Concorso tra illecito amministrativo e penale e applicazione del principio di ne bis in idem

03 Settembre 2015

Le tematiche connesse al concorso apparente di norme, con riguardo, in particolare, al concorso tra l'illecito amministrativo e l'illecito penale, sono attualmente oggetto di un rinnovato interesse a seguito di importanti pronunce delle Corti di Strasburgo e del Lussemburgo, che hanno condizionato la compatibilità con il diritto comunitario del doppio binario sanzionatorio, alla non qualificabilità della sanzione amministrativa quale sanzione sostanzialmente penale, secondo un approccio di tipo contenutistico, consolidato presso la giurisprudenza della Corte di Giustizia e di quella di Strasburgo. Diversamente, si sostiene in sede convenzionale e comunitaria, la contestuale previsione di sanzioni penali e sostanzialmente penali, benché nominalmente amministrative, violerebbe il principio del ne bis in idem, secondo il quale “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge” (così l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea).
Abstract

Le tematiche connesse al concorso apparente di norme, con riguardo, in particolare, al concorso tra l'illecito amministrativo e l'illecito penale, sono attualmente oggetto di un rinnovato interesse a seguito di importanti pronunce delle Corti di Strasburgo e del Lussemburgo, che hanno condizionato la compatibilità con il diritto comunitario del doppio binario sanzionatorio, alla non qualificabilità della sanzione amministrativa quale sanzione sostanzialmente penale, secondo un approccio di tipo contenutistico, consolidato presso la giurisprudenza della Corte di Giustizia e di quella di Strasburgo. Diversamente, si sostiene in sede convenzionale e comunitaria, la contestuale previsione di sanzioni penali e sostanzialmente penali, benché nominalmente amministrative, violerebbe il principio del ne bis in idem, secondo il quale “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge” (così l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea).

In sede interpretativa si sta svolgendo un articolato dibattito circa le soluzioni applicative da utilizzare al fine di incorrere nel divieto del ne bis in idem, così come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale.

Profili problematici di compatibilità del "doppio binario sanzionatorio" con il principio sovranazionale del ne bis in idem

Con la sentenza Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson C-617/10, la Corte di Giustizia dell'Ue, a proposito dell'ammissibilità rispetto all'art. 50 della previsione di un procedimento penale, quando la sanzione amministrativa (nel caso sottoposto alla Corte si trattava di un illecito fiscale in materia di Iva) sia stata già applicata, ha risposto richiamando i criteri attraverso i quali valutare la natura penale delle sanzioni tributarie: qualificazione giuridica dell'illecito secondo l'ordinamento interno; natura oggettiva dell'illecito; natura della sanzione e suo grado di afflittività, secondo i parametri della giurisprudenza europea (si tratta dei medesimi criteri c.d. Engel, elaborati dalla Cedu nella omonima pronuncia: Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82).

La constatazione della natura penale delle sanzioni amministrative applicate in via definitiva, benché si ponga quale ostacolo alla perseguibilità in sede penale di fatti originati dalla medesima condotta, non inficia tuttavia, nella considerazione della Corte del Lussemburgo, l'ammissibilità all'interno dell'ordinamento della previsione di un doppio binario sanzionatorio, ponendosi quale ostacolo ad una tale soluzione repressiva soltanto la natura sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative, nel caso di loro congiunta applicazione con quelle penali.

La Corte Edu, con la sentenza Grande Stevens (Corte Edu, Sez. II, 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri c. Italia), nel riconoscere il contrasto della disciplina dell'ordinamento italiano in materia di abusi di mercato, con l'art. 6, §1, Cedu (diritto all'equo processo) e con l'art. 4, Protocollo n. 7 (diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto), ha svolto considerazioni di analogo tenore, assumendo come l'avvio di un procedimento penale sugli stessi fatti oggetto di sanzioni amministrative, violerebbe il principio del ne bis in idem. Un tale conclusione si incentra sulla natura solo nominalmente amministrativa ma sostanzialmente penale delle sanzioni (comminate dalla Consob), in ragione della loro afflittività.

Questi essendo i principi espressi dalle Giurisdizioni sovranazionali, si tratta ora di verificare in che termini il giudice italiano è chiamato a darvi applicazione, affinché le sue decisioni superino il vaglio comunitario e convenzionale.

L'esigenza, pertanto, di rendere compatibile il nostro ordinamento alle prescrizioni derivanti dalle decisioni della giurisprudenza convenzionale in materia di ne bis in idem ha fatto sì che, in sede ricostruttiva, sia stata approfondita l'indagine sui rimedi che meglio si prestino a superare le divergenze relative alla previsione del doppio binario sanzionatorio nel caso di sanzioni amministrative sostanzialmente penali.

Accanto al richiamo alla c.d. interpretazione conforme e alla sottoposizione alla Corte costituzionale della questione di legittimità per violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. (in presenza di contrasto tra la norma dell'ordinamento interno e la Cedu), il dibattito sul tema si è arricchito con l'approfondimento delle varie soluzioni interpretative.

Il principio di specialità di cui all'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689

La valorizzazione dell'applicazione del principio di specialità di cui all'art. 9,l. 689/1981 si pone quale strumento a disposizione dell'interprete per risolvere i casi di concorso tra sanzioni che potrebbero configurare una violazione del principio del ne bis in idem. Una sua utilizzazione nella direzione di scongiurare il configurarsi di casi di bis in idem secondo il vaglio convenzionale si porrebbe peraltro in termini di coerenza con la ratio dell'introduzione della previsione di cui all'art. 9,l. 689/1981 che, nella prospettiva che animava il legislatore con la depenalizzazione, era quella di assegnare una natura sussidiaria alle norme penali rispetto a quelle amministrative, superando così la configurabilità da parte della giurisprudenza del concorso formale eterogeneo in caso di concorso tra illeciti di segno diverso.

Un esempio di un'applicazione in tale senso si è avuta in materia di manipolazione di mercato, attraverso l'interpretazione della clausola che apre l'art. 187-ter T.U.F. nei termini di applicazione esclusiva della norma penale quale norma speciale (ad una comparazione in astratto tra fattispecie), rispetto all'omologa fattispecie che descrive l'illecito amministrativo (Cass.pen., Sez. VI, 16 marzo 2006, n. 15199).

Il rinvio pregiudiziale ex art. 267 T.F.Ue

Altro strumento a disposizione dell'autorità giudiziaria nazionale, quello del rinvio pregiudiziale ex art. 267 T.F.Ue alla Corte di Giustizia, quale mezzo che consente di individuare i limiti dell'interpretazione conforme al diritto dell'Unione europea, a patto che la questione sottoposta alla Corte sia una normativa di attuazione del diritto dell'Unione, ex art. 51, par. 1, Carta (come specificato nell'ordinanza – Corte di Giustizia, Sez. IX, 15 aprile 2015, C- 497/14 – con cui la Corte ha respinto il ricorso del giudice del tribunale di Torino, in materia di omesso versamento di ritenute d'imposta, dichiarando la propria incompetenza). Peraltro, nella materia di ne bis in idem, con la sentenza Fransson, la Corte di Giustizia si è già pronunciata nel senso che il concorso tra sanzioni amministrative e penali può determinare situazioni di bis in idem, pur ammettendo tuttavia l'ammissibilità del doppio binario sanzionatorio, condizionato negativamente alla natura non “sostanzialmente penale” della sanzione amministrativa.

L'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea

La diretta applicabilità dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali, con conseguente disapplicazione delle norme dell'ordinamento con esso contrastanti, è stata richiamata in sede interpretativa a proposito del delitto di cui all'art. 10-terd.lgs. 74/2000: rientrando la materia dell'Iva nell'ambito di attuazione del diritto dell'Ue ai sensi dell'art. 51; qualificato il procedimento tributario concluso, come procedimento nella sostanza penale, il giudice, si è proposto, dovrebbe in questo caso pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere in diretta applicazione dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali Ue (F. Viganò, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso una diretta applicazione dell'art. 50 della Carta?, Corte di Cassazione, 28 s.).

Rispetto ad una tale soluzione, la Cassazione si è tuttavia mostrata critica in ragione della centralità che nel nostro ordinamento assume il principio di legalità. Rigettando infatti una richiesta di declaratoria di improseguibilità dell'azione penale ex art. 649 c.p.p., motivata sulla base di una interpretazione estesa della locuzione “sentenza penale” (tale cioè da ricomprendere nel suo ambito anche la violazione amministrativa), la Suprema Corte ha osservato come un'interpretazione che miri ad estendere il divieto del secondo giudizio in relazione a giudizi già svolti, relativi al medesimo fatto sanzionato come violazione amministrativa, si porrebbe in contrasto con la lettera delle legge (Cass. pen., Sez. I, 17 dicembre 2013, n.19915).

L'interpretazione estensiva dell'art. 649 c.p.p.

Che l'art. 649 c.p.p. rappresenti uno snodo importante per risolvere le questioni inerenti la configurabilità del ne bis in idem in presenza dell'applicazione di una sanzione amministrativa sostanzialmente penale, vi è conferma dalla recente proposizione della sua questione di legittimità costituzionale, da parte del tribunale di Bologna, per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione Edu, riguardo l'art. 10-ter,d.lgs.74/2000, nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui all'imputato sia già stata comminata, per il medesimo fatto, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione Edu e dei relativi Protocolli (trib. Bologna, ord. 21 aprile 2015).

In conclusione

Il tribunale di Bologna, pertanto, attraverso la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. ha dimostrato così di raccogliere le indicazioni che in sede di discussione in tema di ne bis in idem erano state formulate da chi, pur avanzando delle riserve, sia rispetto all'interpretazione estensiva dell'art. 649 c.p.p. (benché convenzionalmente conforme), in quanto in contrasto con le prerogative statali di scelta di politica criminale; sia sul rischio di elusione delle garanzie della cognizione penale, in quanto non equiparabili a quelle proprie di una procedura amministrativa sanzionatoria, proponeva tuttavia la possibilità di sollevare una questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost, assumendo quale norma interposta quella di cui all'art. 4,prot. 7, Cedu, secondo l'interpretazione che ne fornisce la Corte di Strasburgo (G. De Amicis, Il principio del ne bis in idem tra giurisprudenza europea e diritto interno, Atti dell'incontro di studio, 23 giugno 2014, Corte di Cassazione, p. 32 ss).

In attesa del responso della Corte, resta ferma la difficoltà del nostro ordinamento a dare concreta attuazione alle indicazioni comunitarie, la cui vincolatività fa fatica ad affermarsi in ragione dell'assolutezza del principio di legalità, la cui portata andrebbe tuttavia adattata ai nuovo assetti normativi (e relativi obblighi) che vedono coinvolto il nostro Paese.

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