedito di provvedere ai versamenti dell'Iva e delle ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti. Inoltre, con motivi aggiunti, il difensore dell'imputato: a) rilevava la sopravvenuta irrilevanza penale delle condotte di omesso versamento, i cui importi risultavano inferiori alle nuove soglie di rilevanza penale stabilite dalla riforma del 2015; b) domandava l'applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 13 d.lgs. 74/2000, introdotta dall'art. 11 del d.lgs. 158 del 2015, avendo richiesto ad Equitalia la rateizzazione in 72 mensilità del debito tributario portato dalla cartella emessa nei suoi confronti, con decorrenza dal 15 ottobre 2012 al 15 settembre 2018, provvedendo regolarmente a corrispondere quanto dovuto per ogni rata.

La questione

Il caso di specie solleva, fondamentalmente, tre questioni:

a) la prima riguarda le conseguenze dell'innalzamento delle nuove soglie di punibilità contemplate dagli artt. 10-bis e 10-ter, d.lgs. 74/2000, sui fatti commessi in epoca antecedente all'entrata in vigore della riforma operata dal citato d.lgs. 158/2015 (recante disposizioni in tema di Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione della l. 11 marzo 2014, n. 23, art. 8, comma 1);

b) la seconda concerne l'incidenza della crisi di liquidità in relazione alla configurabilità del reato di omesso versamento delle ritenute, sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato;

c) la terza attiene ai presupposti di applicabilità della nuova causa di non punibilità prevista dall'art. 13 d.lgs. 74/2000.

Le nuove soglie di punibilità dei reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e di omesso versamento di Iva. L'integrazione dei reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e di omesso versamento di Iva richiede il superamento di una soglia che, a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 158/2015, è stata elevata, con riferimento ad ogni periodo di imposta, ad euro 150.000,00 per il primo e ad euro 250.000,00 per il secondo.

Si tratta, in particolare, di una modifica che realizza un'ipotesi di abolitio criminis parziale, con conseguente applicazione dell'art. 2, comma 2, c.p. Difatti, secondo l'opinione prevalente in dottrina – che ci pare preferibile rispetto a quella che sostiene invece la natura giuridica della condizione obiettiva di punibilità – le soglie di punibilità vanno inquadrate, dal punto di vista dogmatico, nell'alveo degli elementi essenziali del reato, che in quanto tali devono essere rivestiti dal dolo.

A conferma dell'assunto, la giurisprudenza più recente ha peraltro osservato che «la soglia di punibilità si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico […], con la conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del Legislatore circa l'assenza nella condotta incriminata di una "sensibilità" penalistica del fatto, sicchè il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività» (cfr. Cass. pen., Sez. III, 15 febbraio 2016, n. 6105, nella fattispecie la Suprema Corte ha dichiarato l'insussistenza del fatto per il reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. 74/2000 per mancato raggiungimento della soglia di punibilità individuata dalla nuova norma. In relazione alla fattispecie di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 si segnalano in particolare: Cass. pen., Sez. III, 29 agosto 2016, n. 35611; Cass. pen., Sez. III, 25 gennaio 2016, n. 3098; tribunale di Spoleto, 17 gennaio 2017, n. 11).

Omesso versamento di tributi e crisi di liquidità. In relazione ai reati contestati nel caso di specie, ci si chiede quale incidenza possa avere la crisi di impresa circa la configurabilità degli stessi. L'interrogativo continua ad agitare il dibattito dottrinario e giurisprudenziale, alla luce di alcune recenti pronunce della Corte di cassazione che, pur ribadendo la posizione di sostanziale contrarietà a tesi “giustificazioniste”, lasciano intravedere qualche possibile spiraglio per soluzioni che tengano maggiormente conto dell'attuale momento di grave difficoltà economica e finanziaria delle aziende. In estrema sintesi, alla tesi “elastica” della giurisprudenza di merito si contrappone il rigido orientamento (largamente prevalente) della giurisprudenza di legittimità, seppur contemperato da alcune eccezioni, come si chiarirà nel prosieguo.

Per quanto riguarda la prima tesi, i giudici di merito hanno di fatto censurato la rigidità del sistema, che sconta il limite di non aver considerato come causa di esclusione dell'antigiuridicità l'ipotesi in cui l'omesso versamento del tributo derivi da un'assoluta indisponibilità di risorse finanziarie. Si tratta, in particolare, di un orientamento eveniente da alcune decisioni di primo grado (cfr. Gip Milano, 6 novembre 2012; Gip Firenze, 10 agosto 2012; Gip Milano, 7 gennaio 2013), che hanno valorizzato la particolare condizione in cui si trova l'imprenditore: un soggetto, certamente consapevole della pendenza del debito tributario (da cui la “coscienza” e la “volontà” dell'omesso versamento), ma del quale è invece dubbia la “volontarietà” dell'omissione in quanto non conseguenza di una “libera scelta”, ma determinata da circostanze esterne che conducono alla necessaria violazione del precetto penale, venendo ad integrare una sorta di “costringimento inevitabile” o di “stato di necessità” (cfr. cfr. Gip Firenze, 27 luglio 2012, secondo cui il dolo richiesto dall'art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000 deve escludersi quando, a causa della crisi di liquidità in cui l'imputato si sia trovato, anche in conseguenza di condotte inadempienti di soggetti terzi, non si possa rinvenire la volontarietà della condotta omissiva). 


Di segno opposto l'orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità, fatto proprio in due sentenze “gemelle”, pronunciate peraltro a Sezioni unite (cfr. Cass. pen., Sez. unite, 28 marzo 2013, n. 37424, riguardante il delitto di omesso versamento di Iva e Cass. pen., Sez. un. 28.03.2013, n. 37425, relativa al delitto di omesso versamento di ritenute certificate), le quali mettono correttamente in luce i seguenti argomenti:

a) entrambi i reati in rilievo sono puniti a titolo di dolo generico. Per la commissione dei reati previsti dagli artt. 10-bis e 10-terd.lgs. 74/2000 è sufficiente, quindi, «la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato» e l'Iva riscossa: coscienza e volontà, come precisato nelle citate sentenze, che «deve investire anche la soglia dei cinquantamila Euro, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore»;

b) per quanto riguarda l'omesso versamento di ritenute, «la prova del dolo è insita in genere nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonché i versamenti relativi. Il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute è collegato con quello della erogazione degli emolumenti ai collaboratori. Ogni qualvolta il sostituto d'imposta effettua tali erogazioni, insorge, quindi, a suo carico l'obbligo di accantonare le somme dovute all'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria». Circa l'omesso versamento di Iva, «nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato, o almeno contenuto non oltre la soglia»di punibilità, «entro il termine lungo previsto. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall'acquirente del bene o del servizio) l'Iva dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria». Alla luce di ciò, conclude la Corte, «non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta […] di non far debitamente fronte alla esigenza predetta».

Come anticipato, tale orientamento – consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità successiva (cfr. fra le tante: Cass. pen., Sez, III, 11 maggio 2016, n. 30397; Cass. pen., Sez, III, 8 gennaio 2014, n. 15416; Cass. pen., Sez, III, 25 febbraio 2014, n. 14953; Cass. pen., Sez, III,15 gennaio 2014, n. 37730; Cass. pen., Sez, III,6 novembre 2013, n. 2614) –, non esclude in assoluto la possibilità per il contribuente di dimostrare la carenza del dolo. Si tratta, tuttavia, di una possibilità che appare più teorica che reale, considerando che la crisi di liquidità e l'impossibilità di adempiere l'obbligazione tributaria vengono sottoposte ad un regime probatorio particolarmente arduo, che impone al soggetto passivo di imposta l'onere di dimostrare tanto che la difficoltà economica non sia a lui imputabile, quanto di aver posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale (cfr., per tutte, Cass. pen., Sez. III, 5 gennaio 2013, n. 5467).

Pertanto, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza, gli spazi per ritenere non solo l'assenza dell'elemento soggettivo, ma anche la sussistenza della scriminante della forza maggiore quale conseguenza di una improvvisa ed imprevista situazione di illiquidità«appaiono, all'evidenza, oggettivamente ristretti» (così Cass. pen., Sez. III, 8 aprile 2014, n. 20266).

La causa di non punibilità prevista dall'art. 13 d.lgs. 74 del 2000. Da ultimo, vale la pena di rilevare come la punibilità possa, peraltro, essere esclusa in presenza di alcuni presupposti indicati dalla legge.

Più nel dettaglio, ai sensi del nuovo art. 13 del d.lgs. 74/2000, non solo nelle ipotesi di omesso versamento di Iva o di omesso versamento di ritenute certificate o dovute, ma anche nei casi di indebita compensazione (art. 10-quater d.lgs. 74/2000), coloro che rientrano nelle “nuove” soglie di reato potranno comunque beneficiare della non punibilità a condizione che, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, vengano versate le somme dovute, comprese sanzioni amministrative e interessi. A tal fine, ci si potrà avvalere dei diversi istituti deflattivi previsti nell'ordinamento tributario, quali le procedure conciliative e di adesione all'accertamento, nonché del ravvedimento operoso. Se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, il pagamento del debito residuo dovrà avvenire entro tre mesi, termine prorogabile una sola volta per altri tre mesi a discrezione del giudice penale.

Si tratta, a ben vedere, di un istituto che riflette, l'intenzione del legislatore del 2015di mitigare l'impatto applicativo dei reati di omesso versamento dei tributi, in relazione alle ipotesi in cui lo stesso dipenda da situazioni di crisi di liquidità, perlomeno provvisorie e contingenti.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione rileva, anzitutto, le modifiche che l'art. 8 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (entrato in vigore in data 22 ottobre 2015) ha apportato agli artt. 10-bis e 10-ter, d.lgs. 74/2000, sotto il profilo dell'innalzamento della soglia di rilevanza penale del fatto, specificando come «tale modifica, in quanto comportante una disposizione più favorevole rispetto alla precedente, si applica, ex art. 2 c.p., comma 4, anche ai fatti posti in essere antecedentemente». Posto che, nel caso di specie, l'ammontare dell'Iva e delle ritenute non versate in relazione agli anni di imposta 2009 e 2010 risulta inferiore ai limiti previsti dalle norme, la Corte annulla, sotto questo profilo del capo di imputazione, senza rinvio con la formula il fatto non sussiste, riconoscendo quindi alla soglia di rilevanza penale la natura di elemento costitutivo del fatto di reato.

Per quanto riguarda, invece, la residua imputazione – vale a dire l'omesso versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti nel 2008 per complessivi euro 158.216,91, ammontare superiore alla attuale soglia di rilevanza stabilita dall'art. 10-bis d.lgs. 74/2000 –, i giudici di legittimità ritengono infondate le doglianze formulate dalla difesa in relazione allo stato di grave crisi finanziaria che aveva colpito l'impresa amministrata dall'imputato, al punto tale da determinare una riduzione della metà del fatturato, alla quale il ricorrente aveva cercato di fare fronte salvaguardando i livelli occupazionali, l'avviamento e il know how dell'impresa.

Richiamando la prevalente giurisprudenza di legittimità in proposito, il Collegio rimarca come sia necessario, al fine di escludere la volontarietà della condotta, «la dimostrazione della riconducibilità dell'inadempimento alla obbligazione verso l'Erario a fatti non imputabili all'imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico» (cfr. Cass. pen., Sez. III, 26 giugno 2014, n. 8352).

Quanto al caso di specie, prosegue la Corte, deve osservarsi che: «la crisi economico-finanziaria che investì l'impresa amministrata dall'imputato non fu affatto improvvisa né imprevedibile, avendo avuto inizio sin dal 2007 e andamento negativo costante, con una progressiva riduzione del fatturato, e l'imputato non ha illustrato le iniziative via via adottate nel corso di tale crisi, onde dimostrare l'incolpevolezza della crisi di liquidità che gli avrebbe impedito in modo assoluto di adempiere l'obbligazione tributaria. Tale inadempimento risulta, invece, proprio sulla base della prospettazione difensiva dell'imputato, riconducibile a una sua precisa scelta imprenditoriale e non a una situazione di obiettiva e assoluta impossibilità, tale da escluderne la volontarietà e dunque la riconducibilità a una libera volizione dell'imputato, in quanto quest'ultimo, in presenza di una crisi economico-finanziaria, scelse consapevolmente di mantenere i medesimi livelli occupazionali e retributivi e la stessa organizzazione dell'attività d'impresa». Insomma, secondo i giudici di legittimità, l'omissione contestata all'imputato «deve ritenersi frutto di una sua libera determinazione, sia pure ispirata alla volontà di salvaguardare l'attività di impresa e i livelli di occupazione, ma che ha comportato l'inadempimento alle obbligazioni tributarie nei confronti dello Stato, con la conseguente corretta configurazione del residuo reato ascrittogli».

Infine, in relazione alla richiesta della causa di non punibilità ex art. 13, d.lgs. 74/2000, la Cassazione rammenta come questa richieda accertamenti in fatto che sono preclusi in sede di legittimità e che, pertanto, devono essere demandati ai giudici del merito. Viene, altresì, evidenziato come la disposizione in esame sia stata ritenuta «applicabile anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158/2015 anche qualora, alla data predetta, sia già stato aperto il dibattimento, giacchè, diversamente, si determinerebbe una disparità di trattamento in relazione a situazioni uguali (e cioè relative a soggetti che abbiano aderito alle speciali procedure conciliative e di adesione e abbiano in corso i relativi pagamenti), in ordine alla quale sarebbe prospettabile una questione di legittimità costituzionale» (cfr. Cass. pen., Sez. III, 30marzo 2016, n. 40314). Alla luce di ciò, la Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della competente Corte d'appello, affinché accerti se i pagamenti eseguiti dall'imputato abbiano comportato l'estinzione del debito tributario relativo al residuo reato, e sussistano di conseguenza i presupposti di applicabilità della causa di non punibilità invocata dal ricorrente.

Osservazioni

La pronuncia in rassegna pare inserirsi nel solco di quell'orientamento che ammette la possibilità di escludere la responsabilità penale per mancanza di dolo, seppur in presenza di taluni requisiti che, come abbiamo visto, risultano essere molto stringenti. Sembra, tuttavia, possibile individuare alcune situazioni nelle quali si dovrebbe pacificamente escludere la responsabilità del contribuente: si pensi all'ipotesi in cui, in relazione al delitto di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000, alla situazione di crisi di liquidità, si accompagni la circostanza che l'Iva non versata non sia stata nemmeno incassata, oltre che l'impossibilità di provvedere al pagamento con risorse alternative.

Guida all'approfondimento

S. De Bonis, Il delitto di omesso versamento di ritenute dovute o certificate, in A. Cadoppi - S. Canestrari - A. Manna - M. Papa (a cura di), Diritto penale dell'economia, vol. I, Utet, 2017, pp. 924 ss;

M. L'Insalata, L'omesso versamento dell'Iva, in A. Cadoppi - S. Canestrari - A. Manna - M. Papa (a cura di), Diritto penale dell'economia, vol. I, Utet, 2017, pp. 978 ss;

A. Lanzi, P. Aldrovandi, Diritto penale tributario, Wolters Kluwer, 2017, pp. 331 ss.- 418 ss;

A. Lanzi, Diritto penale dell'economia. Commentario, Dike Giuridica Editrice, 2016, pp. 258 ss.;

A. Perini, voce Reati tributari, in Digesto disc. pen., IX Agg., Torino, 2016;

G.L. Soana, Crisi di liquidità del contribuente e omesso versamento di ritenute certificate e di IVA, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 7 ottobre 2013;

D. Terracina, Omesso versamento di tributi dichiarati tra forza maggiore e carenza di dolo, in Dialoghi trib., 1/2013, p. 89 ss.

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