Violazione dell'obbligo di soggiorno. Le soluzioni delle Sezioni unite

Naike Petrosino
04 Aprile 2016

In tema di misure di prevenzione, la condotta del soggetto, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, che ometta di portare con sé e di esibire, agli agenti che ne facciano richiesta, la carta di permanenza, integra la contravvenzione prevista dall'art. 650 c.p. – e non il delitto di cui all'art. 9, comma 2, della legge 1423 del 1956.
Massima

In tema di misure di prevenzione, la condotta del soggetto, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, che ometta di portare con sé e di esibire, agli agenti che ne facciano richiesta, la carta di permanenza di cui all'art. 5, ultimo comma, della legge 1423 del 1956 (attualmente art. 8 d.lgs. 159 del 2011), integra la contravvenzione prevista dall'art. 650 c.p. – e non il delitto di cui all'art.9, comma 2, della legge 1423 del 1956 (attualmente art. 75, comma 2, d.lgs. 159 del 2011) – perché costituisce inosservanza di un provvedimento della competente autorità per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico, preordinato soltanto a rendere più agevole l'operato delle forze di polizia.

Il caso

Occorre preliminarmente analizzare la vicenda processuale che ha dato luogo alla pronuncia che si commenta: un individuo soggetto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno contravveniva all'obbligo di portare con se la carta di permanenza. L'imputato quindi era chiamato a rispondere del delitto di cui all'art. 9, comma 2, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423.

All'esito del giudizio di merito di primo grado era condannato a pena di giustizia per il diverso reato di cui all'art.650 c.p.

Avverso detta pronuncia erano proposti i relativi gravami (in appello e poi alla suprema Corte di cassazione) sul rilievo che nel caso di specie andava applicato l'art. 9, comma 2, legge 1423 del 1956 siccome il soggetto, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, pur non avendo concretamente violato gli obblighi impostigli per ciò che concerne l'obbligo di soggiorno, si era sottratto colposamente a quanto disposto ai sensi dell'art. 5 della legge del 1956. Nell'impugnazione si sottolineava, pure la natura assolutamente cogente dell'obbligo giacché funzionalmente ordinato a consentire alle forze di polizia il controllo del rispetto delle prescrizioni. In tal caso, quindi, non sarebbe attribuito al giudice alcun potere dispositivo, dovendo limitarsi ad applicare la fattispecie astratta senza dunque poterne modulare l'ambito d'azione.

La seconda Sezione penale della Corte di cassazione, investita del ricorso, ha registrato la sussistenza di distinti orientamenti sul tema e di conseguenza ha rimesso la decisione alle Sezioni unite con ordinanza del 20 febbraio 2014, affinché risolvesse il contrasto giurisprudenziale interno alla stessa Corte.

La questione

Prima di addentrarci nell'analisi dei diversi filoni giurisprudenziali, emersi in tema di violazione dell'obbligo da parte del sorvegliato speciale di esibire la carta di permanenza, è necessario soffermarci, seppur brevemente, sul quadro normativo di riferimento.

In primis occorre rilevare che ai sensi dell'art. 9 della legge 27 dicembre 1956 n. 1423, la violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale punisce chi, sottoposto agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale ne contravviene, appunto, agli obblighi individuati nel decreto applicativo.

L'art. 8 della legge 14 ottobre 1974 n.497 ha modificato l'art. 9 della legge 1423/1956 così come la legge 13 settembre 1982 n. 646, che ha poi operato un importante distinguo tra la violazione degli obblighi, qualificando tale fattispecie come delitto, e la violazione delle prescrizioni inerenti agli obblighi, integrante una contravvenzione. L'art 12 della legge 646/1982 è stato successivamente trasfuso, senza rilevanti modifiche, nell'art. 23 del d.l. 8 giugno 1992, n.306 convertito dalla legge 7 agosto 1992 n. 356.

Tuttavia il passaggio decisivo è stato occasionato dalla novella del 2005, che ha integralmente riscritto l'art. 9 con disposizione poi integralmente recepita dal d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159.

Tale stratificazione normativa ha creato non pochi contrasti giurisprudenziali, recentemente risolti grazie all'intervento decisivo delle Sezioni unite della Corte di cassazione.

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza maggioritaria ,seguendo le linee-guida tracciate dal legislatore a partire dalla novella del 2005, ha in plurime occasioni affermato che, scomparsa la distinzione tra la violazione della misura di sicurezza e le prescrizioni imposte in virtù di siffatti provvedimenti, qualsivoglia condotta contraria agli obblighi gravanti sul soggetto “sorvegliato speciale” integra l'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 9, comma 2, della legge 1423 del 1956.

Pertanto era stato ritenuto da escludere radicalmente che le suddette violazioni potessero configurare una mera contravvenzione riconducibile nell'alveo dell'art 650 c.p. (In tal senso cfr. Cass. pen., Sez. I, 21 dicembre 2005, n. 1485; Cass. pen., Sez. I, 13 dicembre 2006, n. 2217; Cass. pen., Sez. I, 6 novembre 2008, n. 47776; Cass. pen., Sez. I, 21 ottobre 2009, n. 42874; Cass. pen., Sez. I, 18 giugno 2013, n. 35567; Cass. pen., Sez. I, 5 dicembre 2011, n. 1366; Cass. pen., Sez. I, 7 aprile 2011, n. 21210.).

Particolarmente significativa sul punto è la pronuncia del 18 maggio 2013 n. 35567 ove è espressamente chiarito che integra il reato previsto dall'art. 9, comma 2, legge 1423 del 1956, la violazione, da parte della persona sottoposta a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, della prescrizione di portare con sé la carta precettiva consegnatagli all'atto della sua sottoposizione alla misura di prevenzione personale che deve essere esibita ad ogni richiesta da parte della polizia giudiziaria, affinché quest'ultima possa verificare il rispetto, da parte del sorvegliato, delle prescrizioni alle quali il medesimo è tenuto.

Le decisioni successive esplicitano la ratio di tale scelta interpretativa finalisticamente orientata a favorire il controllo su soggetti particolarmente pericolosi e a rendere effettivi gli obblighi imposti dall'autorità giudiziaria, stroncando, quindi, sul nascere eventuali condotte devianti.

Al contrario nel tempo aveva preso corpo un diverso indirizzo interpretativo (cfr. Cass. pen.,Sez. VI, 7 luglio 2003, n.36787 e Cass. pen., Sez. I, 18 ottobre 2011, n. 2648) nelle cui decisioni, la Corte di cassazione sebbene tenga a sottolineare che l'obbligo imposto al sorvegliato speciale di portare con sé la carta di permanenza per esibirla ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza abbia quale finalità precipua quella di garantire la sicurezza pubblica, giunge ad una conclusione opposta per ciò che concerne il profilo sanzionatorio.

In effetti, secondo questa giurisprudenza, l'interpretazione maggiormente rispettosa del principio costituzionale di proporzionalità tra incidenza dell'illecito e gravità della sanzione è quella che, muovendo dalla distinzione tra la violazione dell'obbligo di soggiorno e le violazioni connesse alle prescrizioni generiche previste dall'art. 5 della legge n. 1423 del 1956, ritiene che la semplice violazione delle prescrizioni accessorie imposte in capo al soggetto passivo, integra una contravvenzione sanzionata ai sensi dell'art 650 c.p. giacché, concretamente, non comporta una vanificazione sostanziale della misura imposta.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione con la citata sentenza del 29 maggio 2014 n. 32923 hanno ritenuto di aderire all'indirizzo minoritario in quanto in primo luogo è necessario muovere dalla distinzione concettuale tra la violazione dell'obbligo, imposto al sorvegliato speciale, e la violazione di semplici prescrizioni pur non obliterando che l'attuale quadro normativo di riferimento possa facilmente creare facili equivoci avendole equiparate quoad poenam. In pratica, se l'obbligo crea in capo al sorvegliato speciale un aliquid facere (o non facere), viceversa la prescrizione prevede un quomodo facere presupponendo, dunque, a monte la sussistenza di un obbligo.

Secondo tale giurisprudenza di legittimità la soluzione risulta, poi, imposta da un'analisi testuale del d.l. 144/2005. Ebbene, chiariscono i giudici di legittimità, dal combinato disposto degli artt. 9, 5 e 6 discende che non essendo il sorvegliato speciale sottoposto ad un effettivo facere o non facere ma, rivestendo il ruolo di soggetto passivo, il vincolo comportamentale che viene imposto (indubbiamente collegato ad un pati del sorvegliato qualificato) non può non essere presidiato dalla sanzione contravvenzionale.

Inoltre, a ben vedere, la violazione dell'obbligo di portare con se la carta di permanenza non può essere configurato neppure come una vera e propria prescrizione poiché non si traduce né in una restrizione (spaziale o temporale) della libertà di circolazione, né nell'impegno di assumere l'habitus del bonus civis, con una stabile dimora e un onesto lavoro. Si tratta semplicemente di una disposizione volta a rendere più agevole l'operato delle forze di polizia, di una sorta di cooperazione forzosa del controllato con i suoi controllori.

L'adesione delle Sezioni unite della Corte di cassazione a tale indirizzo minoritario si aggancia anche all'analisi compiuta dai giudici di legittimità della giurisprudenza europea (cfr. Corte Edu, Grande Camera, ric. 26772/95 del 6 aprile 2000, Labita c. Italia) e costituzionale (cfr. sentenza del Giudice delle Leggi n. 161 del 2009 e n. 282 del 2010).

Ed invero sebbene la stessa Corte costituzionale nel 2009 abbia ritenuto compatibile con il dettato della Costituzione l'equiparazione quoad poenam della violazione degli obblighi e della violazione delle prescrizioni, con la successiva decisione del 2010 lo stesso Giudice delle leggi, applicando i precetti costituzionali (art 13 e 25 Cost.), ha ribadito con forza la necessità di mantenere una stretta correlazione tra la pena e la concreta offensività del fatto.

Su tali basi e valorizzando il principio di proporzionalità nonché la ratio essendi della normativa in esame, la Corte di cassazione ha aderito all'indirizzo minoritario sul rilievo che trattasi in definitiva di condotta omissiva certamente bagattellare.

Da ultimo non bisogna certamente sottovalutare l'elemento piscologico proprio perché il delitto sanzionato ex art.9 della legge 1423 del 1956 è certamente delitto doloso (non essendo espressamente prevista l'ipotesi colposa).

Osservazioni

Le Sezioni unite valorizzando un indirizzo giurisprudenziale minoritario, mediante un'interpretazione conforme ai principi costituzionali ed europei, hanno affermato il seguente principio di diritto: il sorvegliato speciale, sottoposto all'obbligo o al divieto di soggiorno che non porti con sé e non esibisca a richiesta di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria la carta di permanenza risponde della contravvenzione di cui all'art. 650 cod. pen.

In buona sostanza con una condivisibile valorizzazione dei principi di offensività, proporzionalità ed adeguatezza delle sanzioni penali la Corte di Cassazione ha evitato che, in ragione della necessità di un controllo capillare e rigoroso nei confronti dei “sorvegliati speciali”, vi fosse l'applicazione di pene particolarmente severe per condotte omissive “bagattellari” che in ogni caso non sono tali da compromettere gravemente l'adempimento dell'obbligo principale.

Le condotte, infatti, sanzionate ai sensi dell'art. 9 della legge 27 dicembre 1956 n. 1423 sono solo quelle espressive di una effettiva volontà di ribellione all'obbligo o al divieto di soggiorno, ovverosia solo quelle che possano comportare la sostanziale vanificazione della misura.

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