Riforma Orlando: servono soluzioni condivise

04 Maggio 2017

La riforma Orlando sembra arrivata alla stretta finale. Il d.d.l. approvato con la fiducia al Senato è calendarizzato a metà maggio per l'aula della Camera dei deputati. Si tratta di un provvedimento che si occupa di diritto penale, di procedura penale, di diritto penitenziario. Nell'intento ambizioso di sciogliere alcuni nodi del nostro sistema di giustizia penale, sono stare recepite sollecitazioni eterogenee. Nella speranza di raccogliere un ampio consenso, la navigazione è stata molto travagliata ...

La riforma Orlando sembra arrivata alla stretta finale. Il d.d.l. approvato con la fiducia al Senato è calendarizzato a metà maggio per l'aula della Camera dei deputati. Si tratta di un provvedimento che si occupa di diritto penale, di procedura penale, di diritto penitenziario.

Nell'intento ambizioso di sciogliere alcuni nodi del nostro sistema di giustizia penale, sono stare recepite sollecitazioni eterogenee. Nella speranza di raccogliere un ampio consenso, la navigazione è stata molto travagliata, e condizionata dalla precarietà della maggioranza e dalle resistenze della magistratura e dell'avvocatura. Sono emerse così non poche perplessità in Parlamento, dove i vari gruppi si sono fatti interpreti della contrarietà dei magistrati e degli avvocati.

In particolare, la magistratura ha avanzato, e continua a prospettare, forti riserve che sfociano in una contrarietà molto diffusa relativamente a quanto previsto dal comma 30, ove si prevede che qualora il pubblico ministero esauriti gli adempimenti di cui all'art 415-bis non eserciti l'azione ovvero non richieda l'archiviazione il procuratore generale provveda ad avocare il procedimento, salvo che non conceda al pubblico ministero un termine di tre mesi, quindici per i procedimenti di criminalizzata organizzata.

I sostenitori della proposta evidenziano prassi distorte per le quali i procedimenti restano in standby ingiustificato per tempi molto lunghi con pregiudizio per la condizione degli imputati.

Le riserve che la magistratura evidenza sono di varia natura. Sotto il profilo organizzativo, i magistrati evidenziano in sintesi: la mancanza di organici; gli adempimenti esecutivi legati alla lunghezza dei tempi per la digitalizzazione dei fascicoli; le difficoltà dello scorrimento a dibattimento di tutti i procedimenti, per l'impossibiltà del loro svolgimento per l'elevato numero, con intasamento dei ruoli di udienza; l'impossibilta per la procura generale di dare seguito all'attività non espletata dalla procura territoriale. Non sono celati, inoltre, timori relativi a scelte non condivise delle procure generali, nonché il rischio che scorrano a dibattimento solo le cause meno significative. Altre ragioni potrebbero essere addotte.

Non può non ritenersi tuttavia che, al di là del fondamento o meno di queste ragioni – non tutte condivisibili, peraltro – il vero punctum dolens della questione sia costituito dai timori del riapparire della verticalizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, già evidenziatosi con la riforma ordinamentale attraverso l'attività di indirizzo del capo dell'ufficio. Invero segnali in tal senso non mancano né nelle proposte della commissione Vietti né nella stessa riforma Orlando.

Queste argomentazioni sono riproposte anche dalla nuova giunta dell'Associazione nazionale magistrati (della quale peraltro non può non essere sottolineata una diversità di approccio alla riforma Orlando). Si invita in particolare il Governo a considerare con attenzione le riserve che nei confronti della riforma vengono prospettate dai vari protagonisti del mondo che opera nella attività giudiziaria. Si tratta di una impostazione che non può non essere condivisa. Non si tratta di evitare di varare il d.d.l. in questione e neppure forse di stralciare alcune parti del provvedimento ma di ripensarne alcuni aspetti.

Si tratta di atteggiamento responsabile che tuttavia sollecita una metabolizzazione da parte della politica, che richiede un qualche spazio temporale. Non pare che qualche settimana di riflessione, dopo tutto il tempo nel quale il d.d.l. è rimasto impantanato nelle difficoltà di sciogliere i nodi delle maggioranze parlamentari, possano essere di ostacolo. Anzi, anche se la legge non suscita entusiasmi, se il Ministro conducesse in porto alcune modifiche condivise, la cosa non potrebbe che essere valutata positivamente.

Deve tuttavia riconoscersi che le motivazioni sottese alla richiesta che il pubblico ministero non trattenga indebitamente per lungo tempo un fascicolo processuale non appaiono pretestuose, considerando che si tratta di indagini che, a seguito del deposito, hanno esaurito il loro termine massimo e che non è preclusa al P.M. un'attività integrativa, suppletiva, parallela.

Appare allora necessario individuare una soluzione che tenga conto di quanto diversamente sostenuto da magistrati ed avvocati.

Esiste già un termine di trenta giorni entro il quale, per determinati reati, il P.M. deve determinarsi tra rinvio a giudizio e archiviazione. Si tratta di prospettare un termine più lungo per i reati estranei all'area della criminalità organizzata, che potrebbe essere fissato in tre-quattro mesi. Nell'eventualità in cui il pubblico ministero non si sia determinato, l'imputato che lo desideri potrebbe inoltrare una richiesta al pubblico ministero, il quale dovrà pronunciarsi obbligatoriamente nel termine di altri tre-quattro mesi. Il mancato pronunciamento andrebbe valutato disciplinarmente e, a quel punto, un'avocazione da parte del procuratore generale risulterebbe pienamente giustificata. In questo modo, il P.M. potrà valutare – come accade oggi – con quali tempi pronunciarsi in relazione a criteri di priorità o di rischio di prescrizione ma pure l'imputato potrà decidere se chiedere l'accelerazione del procedimento, oppure far scorrere la prescrizione, oppure attendere le determinazioni dell'accusa per non correre il rischio di un rinvio a giudizio che con l'attesa potrebbe essere evitato.

Il potere dell'indagato in questa materia trova del resto un implicito ma preciso riferimento nella modifica introdotta alla legge Pinto, ove si prevede che coloro che vogliono richiede il ristoro del danno dalla durata del processo devono sollecitare la sua definizione.

l termine entro il quale il P.M. dovrebbe determinarsi in ordine all'esercizio dell'azione penale decorrerebbe dalla presentazione della richiesta dell'indagato e il primo termine servirebbe proprio a far scattare nella sua decorrenza minima il secondo termine.

In tal modo si eviterebbero quegli automatismi che la riforma vuole prevedere. Del resto, l'attuale varietà di riti, di carichi, di pendenze, di uffici, non può essere affrontata con scansioni procedimentali omogenee e lineari.

Probabilmente la proposta non è il meglio ma spesso il meglio è nemico del bene e se può favorire un componimento bilanciato delle opposizioni alla riforma, forse merita di essere esaminata.

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