Le “cose pertinenti al reato” e il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale

Ciro Santoriello
03 Ottobre 2016

L'incertezza sull'individuazione dei beni che possono essere oggetto preventivo continua. Come è noto, la materia è regolamentata dall'art. 321 c.p.p., a norma del quale possono essere oggetto di tale provvedimento cautelare le cose pertinenti al reato. L'esatta delimitazione di tale nozione è assai discussa: se è acquisito il dato secondo cui il richiamo alla pertinenza sta a definire lo scopo per cui si ricorre alla misura in discorso e, in particolare ...
Massima

L'espressione cose pertinenti al reato, cui fa riferimento l'art. 321 c.p.p., è più ampia di quella di corpo di reato, definita dall'art. 253 c.p.p., e comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa, come il risultato della trasformazione del prodotto o del profitto del reato (Fattispecie in tema di sequestro di un immobile ristrutturato con i proventi di una condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che la Cassazione ha qualificato come cosa pertinente al reato).

Il caso

L'incertezza sull'individuazione dei beni che possono essere oggetto preventivo continua. Come è noto, la materia è regolamentata dall'art. 321 c.p.p., a norma del quale possono essere oggetto di tale provvedimento cautelare le cose pertinenti al reato. L'esatta delimitazione di tale nozione è assai discussa: se è acquisito il dato secondo cui il richiamo alla pertinenza sta a definire lo scopo per cui si ricorre alla misura in discorso e, in particolare, la relazione intercorrente tra la res ed il reato commesso o le conseguenze future di quell'illecito, potenzialmente configurabili ove vi sia la disponibilità della cosa, in giurisprudenza si configura una divaricazione fra pronunce secondo cui tale relazione tra la cosa ed reato idonea a giustificare il sequestro preventivo può essere anche indiretta sempre che la libera disponibilità di esse possa dare luogo al pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze di detto reato ovvero all'agevolazione nella commissione di altri reati (Cass. pen., Sez. V, 16 dicembre 2009, n. 12064; Cass. pen., Sez. III, 2 ottobre 2007, n. 39011; Cass. pen., Sez. IV, 23 maggio 2007, n. 36884) e decisioni che invece richiedono fra illecito e res un legame funzionale, non meramente occasionale (Cass. pen., Sez. II, 4 marzo 2005, 9905; Cass. pen., Sez. V, 13 novembre 2003, n. 3619).

Nel caso di specie, la Corte di legittimità doveva decidere del ricorso avanzato da una procura della Repubblica avverso l'ordinanza del tribunale del riesame che aveva revocato il sequestro preventivo di un immobile, sequestro ordinato per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale. In particolare, il tribunale aveva escluso la sussistenza del fumus commissi delicti poiché era emerso che l'immobile in questione era stato acquistato dalla indagata molti anni prima della dichiarazione di fallimento ed aveva affermato l'irrilevanza del fatto che l'immobile fosse stato ristrutturato con somme provenienti dal fallimento, posto che lo stesso era stato concesso in locazione ad altro soggetto ed al più potevano essere sottoposti a sequestro conservativo i canoni locatizi.

La questione

L'ufficio inquirente avanzava un unico profilo di censura, lamentando la violazione degli artt. 216 e 223 della legge fallimentare in relazione a quanto dispone l'art. 321 c.p.p.

Dopo aver evidenziato come il sequestro fosse stato ordinato nei confronti di un bene qualificato come provento di reato, il gravame evidenziava come, a fronte di un acquisto dell'immobile in epoca assai anteriore alla realizzazione dei fatti di bancarotta – o meglio prima della dichiarazione di fallimento – era comunque da considerare che lo stesso aveva beneficiato di uno significativo lavoro di ristrutturazione, operato in epoca più recente e le cui somme provenivano anche da patrimonio della società fallita, con una distrazione pari ad oltre € 120.000. Era dunque evidente il nesso di pertinenzialità dello stabile con i delitti ascritti all'indagata.

Il ricorso inoltre ricordava inoltre che era consentito il sequestro di beni provenienti dall'investimento di denaro illecitamente acquisito.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha accolto il ricorso, con una motivazione certo non analitica né particolarmente chiara.

Per quanto è dato di comprendere, secondo la suprema Corte la sottoposizione a vincolo dell'immobile deriverebbe dalla circostanza che lo stesso andrebbe qualificato come cosa pertinente al reato e ciò in considerazione del fatto che il bene – profilo erroneamente non preso in adeguata considerazione dal giudice di merito – era stato ristrutturato con denaro proveniente dalle distrazioni consumate ai danni della società fallita. Tale circostanza infatti ha certo determinato un aumento del valore commerciale dell'immobile – come accade ogni qual volta uno stabile è oggetto di migliorie strutturali – e da ciò deriva l'insorgere di un legame fra il bene ed il reato di bancarotta posto che proprio l'utilizzo del provento di tale illecito ha consentito di accrescere il pregio dell'immobile in discorso.

Tali considerazioni attinenti la concreta fattispecie posta all'esame della Cassazione giustificano poi il richiamo della Corte alla distinzione fra il corpo del reato, di cui all'art. 253 c.p.p. – laddove tale locuzione, attraverso l'ulteriore riferimento alla necessità per l'accertamento dei fatti, consente di sottoporre a sequestro solo quelle cose che hanno un nesso probatorio con il fatto per cui si procede – e cose pertinenti al reato, cui fa riferimento l'art. 321 c.p.p., nozione più ampia della precedente e che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato fu commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa (Cass. pen., Sez. V, 28 maggio 2014, n. 26444), come il risultato della trasformazione del prodotto o del profitto del reato (Cass. pen., Sez. II, 18 ottobre 1999, n. 4587; Cass. pen., Sez. II, 11 giugno 2014, n. 30049).

Osservazioni

Come si è accennato all'inizio, la nozione di cosa pertinente al reato è ancora lontana dal pervenire ad una compiuta definizione e questo inevitabilmente si riflette sulla determinazione dello spettro applicativo della misura cautelare del sequestro preventivo. La tematica poi resa ancora più complessa dalla circostanza che il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato è una misura cautelare confinante con il cosiddetto sequestro probatorio del corpo del reato e con il sequestro preventivo a fini di confisca, sicché diventa necessario anche operare una significativa distinzione fra questi provvedimenti ablatori.

Quanto alla distinzione rispetto al sequestro probatorio, si ricorda che fra i problemi sorti a proposito dell'individuazione dell'oggetto del sequestro a fini preventivi ricorre anche il dubbio circa la possibilità di adottare la misura di cui all'art. 321 c.p.p. anche in riferimento al corpo del reato. Tale dilemma sorge in considerazione della mancanza di alcun riferimento al riguardo da parte dell'art. 321 c.p.p. al corpus delicti essendo presente nella suddetta disposizione codicistica solo il riferimento alle cose pertinenti al reato, con ciò differenziandosi rispetto a quanto contemplato dall'art. 253 c.p.p. per il sequestro probatorio: sembrerebbe, dunque, configurarsi tra i due tipi di sequestro un ulteriore profilo di differenziazione attinente all'oggetto.

La dottrina intervenuta sul punto ha osservato che la nozione di cosa pertinente al reato è più ampia di quella di corpo di reato e che tra le due categorie sussiste un rapporto di continenza nel senso che la prima include anche la seconda (BALDUCCI, 151; FIORE; SELVAGGI; SOTTANI). In giurisprudenza, pronunce risalenti tracciavano la linea di demarcazione tra i due provvedimenti coercitivi ritenendo di dover delimitare l'ambito di applicabilità del sequestro preventivo alle sole cose pertinenti al reato e inquadrare come obbligatorio il sequestro a fini di prova del corpo di reato, come tale privo di necessaria motivazione. Più di recente, in altre decisioni si è rilevata una sostanziale assimilazione tra le due specie di sequestro sotto il profilo dell'assoggettabilità ad entrambe sia del corpo di reato sia delle cose pertinenti al reato, avendo – come sostenuto nella decisione in commento – la nozione di cosa pertinente al reato un significato ampio, idoneo a comprendere pure il corpo del reato, cioè le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso. Di conseguenza la nozione di cose pertinenti al reato non solo include in sé i beni costituenti corpo di reato, ma abbraccia anche tutte le cose legate anche indirettamente alla fattispecie criminosa.

Quanto ai rapporti fra sequestro preventivo di cui al primo comma dell'art. 321 c.p.p. ed il sequestro preventivo a fini di confisca disciplinato dal secondo comma della medesima disposizione codicistica, secondo la prevalente giurisprudenza il Legislatore ha voluto ampliare l'ambito di operatività dell'istituto del sequestro preventivo rispetto al tradizionale perimetro delle cose di cui è consentita la confisca (SANTORIELLO).

Guida all'approfondimento

ARMONE, Sequestro preventivo del profitto da reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, in Foro It., 2007, II, 265;

ASSUMMA, L'oggetto del sequestro funzionale alla confisca del profitto di corruzione, in Cass. Pen., 2010, 1956;

BALDUCCI, Il sequestro preventivo nel processo penale, Milano, 1991;

FIORE, Accertamento dei presupposti e problematiche applicative in tema di sequestro preventivo, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1995, 562;

MONTAGNA, Pluralità delle specie di sequestro ed onere di motivare, in Giur. It., 1993, II, 295;

SANTORIELLO, In tema di sequestro preventivo a fini di confisca, in GI, 2006, 697;

SELVAGGI, L'oggetto nel sequestro probatorio e nel sequestro preventivo, in Cass. Pen., 1991, 936;

SOTTANI, Problemi vecchi e nuovi in materia di sequestro, in Giur. It., II, 1990, 366;

VENTURA, Sequestro preventivo, in Digesto pen., Agg. II, Torino, 2004, 750.

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