Materiale pedopornografico: la detenzione integra già il pericolo di diffusione

03 Dicembre 2015

Ai fini dell'integrazione del reato dell'art. 600-ter c.p. è necessario il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, che può essere ricavato anche dalla detenzione del materiale pornografico su un hard disk esterno, supporto che per sua natura si presta strutturalmente e funzionalmente alla propagazione del suo contenuto.
Massima

La definizione di pornografia minorile introdotta nell'art. 600-terc.p. dall'art. 4, comma 1, lett. h), legge 1 ottobre 2012, n. 172, si caratterizza per il suo maggior rigore rispetto a quella precedente, in quanto richiede soltanto la rappresentazione degli organi genitali del minore per scopi sessuali, e non esige più l'esibizione lasciva degli stessi. In conformità ai principi dell'art. 2 c.p. essa non può trovare applicazione ai comportamenti tenuti prima della sua entrata in vigore.

Ai fini dell'integrazione del reato dell'art. 600-ter c.p. è necessario il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, che può essere ricavato anche dalla detenzione del materiale pornografico su un hard disk esterno, supporto che per sua natura si presta strutturalmente e funzionalmente alla propagazione del suo contenuto.

Il caso

Tizio, allenatore di una squadra sportiva giovanile, veniva condannato in primo e secondo grado per il reato dell'art. 600-ter c.p. per aver ripreso di nascosto i ragazzi minorenni della sua squadra nudi all'interno degli spogliatoi, ed aver archiviato le relative immagini in un hard disk esterno. I fatti sono commessi tra aprile 2010 ed aprile 2011.

Ricorre per cassazione il difensore di Tizio.

La Cassazione respinge il ricorso, riconoscendo che la più rigorosa definizione di pornografia minorile contenuta nell'art. 600-ter c.p. post novella della l. 172/2012 non sia applicabile ai fatti pregressi ma ritenendo che nel caso in esame le immagini pedopornografiche realizzate negli spogliatoi avessero quel contenuto di esibizione lasciva dei genitali sanzionato anche sotto la vecchia formulazione della norma.

Sulla questione ulteriore della potenziale diffusività delle immagini prodotte, la Corte riconosce che la nozione di produzione richiede una organizzazione almeno embrionale e la potenziale destinazione del materiale pornografico alla fruizione di terzi ma aggiunge che l'hard disk esterno per sua natura si presta strutturalmente e funzionalmente alla propagazione del suo contenuto, e che l'organizzazione embrionale era desumibile anche dalla catalogazione del materiale, dalla ripetitività delle operazioni produttive e dalle modalità insidiose delle riprese.

La questione

Le questioni di diritto affrontate dalla sentenza sono le seguenti:

  • per integrare il reato dell'art. 600-ter c.p. è sufficiente la mera rappresentazione degli organi genitali del minore per scopi sessuali oppure è necessario che questo sia ripreso in pose sessualmente esplicite? Su tale questione ha inciso la riscrittura del testo della norma penale ad opera della l. 172/2012?
  • conservare le immagini pedopornografiche su un supporto esterno privo di collegamento alla rete internet e di programmi di file sharing è sufficiente per integrare il pericolo di diffusività delle stesse, che è elemento costitutivo ulteriore del reato dell'art. 600-ter c.p.?
Le soluzioni giuridiche

La norma dell'art. 600-ter c.p. sanziona, tra l'altro, chiunque produce materiale pornografico utilizzando minori ma prima della novella della l. 172/2012 non conteneva una definizione di cosa dovesse intendersi a tal fine per materiale pornografico.

La questione non era di poco conto, perché nel significato comune delle parole per pornografia non si intende la mera rappresentazione di un corpo nudo ma la rappresentazione di una attività sessuale (per di più reale, e non meramente simulata).

Applicare questa nozione comune di pornografia ai delitti contro la personalità individuale dei minorenni degli artt. 600-ter ss. c.p. rischiava, però, di fissare troppo in basso l'asticella della tutela, perché avrebbe lasciato fuori dal penalmente sanzionato sia il comportamento di chi ritrae un minore che simula una scena di sesso sia il comportamento di chi si limita a ritrarre parti intime dei minori per finalità di concupiscenza sessuale.

Peraltro, se nel diritto interno mancava una definizione specifica di pornografia minorile, questa si rinveniva in norme internazionali o sovranazionali:

  • il Protocollo opzionale alla Convenzione sui diritti dell'infanzia, stipulato a New York il 6 settembre 2000, definiva pornografia minorile qualsiasi rappresentazione di un bambino dedito ad attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali a fini soprattutto sessuali;
  • la decisione quadro del Consiglio d'Europa 22 dicembre 2003, n. 2004/68/GAI, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, definiva pornografia infantile, la rappresentazione di un bambino coinvolto in una condotta sessualmente esplicita, fra cui l'esibizione lasciva dei genitali o dell'area pubica;
  • la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, stipulata a Lanzarote il 25 ottobre 2007, definisce pornografia infantile ogni tipo di materiale che rappresenta visivamente un bambino che si dà ad un comportamento sessualmente esplicito, reale o simulato, o qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali di un bambino per scopi essenzialmente sessuali.

Si contrappongono, quindi, nel diritto di fonte internazionale o sovranazionale una definizione più ampia di pornografia minorile (che ricomprende in essa anche la mera rappresentazione degli organi sessuali del minore, purché a fini sessuali) ed una definizione più ristretta (che ricomprende in essa soltanto la rappresentazione del minore in atteggiamento sessualmente esplicito, reale o simulato, che può consistere anche nella mera esibizione delle parti intime, purché effettuata in modo lascivo o sessualmente allusivo).

Nessuna delle due limita l'ambito del penalmente sanzionato al solo caso del minore coinvolto in un reale atto sessuale e nessuna delle due chiede che il minore sia coinvolto consapevolmente nella produzione del materiale pornografico interagendo con il soggetto attivo del reato, sottoquestione che è propria della sola normativa interna, perché il testo dell'art. 600-ter c.p., sia nella versione ante l. 172/2012 che nella versione novellata, chiede che il soggettivo attivo del reato produca materiale pornografico utilizzando un minore degli anni diciotto, requisito aggiuntivo che è stato, peraltro, sostanzialmente neutralizzato dalla suprema Corte, che, con interpretazione confermata dalla sentenza in commento, ritiene che la utilizzazione sia ancorata al solo dato oggettivo e sussista anche quando il minore non sia consapevole di essere ripreso (Cass. pen., Sez. III, 27 gennaio 2015, n. 19191).

In difetto di una definizione di pornografia minorile di fonte interna, la giurisprudenza della suprema Corte si orientava per la nozione più ristretta, che ricomprende nell'ambito del penalmente rilevante soltanto la rappresentazione del minore in atteggiamento sessualmente esplicito, al più consistente anche nella mera esibizione lasciva o sessualmente allusiva delle parti intime (Cass. pen., Sez. III, 4 marzo 2010, n. 10981).

Però, successivamente interveniva la l. 172/2012, che, modificando l'art. 600-ter c.p., introduce per la prima volta nel diritto interno una definizione di pornografia minorile stabilendo che ai fini di cui al presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali.

Con la definizione esplicita introdotta dal legislatore cessano le oscillazioni giurisprudenziali sulla rilevanza penale della mera rappresentazione delle parti intime del minore effettuata con scopi concupiscenti ma si apre il problema del se questa definizione normativa ampia di pornografia minorile abbia contenuto innovativo e se essa sia applicabile alle fattispecie pregresse.

La sentenza in commento risponde, riaffermando la natura innovativa della definizione normativa di pornografia minorile contenuta nel nuovo comma 7 dell'art. 600-ter c.p. e la sua inapplicabilità ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore, che era già stata sostenuta dalle prime pronunce che si erano occupate della questione (cfr. Cass. pen., Sez. III, 20 novembre 2013, n. 3110; Cass. pen., sez. III, 9 gennaio 2013, n. 5874).

La seconda questione di diritto affrontata dalla sentenza in esame riguarda il pericolo di diffusività della condotta di chi realizza immagini pedopornografiche.

La norma dell'art. 600-ter c.p. non prevede espressamente questo requisito, introdotto in via interpretativa dalla pronuncia delle Sezioni unite 31 maggio 2000, n. 13, che stabilì che poiché il delitto di pornografia minorile di cui al primo comma dell'art. 600-ter c.p. ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile (…) quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto”, aggiungendo che la configurabilità del pericolo di diffusività doveva essere accertata facendo ricorso ad elementi sintomatici, quali l'esistenza di una struttura organizzativa rudimentale, la disponibilità di strumenti tecnici di riproduzione o trasmissione idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari.

Dopo l'intervento delle Sezioni unite il principio di diritto non è stato più rimesso in discussione, le sentenze successive si sono limitate soltanto a precisarne i dettagli individuando casi in cui ricorrono gli elementi sintomatici del pericolo di diffusività della condotta. La sentenza si caratterizza per aggiungere un altro tassello alla casistica sul punto.

Fino ad adesso era stato ritenuto, infatti, sufficiente ad integrare il pericolo di diffusività delle immagini la detenzione delle stesse su computer in cui erano installati programmi di file sharing (Cass. pen., Sez. III, 8 maggio 2015, n. 19174), in directory di incoming (Cass. pen., Sez. III, 13 gennaio 2015, n. 7763), oppure sulla propria pagina facebook (Cass. pen., Sez. III, 20 aprile 2015, n. 16340), o in un gruppo di discussione con il filtro di un moderatore (Cass. pen., Sez. III, 15 luglio 2011, n. 30564), mentre era stato escluso tale pericolo in caso di mero possesso di computer (Cass. pen., Sez. III, 11 marzo 2010, n. 17178) o di rinvenimento della immagine pedopornografica in un file temporaneo (Cass. pen., Sez. III, 25 ottobre 2012, n. 44914). Nel caso in esame, la Cassazione ritiene che integri il pericolo di diffusività anche la detenzione delle immagini su supporto esterno, privo di collegamento internet e di programmi di file sharing, in quanto la diffusione della immagine è agevolata dal supporto portatile che permette il collegamento a qualsiasi dispositivo o anche la trasmissione a terzi brevi manu.

Osservazioni

L'intervento di un terzo precedente conforme della suprema Corte sull'inapplicabilità ai fatti pregressi della nuova definizione normativa di pornografia minorile rende improbabile che possa essere ridiscussa la questione di diritto intertemporale.

Il problema si sposterà allora sulla necessità di riempire di contenuto la nuova fattispecie risultante della riformulazione dell'art. 600-ter c.p. che, se ha il pregio di alzare la soglia di tutela, ha però il difetto di abbassare il quantum di tassatività della norma penale.

Dopo la novella della l. 172/2012 il discrimen tra condotta lecita e condotta illecita riposa, infatti, non su elementi oggettivo ma sul dolo specifico delle finalità sessuali: fotografare un bambino nudo, infatti diventa penalmente lecito oppure illecito a seconda degli scopi che si prefigge l'autore della rappresentazione.

Le fattispecie penali impostate su requisiti di tipo soggettivo, di solito, comportano incertezze applicative e difficoltà probatorie, incertezze e difficoltà che sono complicate nel caso in esame dalla circostanza che la finalità sessuale che riempie di contenuto la norma penale può anche appartenere non all'autore del fatto ma a coloro cui viene divulgato il materiale pedopornografico, con la complicazione ulteriore che questi ultimi, però, non sono un elemento necessario di fattispecie, posto che, per la integrazione del reato, occorre soltanto il pericolo di diffusività ma non la effettiva trasmissione a terzi delle immagini.

Il difetto di tassatività della nuova norma, che non chiede più che il minore sia ritratto in pose sessualmente esplicite, imporrà, pertanto, verosimilmente una correzione giurisprudenziale degli esatti contorni della nuova fattispecie.

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