Gli effetti dell'omessa audizione del testimone diretto sull'utilizzabilità della testimonianza de relato

05 Aprile 2016

L'omesso esame della vittima di abuso, se non sollecitato dall'imputato, va valutato alla stregua delle conseguenze che tale lacuna probatoria può avere sulla tenuta complessiva del quadro probatorio utilizzato per la decisione
Massima

L'omesso esame della vittima di abuso, se non sollecitato dall'imputato, va valutato alla stregua delle conseguenze che tale lacuna probatoria può avere sulla tenuta complessiva del quadro probatorio utilizzato per la decisione. Sicché, ove i fatti accertati siano comunque tali da non dare adito a dubbi di sorta sulla verità del racconto del minore, così come riportato nel processo dai testimoni escussi, alcuna norma impone l'esame diretto di quest'ultimo.

Il caso

La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 30 aprile 2014, confermava la sentenza emessa dal tribunale di Bologna in data 26 aprile 2011, con la quale si dichiarava la responsabilità penale del signor Z per il reato di cui agli artt. 56, 609-quater, commi 1 e 5, c.p.

L'imputato proponeva ricorso avanti la Corte di cassazione motivando unicamente sulla mancata assunzione della testimonianza della persona offesa minorenne e sul fatto che la sentenza di condanna si fondi esclusivamente su due testimonianze de relato.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La questione

Nella sentenza in commento si sono affrontate, ancora una volta, alcune fra le numerose problematiche riguardanti l'utilizzabilità processuale e il valore probatorio della c.d. testimonianza indiretta ex art. 195 c.p.p., le quali costituiscono, senza dubbio, uno dei punti di maggiore frizione nell'ambito della letteratura giurisprudenziale e dottrinale.

Specificamente, la Corte di cassazione si è pronunciata di nuovo con il principio d'inutilizzabilità della testimonianza indiretta e sull'incidenza di tale inutilizzabilità nei processi per reati sessuali ai danni di minorenni.

Come noto, l'art.195 c.p.p. stabilisce che Quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre: è, questa, una disposizione specifica a un testimone che si trova a dover riferire in merito a fatti appresi da altri e dei quali, pertanto, non ha avuto percezione e conoscenza diretta e, proprio per tale motivo, è sottoposta all'applicazione di alcune cautele normative (indicate dalla legislazione costituzionale con l'art.111 Cost. nonché da quella internazionale con l'art. 6 Cedu) affinché, nel rispetto del principio del giusto processo, tali fonti di cognizione indirette possano trovare legittimamente accesso nell'ambito processuale.

Nel caso che ci occupa, la suprema Corte, partendo dall'analisi dell'art. 195, commi 3 e 7, c.p.p., ha ribadito quanto affermato da giurisprudenza dominante e, dunque, che l'inutilizzabilità può essere comminata solo quando, nonostante l'espressa richiesta della parte processuale che vi ha interesse, il giudice abbia omesso la citazione del teste diretto pur essendo possibile procedere ad esame (ex multis: Cass. pen., Sez. fer. 31 luglio 2008, n. 38076; Cass. pen., Sez III, 13 novembre 2007, n. 2001; Cass. pen., Sez. II, 10 gennaio 2006, n. 3632; Cass. pen., Sez. IV, 24 ottobre 2005, n. 1151; Cass. pen., Sez VI, 3 febbraio 2005, Mazzoni; Cass. Sez VI, 24 ottobre 2003, De Rose).

Con la famosa sentenza n. 24/1992 della Corte Costituzionale, ripresa dalla giurisprudenza dominante e dalla maggioranza degli autori di dottrina, inoltre, si è statuito che le dichiarazioni c.d. indirette o de relato sono utilizzabili anche quando le parti rinunciano espressamente all'assunzione del teste di riferimento o se tale teste, sottoposto ad esame, si avvale della facoltà di non rispondere.

La Corte di cassazione, nella sentenza oggetto di commento, ha ritenuto che la Corte di appello avesse ben utilizzato i principi sopra indicati: infatti, si legge nella parte motiva: non risulta che l'imputato (che pure avrebbe potuto egli stesso sollecitare l'incidente probatorio o indicare la minorenne nella propria lista testimoniale) abbia mai esercitato la facoltà prevista dall'art. 195, comma 1, c.p.p. Occorre allora ricordare che la sanzione di inutilizzabilità non ha modo di operare qualora nel dibattimento di primo grado la parte non abbia fatto uso della facoltà di chiedere che siano chiamati a deporre i testi di riferimento, né ad una tale omissione può ovviarsi con la richiesta di rinnovazione – anche parziale – del dibattimento in appello.

Le soluzioni giuridiche

È stato conclusivamente ribadito il seguente principio di interpretazione sistemica:

Il diritto dell'imputato di esaminare il teste a proprio carico si traduce nell'esercizio di concrete facoltà processuali alla cui rinuncia non corrisponde il dovere assoluto del giudice di provvedervi d'ufficio. Il processo non è iniquo sol perché si fonda esclusivamente su testimonianze de relato; lo è se l'imputato non è stato posto nelle condizioni di esercitare il diritto all'esame del testimone diretto. La possibilità, pur riconosciuta al giudice, di assumente ex art. 507 c.p.p. la testimonianza diretta non richiesta dalle parti si riflette solo sulla tenuta logica e completezza della motivazione ma il mancato esercizio di tale potere non compromette l'equilibrio delle parti e dunque l'equità del processo ai sensi dell'art. 6 Conv. E.D.U.

Osservazioni

L'approfondimento giurisprudenziale dei giudici di Strasburgo, sul punto, ha subito un'evidente overruling: conla pronuncia della Grande Camera della Corte Edu sul caso Tahery, Al Kawaya v. Regno Unito del 15 dicembre 2011, infatti, è stata ritenuta compatibile con le garanzie convenzionali la condanna fondata su dichiarazioni decisive di teste de relato, anche se il teste diretto non poteva essere sentito per motivi oggettivi (irreperibile, morto o ritenuto teste debole da proteggere)

Partendo dall'assioma per cui il diritto di controesaminare i testimoni a carico, garantito dall'art. 6 § 3 d), Cedu, si basi sul principio secondo il quale, affinché un imputato possa essere dichiarato colpevole, tutti gli elementi di prova a carico debbono essere prodotti in sua presenza e in pubblica udienza ai fini del contraddittorio, la Grande Chambre ne ha fatto discendere due esigenze giuridiche: in primo luogo, l'assenza di un testimone deve essere giustificata da un motivo serio; in secondo luogo, nel caso in cui un provvedimento di condanna si fondi unicamente o in misura determinante sulla deposizione di un testimone assente, deve considerarsi che i diritti della difesa possono aver subito delle restrizioni incompatibili con le garanzie prescritte dall'art. 6 della Convenzione (secondo la regola della prova unica o determinante).

La conclusione del ragionamento dei Giudici di Strasburgo è stata che un provvedimento di condanna che si basi unicamente o in misura determinante su una testimonianza non sottoposta a controinterrogatorio, né nella fase dell'istruzione né in quella del dibattimento, integra una violazione dell'art. 6 §§ 1 e 3 d) Cedu esclusivamente se il pregiudizio così arrecato alla difesa non sia stato controbilanciato da elementi sufficienti, ovvero da solide garanzie procedurali in grado di assicurare l'equità della procedura nel suo insieme.

Precedentemente, si deve rilevare che la Corte Edu riteneva sussistere la violazione dei diritti garantiti dall'art. 6 Cedu quando una sentenza di condanna si basava, in misura unica o determinante, sulla testimonianza del teste non sottoposto a controinterrogatorio.

Risulta, quindi, manifesta l'importanza di tale tematica, che, tuttavia, risente dell'evoluzione della cultura giuridica non sempre, ad avviso di chi scrive, in senso garantista.

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