La lotta del diritto contro l'Isis nella prima pronuncia del tribunale di Milano nella vicenda di Lady-Jihad

Monica Raimondi
04 Luglio 2016

La rinnovata e drammaticamente attuale minaccia del terrorismo di matrice islamica nei confronti degli stati occidentali ha già investito la giurisprudenza – anche nel nostro Paese – del delicato compito di definire il perimetro delle condotte di partecipazione ad associazioni terroristiche riconducibili alla figura delittuosa di cui all'art. 270-bis, comma 2, c.p.
Abstract

La rinnovata e drammaticamente attuale minaccia del terrorismo di matrice islamica nei confronti degli stati occidentali ha già investito la giurisprudenza – anche nel nostro Paese – del delicato compito di definire il perimetro delle condotte di partecipazione ad associazioni terroristiche riconducibili alla figura delittuosa di cui all'art. 270-bis, comma 2, c.p. La sentenza del tribunale di Milano qui in commento, relativa a una vicenda di rilevanza mediatica, si misura con tale problema proponendo un'interpretazione estensiva della citata fattispecie delittuosa, evidentemente dettata dall'esigenza, in chiave preventiva, di realizzare una progressiva anticipazione della punibilità delle condotte inerenti ad attività di terrorismo. Come è facilmente intuibile, il rischio immanente a una giurisprudenza che si faccia carico di esigenze preventive – per quanto di indubbio rilievo – è quello di oltrepassare il perimetro del penalmente rilevante, che in un sistema retto dal principio di legalità (art. 25, comma 2, Cost.) solo la legge può e deve delineare.

La prima sentenza nel procedimento contro "Lady Jihad"

La sentenza qui segnalata ha ad oggetto una vicenda nota alle recenti cronache: la scelta intrapresa da una giovane italiana (MG.S.), ribattezzata dai media "Lady Jihad", di abbracciare la causa dello Stato islamico e di trasferirsi in Siria con il marito albanese (A.K.).

La sentenza affronta in particolare i soli profili di responsabilità penale di famigliari e amici della coppia, accusati di aver preso parte anch'essi alla medesima associazione terroristica e nei confronti dei quali si è proceduto separatamente (con il rito abbreviato).

La pronuncia è rilevante non solo per la sua parte in fatto ma anche per quella in diritto: il Gip di Milano si è infatti misurato con un importante nodo interpretativo, oggetto di rinnovata attenzione da parte della recente giurisprudenza: la definizione del perimetro delle condotte ascrivibili al reato di partecipazione ad associazione terroristica (si vedano, ad esempio: Cass. pen., Sez. I, 21 dicembre 2015, n. 7167; Cass. pen., Sez. I, 9 settembre 2015, n. 40699; Cass. pen.,Sez. I, 6 ottobre 2015, n. 47489; Cass. pen.,Sez. VI, 30 marzo 2016, n. 17171)

Tale impegno è stato sollecitato dal Legislatore nazionale ed internazionale che ha adottato più stingenti norme punitive per le condotte inerenti ad attività di terrorismo di matrice islamica, come ad esempio la risoluzione del Consiglio delle Nazioni unite n. 2178 del 24 settembre 2014 e il successivo d.l. 7 del 18 febbraio 2015, con l'obiettivo di rafforzare la lotta contro lo Stato islamico.

Pare utile, pertanto, sintetizzare i profili più rilevanti della presente sentenza.

I fatti e la struttura motivazionale della sentenza

Come anticipato, il nucleo fondamentale della vicenda oggetto della sentenza in esame è il trasferimento nei territori occupati dallo Stato islamico di una giovane coppia italo-albanese. I due, conosciutisi per il tramite di uno degli imputati, si sono rapidamente sposati per poter immediatamente partire verso la Siria. Si sono, quindi, recati in Turchia da dove, servendosi della struttura dell'Isis a ciò preposta, hanno potuto raggiungere la cittadina di Sed Forouk in Siria. Qui pervenuti, si sono resi disponibili alle esigenze dello Stato islamico, in particolare addestrandosi militarmente, impegnandosi in operazioni di “polizia religiosa” ed approfondendo lo studio del Corano.

Hanno svolto anche incessante attività di persuasione ed indottrinamento dei famigliari rimasti in Italia per determinarli a compiere analoga scelta. MG.S è riuscita a persuadere i propri genitori a raggiungerla, grazie all'aiuto della sorella, anch'essa imputata nel presente procedimento, che, convivendo con gli stessi, ha potuto vincere le loro resistenze.

I preparativi per il viaggio sono stati, però interrotti dall'intervenuto arresto del nucleo famigliare e degli altri soggetti coinvolti, a vario titolo, nel matrimonio e nel trasferimento dei due giovani.

L'accusa mossa dal P.M. a tutti gli imputati è quella di partecipazione nella associazione terroristica di cui all'art. 270-bis c.p., sull'assunto che ciascuno avesse fornito un contributo operativo, anche solo di natura logistica, alle stragi, agli omicidi sistematici e alle atrocità criminali proprie dello Stato Islamico, assunto accusatorio che il giudice ha ritenuto provato per ciascun imputato, ad esclusione di G.D.

Il percorso motivazionale che ha condotto il giudice ad assumere tale decisione si snoda, fondamentalmente, in due passaggi che verranno di seguito brevemente illustrati:

  1. il riconoscimento dell'Isis quale associazione terroristica ai sensi dell'art. 270-bis c.p.;
  2. la riconducibilità delle singole condotte di ciascun imputato al reato di partecipazione ad associazione terroristica ai sensi dell'art. 270-bis, comma2, c.p.
Riconducibilità dell'Isis alle associazioni aventi finalità di terrorismo di cui all'art. 270-bis c.p.

In primo luogo, il giudice motiva la riconducibilità dell'Isis alla fattispecie descritta dall'art. 270-bis c.p., ossia ad un'associazione avente finalità di terrorismo. Tale passaggio è fondamentale per la costruzione di un paradigma giuridico che offra uno scheletro di legalità alla lotta intrapresa dai governi occidentali contro gli atti di terrorismo rivendicati dallo Stato islamico, inevitabilmente rivestita dei caratteri di reattività ed emergenza.

La dimostrazione della natura terroristica dell'Isis viene argomentata dal giudice sulla base di tre rilievi:

  1. l'esistenza di un apparato organizzativo ben strutturato;
  2. il compimento di numerosi atti di terrorismo da esso rivendicati;
  3. il riconoscimento nazionale e internazionale della finalità terroristica dello stesso.

Per quanto riguarda l'apparato organizzativo, il giudice evidenzia come le indagini condotte sull'Isis abbiano identificato i tratti di una struttura ben organizzata che consente di ricondurre la stessa alle associazioni aventi finalità di terrorismo rilevanti ai sensi dell'art. 270-bis e 270-sexies c.p.

La descrizione delle caratteristiche proprie di tale organizzazione, della sua struttura e modus operandi, tuttavia, oltre a provare l'esistenza di un elemento costitutivo del reato contestato, offre un importante contributo alla giurisprudenza, in quanto integra quel bagaglio d'esperienza, ancora estremamente esile per quanto riguarda il terrorismo di matrice islamica, che consenta di imputare con sufficiente certezza determinate condotte all'adempimento di precisi doveri stabiliti dall'associazione stessa.

È stato possibile, quindi, rilevare la capacità dello Stato islamico di ricevere aiuti esterni e di organizzarne il collocamento entro la struttura dello stesso, mediante cellule dislocate in punti strategici. Inoltre si è potuto costatare che l'Isis, all'interno dei territori da esso occupati tra la Siria e l'Iraq, ha creato la struttura propria di uno stato legittimo (si pagano i tributi, è impartita l'istruzione obbligatoria, è presente un sistema sanitario e di polizia) sorretto dall'applicazione letterale della Sharia.

Tuttavia, il giudice non esita ad affermare che dietro alla parvenza di uno Stato legittimo perfettamente organizzato, si cela un progetto politico portato avanti con metodi terroristici il cui scopo ultimo è il sovvertimento degli stati democratici a cui le truppe con il vessillo nero vogliono sostituite la rigida applicazione della legge islamica(p. 13 della sentenza).

L'Isis è, infatti, definito dalla sentenza come uno stato terrorista operante a livello sovranazionale, dotato di un apparato organizzativo estremamente sofisticato, all'interno del quale, con una ripartizione dei ruoli operano uomini e donne, provenienti da ogni parte del globo, che svolgono molteplici compiti: dalla propaganda attuata essenzialmente attraverso la diffusione sul web, al reclutamento, all'indottrinamento, al combattimento, all'assistenza agli associati sia nei territori del califfo che nel territorio estero. Organizzazione che certamente consente di ricondurre l'IS sotto il paradigma dell'art. 270 bis c.p. (p. 15 della sentenza).

In secondo luogo il giudice elenca una serie di atti terroristici verificatisi nel corso del 2015, rivendicati dall'Isis. Tra essi si ricordano, a titolo esemplificativo, l'attentato del 31 ottobre 2015, in cui hanno perso la vita 224 persone a causa dello schianto di un airbus russo decollato da Sharm El Sheik sui monti del Sinai, o ancora l'attentato del 13 novembre 2015 a Parigi che ha visto l'uccisione di 129 persone e il ferimento di oltre 350 persone ad opera di affiliati all'Isis cha hanno agito simultaneamente in svariati luoghi di ritrovo nella città.

Nella sentenza si pone in luce come il perseguimento di finalità violente e di sovvertimento dell'ordine democratico degli Stati che non si riconoscono nell'applicazione della Sharia sia uno degli scopi primari dello Stato islamico, come dimostra il discorso tenuto il 29 aprile 2014 da Abu Bakr Al Baghdadi che ha segnato la nascita del califfato tra la Siria e l'Iraq, nel quale è stato fatto esplicito riferimento alla conquista di Roma.

Il califfato ha creato una vera e propria milizia che combatte per l'ampliamento dei confini dello Stato islamico, alimentata da combattenti (i mujaheddin) provenienti da svariati paesi del mondo. Una conversazione intercettata via Skype tra M.G.S. e i propri famigliari esprime efficacemente l'imperativo alla conversione forzata dei miscredenti che l'Isis inculca nei propri seguaci: … Al Baghdadi ha fatto un nuovo annuncio e ha detto Giuro su Dio chi non può venire qua deve fare Jihad nei paesi in cui si trova! Solo così io do cosa lecita…Il Jihad per la causa di Dio è un dovere obbligatorio […].

Il terzo indice portato dal giudice a sostegno della natura terroristica dell'Isis consiste nel riconoscimento internazionale e nazionale dello stesso come associazione avente finalità di terrorismo. Tra le varie fonti internazionali, viene citata in sentenza la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2249 del 20 novembre 2015 che ha stabilito che a causa della sua ideologia estremista violenta, dei suoi atti terroristici […] lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, conosciuto anche come Daesh, costituisce una minaccia globale e senza precedenti alla pace ed alla sicurezza internazionale.

Sul fronte nazionale si cita invece la recente sentenza della Cassazione penale n. 47489 del 6 ottobre 2015 (v. DE BELLIS, L'apologia dello Stato islamico commessa tramite internet è reato) che ha affermato che la natura di associazione terroristica dell'IS – e non di Stato – è sancita da Autorità Internazionali vincolanti nell'ordinamento.

Infine, la sentenza sottolinea, richiamando ampi stralci della citata sentenza della Cassazione e di altra sentenza da quest'ultima ripresa (Cass. pen., Sez. V, 11 giugno 2008, n. 31389 ), il profilo "fluido" di detta associazione terroristica, non rigidamente strutturato, tale da consentirle di adattarsi ai diversi contesti in cui le cellule si stanziano e agli obiettivi che le singole possono agevolmente raggiungere per concorrere al rafforzamento dell'associazione nel suo complesso.

La condotta di partecipazione ad associazione avente finalità terroristica

Alla luce di quanto premesso, la sentenza si occupa, quindi, della specifica fattispecie di reato contestata agli imputati, ossia la partecipazione ad associazione avente finalità di terrorismo ai sensi dell'art. 270-bis, comma 2, c.p.

A fronte della totale assenza di precisazioni nel dettato normativo, che cosa debba intendersi per partecipazione è questione aperta nella giurisprudenza, la cui definizione è oggetto di recente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Stanti, infatti, le peculiari caratteristiche delle associazioni terroristiche di matrice islamica che non consentono di servirsi delle consolidate categorie di associazionismo di stampo mafioso o finalizzate al traffico di stupefacenti, la giurisprudenza sta elaborando nuovi paradigmi interpretativi.

La sentenza si focalizza sulla necessità di colpire una struttura “fluida”, caratterizzata da legami anche deboli tra le varie cellule ma egualmente operativi. Viene quindi scelta un'applicazione dell'art. 270-bis, comma 2, c.p. di ampio raggio, sulla base di un'interpretazione sistematica della normativa di contrasto al fenomeno terroristico come novellata dai recenti interventi normativi conseguenti a specifici attentati terroristici.Il giudice, infatti, riporta le novità normative introdotte con il d.l.144 del 2005 in seguito agli attentati di Londra di stampo Jihadista, con il quale il Legislatore ha inteso definire le condotte aventi finalità di terrorismo, con l'introduzione dell'art. 270-sexies c.p., e punire una serie di condotte sintomatiche e prodromiche di uno stabile inserimento nei sodalizi criminosi aventi finalità di terrorismo internazionale (p. 37 della sentenza), in particolare l'arruolamento e l'addestramento (rispettivamente art. 270-quater e 270-quinques c.p.).

La decisione quadro 2008/919/Gai del Consiglio dell'Unione europea del 28 novembre 2008, in modifica della precedente decisione quadro 2002/475/Gai, ha definito le condotte dei reati-scopo delle associazioni terroristiche, ricomprendendo nella nozione di arruolamento ogni attività di induzione e reclutamento a fini terroristici (in realtà tale decisione quadro, all'art. 3, definisce più propriamente la nozione reclutamento come induzione a commettere uno dei reati di cui all'art. 1, par. 1 lettera da a) a h), o all'art. 2, par. 2 della decisione quadro 2002/475/Gai).

La sentenza prosegue illustrando come le misure successive ai recenti attentati di Parigi, adottate dall'Italia in esecuzione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite n. 2178 del 2014, abbiano ulteriormente ampliato le fattispecie punitive degli atti di terrorismo, ricomprendendo altre condotte prodromiche, quale, ad esempio, la condotta di auto-arruolamento punita ai sensi dell'art 270-quater c.p. Tale reato ha lo scopo prioritario di evitare che individui presenti sul territorio italiano, in contatto prevalentemente via internet con soggetti all'estero, pur se ancora privi di accresciuta capacità terroristiche, siano disponibili ad essere addestrati in campi paramilitari all'estero e possano un giorno tornare e compiere attentati in Italia. La sentenza in commento aggiunge che tale delitto mira, in sostanza, a sanzionare anche, in fatto, l'allontanamento dal territorio dello stato di soggetti disponibili ad essere addestrati (p. 38 della sentenza).

Altra fattispecie introdotta nel 2015 è quella di cui all'art. 270-quater1 c.p. che punisce chi, fuori dai casi di cui all'art. 270-bis e 270-quater c.p. organizzi, finanzi o propagandi viaggi finalizzati al compimento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all'art. 270-sexiesc.p.

La sentenza in commento offre la propria chiave interpretativa della normativa analizzata, sostenendo che il quadro normativo introdotto dal 2005 mostra quindi una progressiva tendenza ad anticipare la soglia di rilevanza penale, anticipandola non più solo al momento in cui si “attenta” ma anche alle condotte preparatorie di chiunque “pone in essere comportamenti” che sono caratterizzati sul piano soggettivo dal dolo di commettere le condotte di cui all'art. 270-sexies(p. 39 della sentenza).

Tale interpretazione viene corroborata dalla citazione di recente giurisprudenza che ha adottato un analogo criterio ermeneutico del quadro normativo descritto.

Si cita, infatti, la sentenza n. 40699 del 9 ottobre2015 della Cass. pen., Sez. I, nella quale la nozione di arruolamento è intesa come l'accrescimento anche di un solo soggetto della potenzialità di offesa del sottostante gruppo (militare, paramilitare, semplice cellula operativa), in presenza della finalità terroristica di cui all'art. 270-sexiesc.p., accrescimento per il quale è sufficiente il mero raggiungimento di un accordo tra arruolato e arruolante.

Detta sentenza, in analogia ad altre più recenti sentenze ha, inoltre, affermato l'esistenza degli estremi del delitto ex art. 270-bis c.p. in presenza di condotte di supporto all'azione terroristica di organizzazioni riconosciute come tali, quali quelle volte al ‘proselitismo, alla diffusione di documenti di propaganda, all'assistenza agli associati, al finanziamento, alla predisposizione o acquisizione di documenti falsi, all'arruolamento, all'addestramento, ossia a tutte quelle attività funzionali all'azione terroristica, etc, alcune delle quali integranti anche fattispecie delittuose autonome, - fuori dai casi di concorso nel reato di cui all'art. 270- bis c.p.

Alla luce di quanto premesso, la sentenza in esame considera integrato il reato di cui all'art. 270-bis,comma 2, c.p. in presenza di una qualsiasi azione di supporto all'associazione terroristica (di cui quelle elencate nella sentenza sopracitata sono da intendere come mere esemplificazioni), supportata dal dolo di commettere le condotte di cui all'art. 270-sexies c.p.

Si sottolinea come il giudice non abbia ritenuto necessario definire quando tale tipo di sostegno sia effettivamente sintomatico di un inserimento stabile nella struttura organizzativa dell'Isis, né ha dimostrato tale nesso nelle motivazioni relative all'imputazione delle singole condotte.

Avendo così definito la condotta prevista dall'art. 270-bis, comma 2, c.p., tutti gli imputati del presente caso sono stati ritenuti responsabili di partecipazione allo Stato islamico per aver fornito un contributo operativo, anche solo di natura logistica, alle stragi, agli omicidi sistematici e alle atrocità criminali (pag. 36 della sentenza) proprie di quest'ultimo, attraverso diverse condotte.

Complessivamente, tali condotte, poste in essere in misura diversa dai singoli imputati, sono consistite in:

  • aver compiuto attività di proselitismo/ propaganda in favore dello Stato islamico attraverso dialoghi personali o per il tramite di un gruppo di studio dalla forte connotazione jihadista nel quale il nuovo discente veniva inserito da alcuni degli imputati; aver maturato la decisione di trasferirsi nei territori del Califfato;
  • aver arruolato altre persone, determinando le stesse a raggiungere lo Stato Islamico oppure cooperando all'organizzazione del viaggio;
  • aver contribuito a vario titolo alla celebrazione del matrimonio tra i due giovani MG.S e A.K, funzionale al trasferimento degli stessi in Siria.

Il nesso tra il compimento di tali condotte e l'inserimento dell'imputato nella struttura organizzativa dello Stato islamico e nel suo progetto terroristico non è mai esplicitato dal giudice, fatta eccezione per un breve riferimento rispetto alla posizione di uno degli imputati (B.C). Quest'ultimo è, infatti, accusato di aver contribuito al matrimonio tra MG.S. e A.K. offrendo vitto, alloggio e mezzi di trasporto agli stessi e tuttavia non gli è stato contestato l'art. 270-ter c.p. in quanto esso punisce condotte ben delimitate poste in essere da un soggetto estraneo al contesto associativo terroristico, mentre l'attività del B.C. è stata complessa ed articolata ed è stata palesemente coordinata con l'attività di altri soggetti al fine di inviare un combattente con la madre e con la moglie in Siria per far parte dell'organizzazione terroristica (pag. 69 della sentenza).

Tuttavia, l'elemento che pare essere stato il reale punto discretivo nella valutazione del giudice della responsabilità degli imputati è il livello di adesione ideologica all'ideale Jihadista dell'Isis riscontrato in ciascuno di essi.

La centralità di tale requisito è dimostrata dal fatto che l'assenza dello stesso in capo ad uno degli imputati (G.D.) ha portato il giudice ad assolverlo, nonostante lo stesso avesse offerto un contributo sicuramente determinante alla celebrazione del matrimonio tra MG.S. e A.K. (G.D. ha offerto ospitalità allo sposo e alla sua famiglia, ha convinto l'imam della moschea locale a celebrare il matrimonio e ha messo a disposizione la propria abitazione per lo svolgimento del rito). Il giudice sottolinea a riguardo come G.D. sia del tutto privo della necessaria affectio societatis nei confronti dello Stato islamico, non condividendo in nessuna fase delle indagini l'agire terroristico dello stesso.

Anche la moglie di lui L.G. ha potuto ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto agli altri imputati, per il fatto di essersi progressivamente allontanata dalle posizioni jihadiste.

Il grado di adesione ideologica degli imputati all'Isis è desunto da diversi elementi quali le manifestazioni di sostegno all'agire terroristico dello Stato Islamico rese in conversazioni telefoniche intercettate, la frequentazione di soggetti di cui è accertato il radicalismo islamico e le posizioni filo jihadiste, l'appartenenza ad un nucleo famigliare già trasferitosi in Siria.

Tale comunanza di principi con l'Isis, oltre ad essere elemento costitutivo della condotta di partecipazione in quanto essenziale per connotare i comportamenti di supporto all'associazione come atti di partecipazione alla stessa, si intreccia con il dolo richiesto dalla norma in esame affinché possa sussistere l'ipotesi di reato.

Il giudice decidente afferma che la sussistenza di detto elemento soggettivo è resa evidente dalla totale radicalizzazione degli imputati in obbedienza alla chiamata al jihad […]. Dall'ascolto delle conversazioni è emersa la piena consapevolezza e la piena totale volontà degli imputati del coinvolgimento in una scelta di vita indirizzata alla condivisione ed al perseguimento della peculiare finalità di terrorismo che connota l'attività dell'organizzazione” (pag. 39 della sentenza).

In conclusione

Si è detto di come il Gip di Milano si sia trovato investito del delicato compito di contribuire alla definizione del paradigma normativo per le condotte di partecipazione ad associazione terroristica oggetto di recente elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, in ragione del dettato normativo estremamente ampio offerto dall'art. 270-bis, comma 2, c.p.

In estrema sintesi si può dire che il giudice ha interpretato tale ruolo nei seguenti termini: stante il contesto di allarme sociale e la pericolosità dello Stato islamico, considerando l'ottica preventiva sottesa ai recenti interventi del Legislatore in tema di contrasto al terrorismo, è idonea ad integrare tale reato qualsiasi condotta di supporto allo Stato Islamico, accompagnata dal necessario intento terroristico ai sensi dell'art. 270-sexies c.p. Non è stato definito, invece, quando tale tipo di supporto possa ritenersi effettivamente sintomatico di uno stabile inserimento del soggetto entro la struttura dell'Isis né in termini generali, né nella motivazione inerente alla contestazione delle singole condotte.

Ciò che sembra aver preso il posto di detta verifica nello stabilire l'effettiva partecipazione degli imputati all'Isis è il grado di adesione ideale degli stessi ai principi dello Stato Islamico.

Peraltro, gli indici probatori in virtù dei quali il giudice ha dimostrato l'adesione ideale degli imputati sono stati considerati sufficienti a provare anche l'esistenza del doppio dolo specifico proprio di tale reato, ossia il proposito di compiere atti di violenza, e la volontà di compiere tali atti per realizzare una delle finalità di terrorismo come descritte dall'art. 270-sexies c.p. Di conseguenza, l'espressione di favore per il compimento di atti di terrorismo da parte dell'Isis è stata considerata prova della volontà di partecipare agli stessi.

L'esito di siffatto impianto motivazionale, a noi pare, è che qualunque condotta attestante un legame con lo Stato Islamico, se accompagnata da elementi tali da fare desumere un'adesione ideale allo stesso, sarebbe sufficiente a integrare una partecipazione ad associazione terroristica. A ben vedere, a questa stregua il rischio è che un mero indizio di partecipazione diventi esso stesso condotta di partecipazione, e che si metta tra parentesi la necessità di provare l'inserimento effettivo dell'imputato nell'associazione terroristica.

Uno scrutinio ben più rigoroso dell'effettiva partecipazione dell'individuo nell'associazione terroristica è quello richiesto, invece, da recente giurisprudenza che ha affermato: la condotta di partecipazione individuale ad associazioni terroristiche non può essere desunta dal solo riferimento all'adesione ideale al programma criminale, dalla comunanza di pensiero ed aspirazioni, ma occorre l'effettivo inserimento nella struttura organizzata, desumibile da condotte univocamente evocative e sintomatiche, consistenti nello svolgimento di attività preparatorie per l'esecuzione del programma e nell'assunzione di un ruolo concreto nell'organigramma criminale (Sez. 1^, n. 30824 del 15/6/2006, Tartag, rv. 234182; Sez. 1^, n. 34989 del 10/7/2007, Sorroche Fernandez, rv. 237630)” (Cass. pen.,Sez. I, 22 marzo 2013, n. 22719).

Rinunciare alla prova di tale effettivo ruolo nell'esecuzione del programma terroristico dell'associazione comporta la possibilità di punire qualsiasi individuo che, per il contesto geografico, famigliare, culturale di provenienza, possa destare il sospetto di una partecipazione allo Stato Islamico.

Un siffatto scenario non pare offrire un'efficace risposta alla minaccia dell'Isis, in quanto è ormai noto che detta associazione si nutra dell'adesione spontanea proprio di quei soggetti che, benché stanziati o nati in stati occidentali, non si sentono descritti né integrati nella cultura e società proprie di tali paesi. Un'indiscriminata licenza ad incriminare persone che presentino un'impostazione ideologica avversa a quella del nostro ordinamento, anche in assenza della puntuale verifica della commissione da parte degli stessi di condotte suscettibili di integrare una fattispecie delittuosa, ponendosi quindi al di fuori del sistema del diritto penale del fatto e dimenticando i principi propri del nostro ordinamento, quali la libertà di pensiero, potrebbe solo fomentare il senso di estraneità e il conseguente rifiuto della cultura occidentale da parte di soggetti potenzialmente sensibili all'indottrinamento proveniente dallo Stato Islamico. È uno dei rischi sottesi alla lotta al nuovo terrorismo, che in nome dell'emergenza, oggi come ieri, non può e non deve trascurare i principi fondamentali del nostro stato di diritto.

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