Indagini preliminari: qualificazione giuridica del fatto e (pre)imputazione

04 Luglio 2016

Non v'è dubbio alcuno che il tema dell'imputazione è sicuramente centrale nella concezione e nella ricostruzione di un processo penale. Si tratta di un elemento a formazione progressiva destinato a condizionare gli sviluppi del processo: Muovendo dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato, passando per l'informazione di garanzia, per l'indicazione sommaria del fatto nell'ordinanza cautelare, per gli elementi contestati durante l'interrogatorio nel merito, per l'enunciazione sommaria del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute nel caso dell'invito a presentarsi, per l'imputazione provvisoria di cui all'art. 415-bis, comma 2, c.p.p., fino a pervenire alla enunciazione del fatto in forma chiara e precisa di cui all'art. 417, comma 1, lett. b), c.p.p.
Abstract

Non v'è dubbio alcuno che il tema dell'imputazione è sicuramente centrale nella concezione e nella ricostruzione di un processo penale.

Si tratta di un elemento a formazione progressiva destinato a condizionare gli sviluppi del processo. In rapida sintesi. Muovendo dall'iscrizione nel registro delle notizie di reato (art. 335 c.p.p.: indicazione degli articoli di legge relativi), passando per l'informazione di garanzia (art. 369 c.p.p.: data e luogo del fatto ed indicazione delle norme di legge che si assumano violate), per l'indicazione sommaria del fatto nell'ordinanza cautelare (art. 292, comma 2, lett. b), c.p.p.), per gli elementi contestati durante l'interrogatorio nel merito (art. 65 c.p.p.), per l'enunciazione sommaria del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute nel caso dell'invito a presentarsi (art. 375, comma 3, c.p.p.), per l'imputazione provvisoria di cui all'art. 415-bis, comma 2, c.p.p. (descrizione sommaria del fatto per il quale si procede e l'indicazione della norme di legge che si assumono violate), fino a pervenire alla enunciazione del fatto in forma chiara e precisa di cui all'art. 417, comma 1, lett. b), c.p.p.

Ove non modificata ex art. 423 c.p.p. nel corso dell'udienza preliminare, l'imputazione è ribadita nell'art. 426, comma 1, lett. b, c.p.p., tra i requisiti della sentenza di non luogo a procedere, e nell'art. 429, comma 1, lett. c), c.p.p., tra gli elementi contenuti nel decreto che dispone il giudizio.

L'imputazione formulata dal P.M. condiziona altresì i diversificati percorsi del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica (con o senza udienza preliminare) (art. 552, comma 1, lett. c), c.p.p.) o collegiale (artt. 33-bis e 33-ter c.p.p.).

Inoltre, l'imputazione condiziona gli sviluppi successivi del processo. La dinamicità procedimentale può innestare le varianti del fatto nuovo e del fatto diverso, già prefigurate nella fase dell'udienza preliminare (artt. 516 – 522 c.p.p.), dando luogo alla modifica dell'imputazione ovvero alla regressione del processo. Scatta il principio della correlazione tra l'accusa contestata e la sentenza.

Il fatto, in forma chiara e precisa, cioè l'imputazione, sarà contenuta nella sentenza (art. 546 c.p.p.) e condizionerà il giudizio d'appello e quello di cassazione. L'eventuale violazione delle regole relative sarà sanzionata dai giudici del gravame (artt. 604, commi 1, 2 e 3 e 620, comma 1, lett. e) e f) , c.p.p.).

Il preciso dato normativo evidenzia, tuttavia, nella prassi, molte variabili della legale formulazione dell'imputazione (imputazioni alternative; imputazioni per relationem ; imputazioni probatorie; imputazioni sovrabbondanti), nonché ricostruzioni giurisprudenziali tese a rimediare alle sue eventuali prospettazioni lacunose (Cass. pen., Sez. unite, 1 febbraio 2008, n. 5307).

Può non essere inutile ricordare come anche il tema de quo si inserisce nell'evoluzione del modello processuale oggi esistente, rispetto a quanto ipotizzato con l'originaria riforma del 1988. Il sistema bifasico, proprio della riforma, rendeva l'imputazione – alla luce della funzione valutativa da parte del P.M. delle proprie indagini – maggiormente magmatica, perché destinata ad integrazioni relativamente agli sviluppi dibattimentali, come risulta confermato – indirettamente – dalle forti preclusioni all'accesso a riti premiali nel corso del dibattimento anche in relazione alla possibile evoluzione della contestazione. Rafforzatesi, perché complete, le indagini, il ruolo dell'imputazione si è consolidato con le ricadute, in tema di scelte difensive, nel corso del dibattimento, in presenza d'una situazione che si è venuta modificando. In tal senso vanno lette le sentenze della Corte costituzionale relativamente al possibile accesso dell'imputato al patteggiamento, all'oblazione, al rito abbreviato (Corte cost. n. 241 del 1992, Corte cost. n. 265 del 1994, Corte cost. n. 50 del 1995, Corte cost. n. 333 del 2008).

La notizia di reato

È, tuttavia, evidente come molto prima della formulazione della imputazione un ruolo fondamentale sia svolto dalla notizia di reato, sia sotto il profilo della sua indicazione soggettiva, sia in relazione alla sua qualificazione giuridica. Ancor prima dell'imputazione, la configurazione del fatto criminoso finisce per assumere sotto vari profili un ruolo decisivo. Sono, invero, molte le ricadute del nomen iuris che la procura attribuisce ad un determinato episodio.

In rapida sintesi e senza pretesa di completezza, la qualificazione del fatto, ancor prima dell'imputazione, giova un ruolo decisivo, per quanto attiene alla struttura ordinamentale dell'ufficio di procura: il riferimento si indirizza a quanto previsto dagli artt. 51, comma 3-bis, e ss. c.p.p. Il dato, com'è noto, svolge da “volano” per numerose altre implicazioni. Il riferimento si indirizza a quanto previsto in materia di requisiti della prova in casi particolari (art. 190-bis c.p.p.), in tema di attività di coordinamento e di impulso del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (art. 371-bis c.p.p.); nonché, di richiesta di copie di atti e di informazioni (art. 117, comma 2-bis, c.p.p.).

Il riferimento ai c.d. reati di criminalità organizzata o comunque a reati di una ritenuta notevole gravità trova ulteriore riferimento anche nell'art. 407 c.p.p.

Il dato ha significative implicazioni oltre che in relazione ai tempi delle indagini, già prima, in relazione al potere di segretazione della notizia di reato (art. 335, comma 3, c.p.p.), in relazione a quanto disposto dall'art. 347 c.p.p. sui rapporti P.G. e P.M., e successivamente sulla tempistica della conclusione delle indagini e sui tempi dei successivi passaggi alla celebrazione dell'udienza preliminare (artt. 406, comma 2-ter e 416, comma 2-bis, c.p.p.)

Agli artt. 51, comma 3-bis, e 407 c.p.p. fa riferimento anche il comma 3 dell'art. 295 c.p.p. relativamente alle intercettazioni per la ricerca del latitante. Le situziazioni di cui all'art. 380 c.p.p. sono, invece, assunte a fondamento dell'utilizzazione delle intercettazioni effettuate in un procedimento separato.

La qualificazione giuridica del fatto incide significativamente in tema di competenza per materia (giudice di pace, tribunale o corte d'assise), nonché in tema di competenza per territorio. La qualificazione giuridica del fatto ha, inoltre, significative implicazioni in tema di patteggiamento, di limiti di pena per la definizione del processo per particolare tenuità del fatto e per disporre la sospensione del processo con messa alla prova, nonché per la definizione del procedimento con il decreto penale di condanna.

Come è emerso nel caso Drassich, proprio perché la qualificazione giuridica può incidere anche in tema di prescrizione, il mutamento della qualificazione del fatto, va portato a conoscenza dell'imputato, pena la violazione del contraddittorio, come riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

Provvedimenti precautelari e cautelari

Un profilo molto significativo della qualificazione del fatto al quale il Legislatore attribuisce valore decisivo, è sicuramente costituito dalla disciplina dei provvedimenti precautelari (artt. 380, 381 e 384 c.p.p.) e del sequestro per equivalente (art. 321, commi 2 e 3,c.p.p.) ma soprattutto delle misure cautelari personali (artt. 272 – 315 c.p.p.).

Seppur con le variabili dei poteri conferiti in materia al giudizio di riesame e alla funzione attribuita alla Cassazione, il tema della qualificazione del fatto, condiziona l'intero iter della procedura cautelare, incentrato sul dato del selezionato apporto investigativo presentato dalla Procura al giudice (art. 271 e 279 c.p.p.).

Anche in questo caso – senza pretesa di completezza – si possono così elencare molteplici situazioni nelle quali il nomen iuris ha una portata dirimente: situazioni suscettibili di determinare la tipologia della misura cautelare: artt. 278 e 280 c.p.p., quanto alla possibilità di disporre il carcere ovvero le altre misure ovvero nessuna misura condizionata dalla gravità del reato; presunzione assoluta o relativa delle esigenze cautelari ex art. 275, comma 3, c.p.p.; situazioni suscettibili di innestare la previsione del pericolo di reiterazione dei reati ai sensi della lett. c) del comma 1 dell'art. 274 c.p.p.; determinazione delle situazioni suscettibili di determinare l'applicazione di misure interdittive ex artt. 287 – 290 c.p.p.

Il dato più significativo in materia è sicuramente rappresentato dalle ricadute in tema di durata delle misure. La qualificazione del fatto, con le sue implicazioni in punto di determinazione della pena in astratto, condiziona, infatti, la durata delle stesse, sia nei termini di fase, sia in quelli massimi (art. 303 c.p.p.), sia in quelli complessivi (art. 304 c.p.p.). La prospettazione dell'accusa cautelare, ancorché da tenere concettualmente nettamente distinta dall'imputazione del merito, non può non trovare un punto di verifica sia nel momento in cui il P.M. formula l'imputazione, che spesso si allineerà al dato cautelare ma soprattutto nel momento della sentenza di condanna, non tanto e non solo in punto di proporzionalità tra durata della cautela già sofferta e pena concretamente irrogata ma anche in relazione al caso della mutata qualificazione giuridica contenuta nella sentenza. Una sua derubricazione dovrebbe consentire la riconsiderazione di quanto già sofferto in carcerazione preventiva determinando la liberazione dell'imputato. È noto, invece, come la giurisprudenza ritenga che il nuovo nomen iuris, contenuto nella sentenza, governi soltanto il segmento successivo ed escluda valutazioni retroattive.

Intercettazioni

Un altro profilo nel quale la qualificazione è venuta assumendo un ruolo decisivo è quella delle intercettazioni telefoniche, considerato anche il massiccio ricorso che questo strumento, per la sua capacità di penetrazione nella vita quotidiana, sta assumendo. Ai sensi dell'art. 266 c.p.p., infatti, si può procedere alle intercettazioni telefoniche solo ed esclusivamente per i reati ivi indicati. La previsione d'un reato di criminalità organizzata consente ex art. 13 d.l. 152 del 1991, conv. l. 203 del 1991, di derogare alle regole ordinarie sotto vari profili.

Anche in questo caso la qualificazione del fatto consegue alle ricostruzioni dei fatti, sia soggettivi, sia oggettivi da parte del P.M. Si consideri che se nel caso delle misure cautelari si può giustificare la mancata trasmissione di tutti gli atti al giudice, stante la successiva discovery ex art. 293 c.p.p., nulla giustifica analoga conclusione per quanto attiene alle intercettazioni, posta l'assenza, in tal caso, di un successivo deposito degli atti a favore della difesa. Peraltro, va sottolineato a questo proposito come manca ogni ipotesi di inutilizzabilità nel caso in cui all'esito del dibattimento (ancorché definito con sentenza di condanna) la fattispecie di reato accertata si configuri nei termini che non avrebbero consentito il ricorso allo strumento intercettativo: si tratterebbe, tuttavia, di una ipotesi in cui, ai sensi dell'art. 271 c.p.p. l'intercettazione è stata disposta fuori dai casi previsti dalla legge.

Il riferito elemento della qualificazione del fatto, già di per sé rilevante, ha assunto una ancor più pregnante implicazione alla luce della sentenza delle Sez. un. , 28 aprile 2016, Scurato, in tema di captatore informatico (o virus autoinstallante o trojan o spyware).

Ricollegandosi alla ricordata previsione che per le intercettazioni relative ai reati di criminalità organizzata permette di derogare a molte garanzie della disciplina codicistica (art. 13 d.l. 152 del 1991, conv. l. 203 del 1992), si consente, così, l'uso del riferito strumento all'interno dei luoghi di cui all'art. 614 c.p.p. anche per le situazioni – invero, tutte da definire, e tali da costituire un esempio paradigmatico di giurisprudenza creativa – di associazione organizzata, ancorché non sia in corso un'attività criminosa.

In conclusione

Invero, se in relazione alla prospettazione dell'imputazione, la verifica relativamente alla corretta esposizione del fatto in forma chiara e precisa – pur con tutte le riferite patologie nella sua formulazione – avviene in contraddittorio davanti al giudice e non mancano consolidate sanzioni processuali, relativamente alla sua modificazione o integrazione (fatto nuovo e fatto diverso), con la possibilità – come accennato – di aderire ai riti speciali, il controllo sulla qualificazione del fatto risulta molto più nebuloso.

Come anticipato, la verifica dell'ipotesi accusatoria in caso di intercettazioni sconta il quadro ricostruttivo dell'accusa, legato alla gravità del fatto, svincolato da riferimenti di responsabilità soggettiva. Non emerge dai dati normativi che le proroghe siano chiamate ad una verifica puntuale dell'evoluzione – oggettiva e soggettiva – di quanto emerso dalle prime captazioni (ancorché la legge affermi che si dovrebbe verificare il permanere delle condizioni dell'attività che legittimano le intercettazioni). Non risulta, cioè, che all'atto della proroga, i brogliacci di ascolto, o quant'altro, sia oggetto di verifica da parte del giudice, senza che questo dato lo possa trasformare in un giudice istruttore, ma solo nel garante dei diritti costituzionali alla libertà di comunicazione di cui tutti i cittadini sono titolari.

Nella fase procedimentale, il segreto investigativo e i poteri conoscitivi dell'accusa rendono problematica – oltre che spesso rischiosa – per la difesa una attività di interlocuzione e di interposizione rispetto all'orizzonte dei fatti criminosi emersi o emergenti entro il quale il provvedimento cautelare è stato collocato.

Va tenuto conto, altresì, in termini più generali, come il dato della qualificazione del fatto abbia significative e spesso irreversibili ricadute su piani più ampi – personali, familiari, sociali, economici, disciplinari, fisici e psicologici – accentuati dal clamore mediatico della vicenda processuale spesso unitariamente supportati nei suoi elementi fattuali tesi a sostanziarne il fondamento.

In conclusione, lo spostamento del baricentro processuale al momento delle indagini preliminari, rispetto all'originaria centralità del differimento della formulazione dell'imputazione, dell'assunzione della qualità di imputato, dell'avvio del processo, richiede un maggiore controllo ed un self restreint nella prospettazione di giudizi di responsabilità nei confronti degli indagati. Richiami alla doverosità di certi atti (artt. 335 e 369 c.p.p.; v., in particolare, Cass. pen., Sez. VI, 15 dicembre 2015, n. 4973) ed alla presunzione di innocenza (art. 27 Cost.), seppur utili e necessari, sembrano, spesso, ancora vuoti e del tutto inefficaci.

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