Riciclaggio e dolo eventuale: i criteri di individuazione

04 Gennaio 2017

La suprema Corte ha annullato con rinvio una decisione del tribunale del riesame che aveva confermato l'ordinanza reiettiva da parte del Gip, con oggetto ...
Massima

In relazione al delitto di riciclaggio, ricorre il dolo eventuale quando chi agisce si rappresenta come seriamente possibile (ma non come certa) l'esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell'evento come conseguenza dell'azione e, pur di non rinunciare all'azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi, decidendo di agire "costi quel che costi", mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto. In particolare, il dolo, nella forma eventuale, non è escluso dalla circostanza che l'agente si sia rappresentato più possibili e diversi epiloghi della propria condotta, assumendo rilievo che egli comunque agisca accettando il rischio del verificarsi di uno di questi.

Il caso

La suprema Corte ha annullato con rinvio una decisione del tribunale del riesame che aveva confermato l'ordinanza reiettiva da parte del Gip, con oggetto una richiesta cumulativa di misura cautelare dell'obbligo di dimora e del divieto di esercitare l'attività professionale di money transfert (ovvero di applicare, in subordine, l'una o l'altra) avanzata nei confronti di un soggetto indagato per il delitto di riciclaggio continuato. Il provvedimento reiettivo si fondava sul mancato riconoscimento del dolo eventuale, con riguardo alla provenienza delittuosa del denaro relativo alle operazioni effettuate (nello specifico, provento di cessione di sostanze stupefacenti), in quanto l'attività sarebbe stata svolta in forza di un malinteso senso di cortesia verso la clientela o di mera indifferenza verso gli obblighi imposti.

La questione

La decisione della suprema Corte costituisce un rilevante arresto, non solo in quanto si sofferma sui principi ermeneutici funzionali alla individuazione del dolo eventuale in relazione al delitto di riciclaggio, quanto anche per aver sottolineato il particolare significato che tale forma di elemento soggettivo assume sul piano della politica criminale: Escludere la ricorrenza del dolo eventuale nel caso in esame, significa svuotare di fatto la portata precettiva delle disposizioni volte ad assicurare, da parte degli operatori del settore, quella efficace prevenzione e contrasto al fenomeno del riciclaggio, che, come noto, si esplica attraverso presidi volti anche a garantire la conoscenza del cliente, imponendo all'operatore di interrompere il rapporto allorché si rappresentino elementi tali da dubitare della lecita provenienza delle somme.

L'"apertura" verso il dolo eventuale assume pertanto una valenza sia in termini strettamente ermeneutici, sia anche (o forse soprattutto) per consentire una lettura in grado di assicurare l'effettività della tutela degli interessi rispetto ai quali la fattispecie è stata strutturata.

La suprema Corte ha così riaffermato il riconoscimento della rilevanza del dolo eventuale rispetto a ricostruzione orientate a escludere la rilevanza penale in punto elemento soggettivo del reato a fronte di condotte caratterizzate da disattenzione, noncuranza o di mero interesse verso la provenienza illegale delle somme ricevute o laddove l'imputato abbia agito sulla base di un mero sospetto.

Si tratta di una presa di posizione indubbiamente già espressa in passato, in ordine alla configurabilità del dolo eventuale nel riciclaggio, ritenuto ravvisabile laddove il soggetto agente si rappresenti la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa delle somme o beni oggetto della condotta (Cass. pen., Sez. II, 21 febbraio 2014, n. 8330; conf. Cass. pen., Sez. II, 13 marzo 2015, n. 10746).

La sentenza in commento approfondisce tale tematica, considerando l'"approccio" alle specifiche "criticità" delle indagini in tema di riciclaggio: la prova del reato presupposto e la conoscenza di quest'ultimo da parte del "riciclatore". Due questioni strettamente connesse e che tuttavia devono essere affrontate separatamente.

Sul primo aspetto le indicazioni della Cassazione sono chiare e sostanzialmente univoche: se il reato presupposto deve necessariamente collocarsi in una fase temporale antecedente rispetto al momento della ricezione del relativo provento da parte del riciclatore, non è tuttavia necessaria l'individuazione dell'esatta tipologia del delitto presupposto né la precisa indicazione della persona o delle persone offese, essendo sufficiente la prova logica della provenienza delittuosa delle utilità riciclate (Cass. pen., Sez. II, 15 maggio 2015, n. 20188). Non è pertanto indispensabile che il delitto presupposto risulti accertato giudizialmente, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile, che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (Cass. pen., Sez. II, 19 febbraio 2014, n. 7795; conf. Cass. pen., Sez. II, 13 marzo 2015, n. 10746).

Si tratta di indicazioni che assumono una portata - sul piano logico - decisiva in funzione del secondo dei temi indicati: se è possibile fondare un giudizio di responsabilità in tema di riciclaggio a prescindere da un accertamento giudiziale del reato presupposto, sarebbe singolare ritenere indispensabile al medesimo fine una completa conoscenza del reato da parte del riciclatore.

Non dimentichiamo che sempre la Cassazione (Cass. pen., Sez. V, 28 febbraio 2007, n. 8432) ha chiarito che in tema di riciclaggio di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, il criterio per distinguere la responsabilità in ordine a tale titolo di reato dalla responsabilità per il concorso nel reato presupposto - che escluderebbe la prima - non può essere solo quello temporale, occorrendo che il giudice verifichi altresì, caso per caso, se la preventiva assicurazione di "lavare" il denaro abbia realmente (o meno) influenzato o rafforzato, nell'autore del reato principale, la decisione di delinquere.

Una conoscenza "piena" del reato presupposto impone pertanto una verifica sulla possibilità di concorso nello stesso - in alternativa al reato di riciclaggio - laddove quale elemento della fattispecie di quest'ultimo si deve ritenere sufficiente la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che la stessa si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto (Cass. pen., Sez. II, n. 5 giugno 2015, n. 27806 n.m.).

Proprio in tale prospettiva la consapevolezza dell'agente in ordine alla provenienza dei beni da delitti può essere desunta da qualsiasi elemento e sussiste quando gli indizi in proposito siano così gravi ed univoci da autorizzare la logica conclusione che i beni ricevuti per la sostituzione siano di derivazione delittuosa specifica, anche mediata (Cass. pen., Sez. II, 14 dicembre 2009, n. 47375).

Le soluzioni giuridiche

L'interesse della sentenza in commento deve essere individuato nell'analisi che la stessa svolge in relazione ai rapporti economico-finanziari che si svolgono presso le agenzie di money trasfert. Si tratta di esercizi certamente non paragonabili – per caratteristiche e volume di affari – all'attività bancaria, presso i quali non necessariamente (e spesso anzi solo occasionalmente) viene a maturare un rapporto di conoscenza e fiducia tra l'utente e il gestore del servizio. Nondimeno, proprio i connotati di – apparente – informalità dell'attività in oggetto non possono esimere il titolare dell'agenzia da quegli obblighi di controllo e vigilanza richiesti dal sistema. Secondo la suprema Corte il tribunale, nel ritenere riconducibile a colpa e non a dolo dell'indagata la violazione degli obblighi imposti dalla normativa antiriciclaggio avrebbe sottovalutato la portata precettiva delle procedure di controllo, identificazione dei clienti e registrazione delle operazioni per un malinteso senso di cortesia verso la clientela o di mera indifferenza verso gli obblighi imposti.

In particolare la suprema Corte censura l'approccio tenuta dal tribunale del riesame, laddove ha escluso il dolo eventuale nell'agire dell'indagata, in favore di un'ipotesi alternativa secondo cui ella avrebbe agito sulla base di un mero sospetto, ovvero di disattenzione, di noncuranza o di mero interesse verso la provenienza illegale delle somme ricevute.

È interessante rilevare come la decisione abbia affrontato in termini "sistematici" la possibilità di lettura del rapporto. In primo luogo, non sarebbe rilevante l'assenza di rapporti pregressi specifici tra le parti, atteso che – ove la stesa fosse stata accertata – avrebbe potuto casomai indurre l'individuazione di un dolo diretto nella condotta della titolare dell'agenzia ( laddove la stessa fosse stata personalmente consapevole dell'attività di spaccio dell'autore del reato presupposto).

Una considerazione da applicarsi anche a fronte del secondo profilo esaminato, laddove il tribunale ha ritenuto che elemento a favore dell'indagata il fatto di non poter considerare il cliente dell'agenzia come "notorio criminale". Non può essere la "chiara fama" criminale dell'autore del reato presupposto l'elemento di discrimine per la valutazione dell'elemento soggettivo del delitto di riciclaggio (così da escludere lo stesso laddove tale fama non sia sufficientemente “condivisa” nell'ambito operativo del cliente dell'agenzia). Né, allo stesso modo, la non particolare rilevanza delle somme trasferite può di per sé sola giustificare un atteggiamento omissivo o comunque passivo da parte del titolare dell'agenzia.

Osservazioni

È il quadro complessivo – ancora una volta – che deve essere letto e interpretato, ossia la sussistenza di plurimi elementi indicativi di una sospetta provenienza del denaro, che si possono aggiungere all'entità delle somme: la natura ripetuta dei versamenti, l'intestazione a diversi e falsi nominativi, il trasferimento di somme comunque apprezzabili in relazione alla qualità del soggetto che chiede l'operazione.

Non solo: la decisione indica la necessità di rapportare la valutazione della somme trasferite alle condizioni personali del cliente (nel caso di specie di giovane età e privo di stabile attività lavorativa) specie laddove la giustificazione sul possesso delle stesse venga posta in relazione con attività non ufficiali (svolte in nero) e, oltretutto, non documentate in alcun modo. Lapidiaria e chiarissima la valutazione al riguardo: risulta assai inverosimile che un giovane che lavora in nero notoriamente mal pagato riesca a mantenersi in Italia e, al contempo, a trasferire all'estero tali importi con una così stabile e stretta cadenza temporale. Invero, se si ha riguardo alle modalità di trasferimento del denaro…. queste appaiono sintomatiche di una possibile illecita provenienza delle somme.

È proprio in questo quadro che la decisione ribadisce che, in relazione al delitto di riciclaggio, ricorre il dolo eventuale quando chi agisce si rappresenta come seriamente possibile (ma non come certa) l'esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell'evento come conseguenza dell'azione e, pur di non rinunciare all'azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi, decidendo di agire "costi quel che costi", mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto.

Calando il principio nel contesto specifico, nella sentenza viene evidenziato il fatto che la titolare dell'agenzia avrebbe fornito, durante conversazioni oggetto di intercettazione, suggerimenti forniti anche in ragione della esperienza maturata come money transfer da molti anni in particolare concordando con la clientela l'opportunità di inviare il denaro con un nome diverso e rammentando la sussistenza di limiti relativi al quantitativo da inviare in un determinato arco temporale da parte di una stessa persona.

In quest'ottica, la stessa avrebbe dimostrato non tanto e non solo di avere posto in essere una condotta genericamente negligente o imprudente, quanto – piuttosto – che il trasferimento delle somme in violazione della normativa di settore non sarebbe stato dovuto esclusivamente a ragioni di "cortesia" commerciale quanto al fine di assicurarsi e conservare un esteso giro di affari a scapito della necessità di svolgere con la dovuta attenzione quei controlli volti propri ad evitare il trasferimento di somme di provenienza illecita.

Una conclusione solo apparentemente caratterizzata da particolare rigore, ove si consideri che per fondare il giudizio sulla sussistenza del dolo eventuale non potrebbe considerarsi sufficiente un rimprovero modulato su un'astratta omissione in termini di diligenza, occorrendo fondare il giudizio in tal senso su elementi concreti dai quali desumere la rappresentazione e la conseguente accettazione del risultato della condotta.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.