La violenza assistita dei minori integra il reato di maltrattamenti in famiglia

06 Aprile 2016

Integra la condotta di maltrattamenti prevista dall'art. 572 c.p. quella nei confronti dei figli minori laddove questi siano sistematici spettatori obbligati delle manifestazioni di violenza, anche morale, di un genitore nei confronti dell'altro.
Massima

Integra la condotta di maltrattamenti prevista dall'art. 572 c.p. quella nei confronti dei figli minori laddove questi siano sistematici spettatori obbligati delle manifestazioni di violenza, anche morale, di un genitore nei confronti dell'altro. Il comportamento assume rilievo penale quando si accerti la presenza: dell'elemento psicologico, costituito dalla deliberata e consapevole trascuratezza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali dei figli; della persistenza nel tempo delle condotte denigratorie o violente poste in essere nei confronti dell'altro genitore; degli esiti negativi di queste nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata.

Il caso

Il tribunale del riesame di Roma dopo avere confermato la misura cautelare emessa dal Gip per i maltrattamenti di un coniuge nei confronti dell'altro, ha annullato il provvedimento con riferimento ai maltrattamenti subiti dai figli sostenendo che non basta ad integrare il delitto di cui all'art. 572 c.p. che i minori siano stati in qualche occasione testimoni della condotta svalutante e denigratoria tenuta dal padre verso la madre non risultando che la condizione dei minori sia mai stata oggetto di allerta da parte dei servizi sociali per condotte direttamente o indirettamente maltrattanti tenute ai loro danni dal padre.

Il P.M. di Roma ha impugnato il provvedimento per la mancata valutazione dell'efficacia maltrattante della "violenza assistita", oggi finalmente riconosciuta dall'ordinamento con l'aggravante di cui all'art. 61 , n. 1 c.p.-quinquies (introdotta con d.l. 93/2013, conv. dalla l. 119/2013).

La Corte di cassazione riconosce che nell'ambito della condotta maltrattante di un coniuge nei confronti dell'altro rientra anche la situazione in cui i figli minori siano sistematici spettatori obbligati di manifestazioni di violenza, anche psicologica, lesive della personalità materna. Per integrare il reato è necessario che le ripercussioni di detta condotta sui minori sia il frutto di una deliberata e consapevole insofferenza e trascuratezza verso gli elementari ed insopprimibili bisogni affettivi ed esistenziali dei figli stessi, nonché realizzati in violazione dell'art. 147 c.c., in punto di educazione e istruzione al rispetto delle regole minimali del vivere civile, cui non si sottrae la comunità familiare regolata dall'art. 30 della Carta costituzionale.

Conclude la Corte, però, che per l'integrazione del reato di maltrattamenti per violenza assistita è necessaria anche la persistenza nel tempo della condotta denigratoria, capace di esiti negativi nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata, non bastando una mera generalizzata negatività della condotta in sé e per sé considerata. Sulla base di ciò perviene al rigetto del ricorso del P.M. perché, in termini fattuali, la materialità della condotta dell'imputato espressa nei confronti della madre dei minori quando i figli sono stati testimoni-spettatori è stata occasionale.

La questione

La questione in esame è la seguente: quando può ritersi che la condotta denigrante e violenta di un genitore nei confronti dell'altro passa da mera generalizzata negatività della condotta in sé e per sé considerata, non configurabile reato, a condotta capace di ledere la dignità e libertà morale dei figli che vi assistono inermi tanto da integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia?

Le soluzioni giuridiche

Il reato di maltrattamenti in famiglia essendo necessariamente abituale richiede la reiterazione di una concatenazione di comportamenti che, valutati nel loro complesso, rendono la vita della vittima intollerabile o dolorosa.Il numero minimo di fatti sufficienti ad integrare la condotta vessatoria è affidato all'interpretazione del giudice che utilizza alcuni parametri: lo spazio temporale in cui sono stati perpetrati, la loro entità, la personalità della vittima, il movente, ecc. Nel caso della violenza assistita dei minori, che si realizza quando questi sono testimoni di scene di violenza, anche solo verbale, di un genitore nei confronti dell'altro (o rispetto a persone che costituiscono un punto di riferimento affettivo), la giurisprudenza si trova quotidianamente davanti al dilemma se si tratti di semplici condotte aggressive, frutto di un clima familiare teso per problemi interpersonali tra adulti e che coinvolge solo questi, oppure si sia di fronte al reato propriamente inteso ai danni dei minori che vi assistono.

Il problema è stato ulteriormente complicato dal fatto che sino ad oggi la violenza assistita è stata molto sottovalutata dal legislatore. Infatti, una precisa connotazione antigiuridica le è stata assegnata solo con la l. 119/2013 che, in osservanza della Conv. di Istnbul, ha configurato una nuova aggravante comune, e non una fattispecie autonoma di reato, l'art. 61 n. 11-quinquies c.p., per il caso che i delitti non colposi contro la vita, l'incolumità individuale e la libertà personale, ed il delitto di maltrattamenti vengano commessi in presenza o in danno di un minore di 18 anni (ovvero in danno di persona in stato di gravidanza). In tal modo il legislatore ha ampliato l'estensione dell'aggravante, originariamente prevista dal secondo comma dell'art. 572 c.p. (reato commesso in danno di minore di 14 anni), prevedendo l'aumento della pena per il fatto commesso in danno non solo dell'infraquattordicenne, bensì del minore tout court.

Una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata (vedi da ultimo le Conv. di Lanzarote e di Istanbul come recepite nel nostro ordinamento), proprio per il prevalente diritto del minore a vivere in un contesto equilibrato, sereno e rispettoso della dignità morale di ciascuno, a partire dalle donne vittime della violenza di genere, impone di ritenere integrato il reato di cui all'art. 572 c.p. allorché si accerti che i maltrattamenti, a prescindere dal dato quantitativo del numero di episodi cui lo stesso ha assistito come troppo spesso si è orientati a fare per trovare un criterio oggettivo, abbiano comunque inciso significativamente sulla sua personalità in formazione. Indici sintomatici del danno arrecato e dunque della configurazione del reato, da accertare in sede investigativa e poi da valutare in sede dibattimentale, sono l'atteggiamento verso il genitore maltrattante, il disagio nel quotidiano, il rendimento scolastico, l'insonnia, il comportamento rispetto al gioco e ai coetanei, l'aggressività verso il genitore maltrattato per l'identificazione con quello maltrattante, l'assunzione di atti prevaricanti prima mai tenuti, il senso di colpa di essere causa dei contrasti familiari e la difesa dell'adulto-vittima diretta, l'introiezione di modelli culturali di sopraffazione o di soggezione, l'immagine dell'universo maschile e femminile con i relativi ruoli, ecc.

Se si parte dal dato pacifico che il minore è un soggetto più recettivo dell'adulto rispetto a ciò che vive nel contesto familiare, in quanto la sua identità è alla ricerca di modelli cui corrispondere, la soluzione giuridica che si propone per l'integrazione della condotta di violenza assistita è quella di valorizzare non tanto il numero dei maltrattamenti cui assiste ma l'incidenza di questi sulla sua personalità e sulla sua formazione educativa e valoriale. In questa ottica potrebbero bastare anche occasionali eventi di violenza verbale, di aggressività, di denigrazione di un genitore nei confronti dell'altro per integrare l'art. 572 c.p. allorché ciò determini nel minore che vi assiste l'introiezione di un modello svalutante e negativo della vittima diretta del reato, come avviene ad esempio con la rappresentazione della superiorità e/o soggezione di un genere sull'altro. Non è un caso che l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11-quinquies c.p. sia stata introdotta dalla l. 119/2013 recante disposizioni per il contrasto della violenza di genere.

Osservazioni

Con la sentenza in commento la Cassazione per la prima volta riconosce l'autonomo delitto di violenza assistita ritenendo, che l'agente pone in essere sia condotte commissive, nei confronti del genitore-vittima diretta, sia condotte di indifferenza omissiva nei confronti dei figli presenti per trascuratezza e violazione dell'art. 147 c.c. in punto di educazione e istruzione al rispetto delle regole minimali del vivere civile.

La pronuncia, però, verosimilmente in ragione del tipo di giudizio sottoposto al suo esame (l'impugnazione da parte del P.M. di un provvedimento cautelare per violazione di legge), non arriva alle estreme conseguenze del suo ragionamento che, invece, ci si sarebbe aspettati stante il richiamo ai principi di cui alla l. 119/2013, in quanto si ferma davanti al dato di fatto che, nella specie, i figli minori avevano assistito solo ad occasionali maltrattamenti nei confronti della madre e non erano stati vittime dirette.

Si ritiene, invece, che l'avvenuto pacifico accertamento nella specie che un genitore avesse denigrato e vilipeso l'altro e lo avesse sottoposto a maltrattamenti per anni (dal 2010 al 2014) rende del tutto irrilevante la circostanza che la prole non fosse stata maltrattata autonomamente da parte del padre violento, proprio perché questo configurerebbe un autonomo reato. In sostanza la Corte di cassazione dopo avere sancito, in termini astratti, l'esistenza del reato di violenza assistita lo ha escluso in concreto per un dato meramente quantitativo circa i comportamenti maltrattanti nei confronti della madre avvenuti con i minori presenti, peraltro individuati – da ciò che si comprende – solo in quelli di violenza fisica, senza alcuna menzione di quelli denigratori o vessatori.

È auspicabile che la giurisprudenza di merito ponga all'attenzione della Corte di legittimità un esame più pregnante e approfondito delle situazioni fattuali, valutate non tanto sotto il profilo del dato numerico degli episodi o dell'entità della violenza, fisica o verbale, percepita (lesioni certificate, lividi, urla, danneggiamenti di suppellettili, ecc.) ma accertando l'effetto dei maltrattamenti cui hanno assistito i minori, anche casualmente, sulla loro personalità in formazione, e tenendo conto di quanto essi abbiano inciso sul modello identitario loro proposto. Il reato di violenza assistita apre, per dottrina e giurisprudenza, nuovi orizzonti interpretativi che non possono limitarsi alla reiterazione dei canoni utilizzati finora per il delitto di maltrattamenti. Le stesse nozioni di abitualità ed occasionalità devono essere riviste, proprio alla luce del tipo di persona offesa dal reato, costituito da minorenni, incapaci di intervenire per arginare la violenza a cui sono costretti ad assistere e di cui sono vittime, spesso silenti, perché privi di strumenti.

D'altra parte è la stessa Corte di legittimità a sostenere che perché ricorra il reato di cui all'art. 572 c.p., lo stato di sofferenza e umiliazione delle vittime non deve necessariamente essere collegato a specifici atti nei confronti di un determinato soggetto ma può derivare dal generale clima instaurato nell'ambito di una comunità indistintamente e variamente derivante da atti di sopraffazione e umiliazione commessi a carico di soggetti sottoposti al potere… (Cass. pen., Sez. VI, 21 dicembre 2009, n. 8592)

Ed in ordine al profilo psicologico del reato è ritenuta sufficiente la consapevolezza di questo generale clima per qualificare in termini di abituale sopraffazione ogni manifestazione di vessazione realizzata a prescindere dal loro numero e dalla loro riferibilità a questo o a quel soggetto passivo.

Guida all'approfondimento

PAVICH, Il delitto di maltrattamenti. Dalla tutela della famiglia alla tutela della personalità., Milano, 2012;

PAVICH, Le novità del decreto legge sulla violenza di genere: cosa cambia per i reati con vittime vulnerabili. Un esame critico delle nuove norme sostanziali e processuali del d.l. n. 93/2013 riguardanti i delitti in danno di soggetti deboli., in Dir. pen. cont.

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