Violazione degli obblighi di assistenza familiare: la prolungata detenzione non costituisce causa di forza maggiore ma esclude il dolo

Sergio Beltrani
03 Settembre 2015

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di prolungata detenzione dell'obbligato non può considerarsi una causa giustificativa del suo inadempimento dell'obbligo di prestare i mezzi di sussistenza, in quanto la responsabilità per l'omessa prestazione non è esclusa dall'indisponibilità dei mezzi necessari, quando questa sia dovuta, anche parzialmente, a colpa dell'obbligato ma può rilevare ai fini della verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, consistente nella volontà cosciente e libera di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi inerenti alla propria qualità.
Massima

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di prolungata detenzione dell'obbligato non può considerarsi una causa giustificativa del suo inadempimento dell'obbligo di prestare i mezzi di sussistenza, in quanto la responsabilità per l'omessa prestazione non è esclusa dall'indisponibilità dei mezzi necessari, quando questa sia dovuta, anche parzialmente, a colpa dell'obbligato ma può rilevare ai fini della verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, consistente nella volontà cosciente e libera di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi inerenti alla propria qualità.

Il caso

L'imputato era stato condannato alla pena di un anno di reclusione ed euro 1.000,00 di multa in ordine al reato di cui all'art. 570 c.p., per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di versare l'assegno mensile di mantenimento di euro 500,00 stabilito dal giudice civile in sede di separazione dalla moglie; si era ritenuto, in particolare, che l'invocato stato di detenzione non potesse avere alcuna efficacia esimente, trattandosi di una caso di impossibilità colpevole.

Nei ricorso, l'imputato aveva nuovamente invocato la sua impossibilità di adempiere alle indicati obblighi, essendosi a suo dire trovato in una situazione di oggettiva impossibilità ad adempiere le obbligazioni di mantenimento a causa della sua detenzione protrattasi dal 29 marzo 2007 al 9 gennaio 2009.

La questione

Nella fattispecie, occorreva delineare il concetto di “forza maggiore” ai fini previsti dall'art. 45 c.p. (“non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore”) e valutare se ad esso fosse riconducibile l'invocato impedimento.

Le soluzioni giurisprudenziale

I giudici del merito avevano ritenuto l'impossibilità di configurare, nel caso di specie, una ipotesi di non punibilità per forza maggiore.

La Cassazione ha condiviso, in tale parte, la decisione impugnata, osservando che “la responsabilità per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza non è esclusa dall'indisponibilità dei mezzi necessari, quando questa sia dovuta, anche parzialmente, a colpa” e che, nel caso in esame, “i giudici hanno sostenuto che l'impossibilità di adempiere è da ascrivere a colpa dell'imputato, che ha posto in essere comportamenti contrari a norme penali, sicché si tratta di una colpevole impossibilità che, come tale, non può avere valore esimente”.

Ha, peraltro, osservato che, pur non potendo la situazione di detenzione prolungata dell'imputato essere considerata una causa giustificativa dell'inadempimento, essa poteva essere valutata ai fini della verifica sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato: “la Corte d'appello ha ammesso l'impossibilità di adempiere da parte dell'imputato a causa del suo stato detentivo, sicché i giudici, pur escludendo la sussistenza della forza maggiore, avrebbero dovuto riconoscere la mancanza dell'elemento soggettivo. Come è noto il dolo del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, nella ipotesi di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, non richiede la qualificazione specifica espressa dal preciso fine di far mancare quei mezzi all'avente diritto, in quanto è sufficiente il dolo generico consistente nella volontà cosciente e libera di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi inerenti alla propria qualità e nella consapevolezza del bisogno in cui versa il soggetto passivo. Nel caso di specie, ciò che è mancato è proprio la consapevolezza di sottrarsi all'obbligo”.

L'imputato è stato, pertanto, assolto tout court per assenza di dolo, perché il fatto non costituisce reato, e la sentenza impugnata è stata, pertanto, annullata senza rinvio.

Osservazioni

La Corte di cassazione ha escluso che la detenzione prolungata costituisse vis maior cui resisti non potest, cioè evento derivante dalla natura o dal fatto dell'uomo che non può essere preveduto o che, anche se preveduto, non può essere impedito; ha, peraltro, rilevato che essa – nel caso di specie – incideva sul necessario dolo, escludendolo.

In argomento, poteva dirsi consolidato l'orientamento (Cass. pen., Sez. VI, n. 4152/1991) per il quale, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non è configurabile la responsabilità penale quando l'obbligato sia economicamente incapace di provvedere, secondo il principio generale ad impossibilia nemo tenetur, tranne che l'obbligato sia divenuto incapace per sua colpa. L'orientamento è stato successivamente ribadito (Cass. pen., Sez. VI, 3 marzo 2011, n. 11696): si è in proposito precisato che la condizione di impossibilità economica dell'obbligato "vale come scriminante soltanto se [...] consista in una situazione incolpevole di indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto", con la conseguenza che "la responsabilità per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza non è esclusa dall'incapacità di adempiere, ogniqualvolta questa sia dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell'agente". La decisione riguardava la perdita del reddito lavorativo, ritenuta non esente da imputabilità a colpa dell'imputato “che, dopo essere uscito dalla dipendenza dalla droga, vi si era lasciato ricadere, pur consapevole di quanto ne poteva derivare anche in relazione alla sua capacità economica e all'adempimento degli obblighi di legge che la presupponevano. La correttezza di tale valutazione trova un significativo riscontro sistematico nella previsione di cui all'art. 93 c.p.”.

Innovativa e senz'altro condivisibile appare, peraltro, l'ulteriore valutazione che ha indotto alla conclusiva assoluzione dell'imputato per carenza del necessario dolo, essendosi ritenuto che il sopravvenuto stato di detenzione (che, dagli acquisiti elementi, non risultava qualificabile come actio libera in causa ex art. 93 c.p.) non consentiva di ritenere che l'imputato intendesse consapevolmente di sottrarsi agli obblighi di assistenza su di sé incombenti.

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