La Cassazione assolve Dolce e Gabbana: il perseguimento di un risparmio fiscale non è reato

Redazione Scientifica
03 Novembre 2015

La Corte di cassazione, Sezione III penale, annulla la sentenza della Corte d'appello di Milano con cui erano stati condannati Dolce Domenico e Gabbana Stefano Silvio insieme al legale rappresentante della società per il reato di cui all'art. 5, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per aver omesso (materialmente il rappresentante legale) di presentare le dichiarazioni annuali, ai fini delle imposte dirette e sul valore aggiunto relative alla società lussemburghese alla quale i due stilisti avevano ceduto i marchi di loro proprietà

Dolce Domenico e Gabbana Stefano Silvio (già titolari dei marchi “D&G” e “Dolce & Gabbana”), insieme al legale rappresentante della società erano stati condannati in entrambi i gradi di giudizio di merito per il reato di cui all'art. 5, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per aver omesso (materialmente il rappresentante legale) di presentare le dichiarazioni annuali, ai fini delle imposte dirette e sul valore aggiunto, relative alla società lussemburghese GADO S.a.r.l. alla quale i due stilisti avevano ceduto i marchi di loro proprietà in conseguenza di una complessa operazione di ristrutturazione dell'intero gruppo. Secondo l'impostazione accusatoria la società GADO S.a.r.l. era stata fittiziamente costituita in Lussemburgo al solo fine di beneficiare del più favorevole regime fiscale ivi esistente relativo allo sfruttamento dei marchi così consentendo ai due stilisti

ritenuti titolari di fatto dei marchi

di lucrare sul consistente risparmio.

I giudici di merito avevano riconosciuto la effettiva sussistenza delle ragioni finanziarie e di mercato che avevano indotto i due stilisti a cedere i marchi di loro proprietà ad una società di capitali del gruppo di nuova costituzione (oltre alla necessità di nuovi equilibri nell'assetto societario) ma avevano condiviso con l'accusa la natura fittizia della sede estera della società cessionaria dei marchi in considerazione del fatto che la sede legale fosse stata fissata presso una società lussemburghese di servizi (deputata anche alla tenuta della contabilità), che le dotazioni di mezzi e personale presso la sede amministrativa della GADO S.a.r.l. fossero minime, che le direttive sulle attività da compiere provenissero dall'Italia e in particolare dalla sede milanese della holding. Ne è derivata l'attribuzione alla società GADO S.a.r.l della domiciliazione fiscale in Italia con conseguente obbligo (non adempiuto) di presentare nel nostro Paese le dichiarazioni annuali.

Nell'annullare la sentenza della Corte di appello di Milano, la Corte di cassazione ha affermato che in caso di società con sede legale estera controllata ai sensi dell'art. 2359, comma 1, c.c., non può costituire criterio esclusivo di accertamento della sede della direzione effettiva l'individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative ove esso si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana. In tal caso è necessario accertare anche che la società controllata estera non sia una costruzione di puro artificio ma corrisponda ad un'entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo o allo statuto.

La Corte ha altresì affermato che l'esclusivo perseguimento di un risparmio fiscale (o, a maggior ragione, la presenza anche solo marginale di ragioni extrafiscali, incontestabilmente accertate nel caso di specie) non è di per sé sufficiente a dimostrare il dolo di evasione, soprattutto quando l'operazione economica sia reale ed effettiva.

Il dolo di elusione

specifica la Corte di legittimità

non si identifica con il dolo di evasione che esprime un disvalore ulteriore tale da selezionare gli illeciti penalmente rilevanti da quelli che non lo sono e che in nessun caso le condotte elusive possono avere di per sé penale rilevanza estendendo il fatto tipico oltre i confini tassativamente determinati dalle singole fattispecie incriminatrici.

Quanto al concorso dei due stilisti nel reato di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi, reato ascritto al legale rappresentante della società quale autore diretto, la Corte di cassazione ha ulteriormente affermato che, attesa la natura del reato (omissivo proprio unisussistente), il concorso (che, salvo casi eccezionali, può essere solo di natura morale) non può essere integrato da condotte antecedenti alla scadenza del termine previsto per l'adempimento che non avrebbero penale rilevanza nemmeno se poste in essere dall'autore principale del reato.

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