Obbligatoria la notifica dell'avviso della richiesta di archiviazione alla presunta vittima di stalking

Roberto Scotti
06 Aprile 2016

Il reato di atti persecutori va ritenuto compreso nell'elenco dei delitti commessi con violenza alla persona, con conseguente obbligatorietàdell'avviso della richiesta di archiviazione, indipendentemente da una espressa richiesta in tal senso della presunta vittima del reato.
Massima

Il reato di atti persecutori, ex art. 612-bis c.p., va ritenuto compreso nell'elenco dei delitti commessi con violenza alla persona, con conseguente obbligatorietà, ex art. 408, comma 3-bis,c.p.p, dell'avviso della richiesta di archiviazione, indipendentemente da una espressa richiesta in tal senso della presunta vittima del reato. L'espressione violenza alla persona deve essere infatti intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario.

Il caso

Il Gip del tribunale di Milano, con decreto datato 11 luglio 2014, disponeva, su richiesta del P.M., l'archiviazione del procedimento penale avente ad oggetto i delitti di cui agli artt. 612-bis e 594 c.p. ed avviato a seguito di querela della persona offesa nei confronti del querelato.
Tale richiesta di archiviazione non veniva notificata alla persona offesa stante l'omessa formulazione di istanza del difensore volta ad ottenere la comunicazione de quo.
Il difensore della persona offesa, rappresentando di essere casualmente venuto a conoscenza di tale provvedimento, proponeva ricorso per Cassazione, fondando quest'ultimo sulla mancata ricezione dell'avviso di richiesta di archiviazione del pubblico ministero.
A parere del ricorrente, il comma 3-bis dell'art. 408 c.p.p. come novellato dal d.l. 93/2013, conv. con modif. l. 119/2013 (secondo cui Per i delitti commessi con violenza alla persona, l'avviso della richiesta di archiviazione è in ogni caso notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa e il termine di cui al comma 3 è elevato a venti giorni), avrebbe imposto la notifica dell'avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa dal reato, anche in assenza di specifica richiesta di comunicazione, in quanto tale fattispecie sarebbe rientrata nei delitti nei quali la condotta realizza violenza alla persona.
Assumendo che il reato di atti persecutori previsto dall'art. 612-bis c.p. era caratterizzato da tale condotta, deduceva quindi come dall'omessa notifica alla persona offesa dovesse discendere una nullità assoluta ed insanabile del procedimento.
Il ricorso, pendente innanzi alla quinta Sezione penale, veniva rimesso alle Sezioni unite con ordinanza del 9 luglio 2015 (vedi in questa Rivista BELTRANI, Stalking: è necessario avvisare la persona offesa della richiesta di archiviazione?), ai sensi dell'articolo 618 c.p.p., per la speciale importanza della questione che ne costituiva oggetto e atteso il contrasto tra decisioni espresse dalla Corte di cassazione.
La sezione remittente formulava quindi il quesito se l'espressione violenza alla persona, contenuta nel comma 3-bis dell'art. 408 c.p.p., comprendesse le sole condotte di violenza fisica o includesse anche quelle di minaccia e se, di conseguenza, il reato di cui all'art. 612-bis c.p. fosse da ritenersi incluso tra quelli per i quali il citato art. 408, comma 3-bis, c.p.p. prevede la necessaria notifica alla persona offesa dell'avviso della richiesta di archiviazione.
Le Sezioni unite, all'esito dell' udienza camerale, udita la requisitoria del Procuratore generale, dopo aver premesso un breve inquadramento del reato di atti persecutori, dell'iter parlamentare dell'istituto dell'avviso obbligatorio alla persona offesa, introdotto – con il decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119 – per alcune categorie di reati nell'art. 408, comma 3-bis, c.p.p., ritenevano sussistente l'obbligo di avviso obbligatorio alla persona offesa dai reati commessi con violenza alla persona anche per il reato di stalking.

Statuivano quindi la conseguente nullità, ex art. 127, comma 5, c.p.p., del decreto di archiviazione emesso, per il quale non era stato fatto l'avviso alla P.O., annullando senza rinvio il provvedimento impugnato con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano per l'ulteriore corso.

La questione

La questione sottoposta all'esame delle Sezioni unite è se la disposizione dell'art. 408, comma 3-bis, cod. proc. pen., che stabilisce l'obbligo di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione con riferimento ai delitti commessi con violenza alla persona, sia riferibile anche alla fattispecie di atti persecutori prevista dall'articolo 612-bis cod. pen. (c.d. stalking), le cui modalità di estrinsecazione della condotta possono consistere nelle “minacce” o “molestie” e, pertanto, in comportamenti non connotati da violenza fisica sulla persona offesa.
Dall'accoglimento o meno di un concetto ampio della nozione violenza alla persona consegue quindi l'inclusione o l'esclusione del reato di stalking dal novero dei delitti per i quali è applicabile la disciplina prevista dall'art. 408, comma 3-bis, c.p.p.
Per l'ipotesi restrittiva, che esclude dalla nozione di delitti commessi con violenza alla persona tutti quei casi nei quali la violenza non si sostanzi in un'aggressione fisica alla persona offesa, nessun obbligo di avviso della richiesta di archiviazione del procedimento alla persona offesa dal reato graverebbe sulla Procura, in assenza di specifica formulazione di tale richiesta da parte della presunta vittima del reato.

Conseguentemente, snodo cruciale della questione sottoposta al vaglio delle Sezioni unite è la possibile riconducibilità degli atti persecutori concretizzatisi nella minaccia, nella mera violenza psicologica, al genus della violenza alla persona.

Le soluzioni giuridiche

La suprema Corte di cassazione ha risolto il contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine all'interpretazione dell'art 408, comma 3-bis, c.p.p., nuova formulazione, recependo una nozione ampia e conforme al diritto europeo del concetto di violenza alla persona, comprensiva non solo delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche, assumendo che lo stalking rientra tra le ipotesi significative di violenza di genere che richiedono particolari forme di protezione a favore delle vittime.

Due infatti erano le opzioni ermeneutiche in contrasto sull'ambito applicativo dell'articolo 408, comma 3-bis, c.p.p.

Secondo un primo orientamento, infatti, a sostegno della riconducibilità del reato di atti persecutori nel novero di quelli connotati dalla violenza alla persona , deponeva il disposto normativo dell'art.415-bis c.p.p. , rubricato avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari che, a seguito della modifica operata dalla stessa legge contro il cosiddetto femminicidio (l. 119/2013), ha previsto come obbligatoria la notifica alla persona offesa dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari.

In maniera speculare, dunque, secondo tale orientamento, il reato di stalking avrebbe dovuto essere ricompreso nei delitti per i quali è obbligatoria anche la notifica dell'avviso di deposito della richiesta di archiviazione, dovendosi rilevare una stessa ratio sottesa all'intervento del Legislatore in tema di contrasto alla violenza di genere per il tramite della novella legislativa.

Considerato tale esplicito obiettivo, si riteneva pacifica la predisposizione di una sempre maggiore tutela destinata alla persona offesa da tali condotte, con cui mal si conciliava l'esclusione dell'obbligo di notifica “in ogni caso” alla presunta vittima della sola richiesta di archiviazione.

Secondo altro orientamento, più aderente al dettato letterale delle norme, invece, l'esclusione dal testo dell'art.408, comma 3-bis,c.p.p. del riferimento esplicito al reato di atti persecutori, presente invece nell'art. 415-bis c.p.p., relativa all'avviso di conclusione delle indagini, evidenziava la volontà del Legislatore di disciplinare diversamente gli obblighi informativi a carico del pubblico ministero.

La suprema Corte a Sezioni unite, con articolata motivazione, ha risolto invece il quesito posto alla sua attenzione, sancendo che il delitto di atti persecutori, ex art. 612-bisc.p. va fatto rientrare nell'alveo dei delitti commessi con violenza sulla persona.

Alla risoluzione del contrasto la suprema Corte addiviene all'esito della ricognizione e dell'analisi complessiva e dettagliata della normativa nazionale e sovranazionale.

Le Sezioni unite osservano come l'obbligo gravante sul Legislatore nazionale, in ottemperanza all'art. 117 della Costituzione, è quello di interpretare la norma interna conformemente alle normative comunitarie ed alle norme convenzionali recepite dall'ordinamento interno e che, ove la norma interna si presti a diverse interpretazioni o abbia margini di incertezza, occorre scegliere quella che consenta il rispetto degli obblighi internazionali.

Esaminato quindi il reato di atti persecutori, la ratio sottesa alla previsione di tale fattispecie criminosa, individuata nella tutela della tranquillità psichica, della libertà di autodeterminazione e più genericamente della libertà morale della vittima di comportamenti assillanti e ripetitivi costituiti da minacce o molestie, le Sezioni unite rilevano che tale reato, pur costituito da condotte non caratterizzate da esplicite violenze ed aggressioni fisiche, spesso non risulta altro che prodromico a comportamenti di vera e propria, spesso grave, violenza fisica da parte del molestatore.

Evidenziano quindi come il dilagare di fenomeni caratterizzati dalla violenza di genere, nei confronti dei soggetti deboli, siano essi donne, ma anche uomini, ha imposto una più attenta predisposizione di strumenti di tutela, sia preventivi che punitivi, atti a rafforzare la posizione della persona vittima di tali comportamenti, spesso introdotti nel nostro sistema a mezzo della decretazione d'urgenza, anche con riferimento ai diritti processuali delle vittime.

Le Sezioni unite dunque rilevano come con il d.l. 93/2013, convertito nella legge 119/2013, generato anche dal susseguirsi di episodi di rilevante gravità in danno di donne - da qui la definizione di legge contro il “femminicidio” – il Legislatore abbia inciso, in particolar modo, in ordine a tre filoni quello informativo, quello delle misure cautelari, e quello riferibile a modalità di assunzione delle dichiarazioni della persona offesa; che l'obbligo di avviso obbligatorio alla persona offesa dai reati commessi con violenza alla persona, di cui all'art. 408, comma 3-bis, c.p.p., è stato dunque introdotto al fine di ampliare i diritti di partecipazione della vittima al procedimento penale, con lo scopo di dare specifica protezione alle vittime della violenza di genere, specie ove si estrinsechi contro le donne o nell'ambito della violenza domestica.

Opina, dunque, la suprema Corte che il reato di atti persecutori, al pari di quello dei maltrattamenti in famiglia, rappresenta, al di là della sua riconducibilità ai reati commessi con violenza fisica, una delle fattispecie cui nel nostro ordinamento è affidato il compito di reprimere tali forme di criminalità e di proteggere la persona che la subisce e che l'iter legislativo e dell'emendamento con cui è stata introdotta la nozione di delitti commessi con violenza alla persona dimostra la volontà del legislatore di ampliare il campo della tutela oltre le singole fattispecie criminose originariamente indicate.

Evidenzia dunque che la previsione di rigorosi obblighi di informazione e comunicazione alle vittime di reati commessi con violenza alla persona, risponde alla finalità di assicurare alle stesse un protezione più ampia e penetrante.

Nella disamina del concetto di violenza alla persona le Sezioni unite hanno osservato come la nozione di violenza adottata in ambito internazionale e comunitario è più ampia di quella positivamente disciplinata dal nostro codice penale e sicuramente comprensiva di ogni forma di violenza di genere, contro le donne e nell'ambito delle relazioni affettive, sia o meno attuata con violenza fisica o solo morale, tale da cagionare cioè una sofferenza anche solo psicologica alla vittima del reato.

Hanno richiamato quindi la normativa sovranazionale, in primis, la Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa, entrata in vigore il 1 agosto 2014 , laddove viene elaborata una compiuta nozione di violenza, individuandone diverse tipologie, tutte accomunate dall'esistenza condotte che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale e psicologica comprensive anche di minacce di compiere tali atti.

Hanno richiamato poi le varie direttive comunitarie emanate in merito alle politiche di contrasto nei confronti della violenza, quale la direttiva 2012/29/Ue, attuata con d.lgs. 212 del 15 dicembre 2015, entrata in vigore il 20 gennaio 2016, la quale detta norme minime in materia di diritti all'assistenza, informazione, interpretazione e traduzione nonché protezione nei confronti di tutte le vittime di reato e che fornisce, anch'essa, la nozione di violenza di genere, sancendo che questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico mentale o emotivo, o perdite economiche.

La conclusione a cui sono giunte le Sezioni unite è che quindi il concetto di violenza alla persona ricomprende non solo le coercizioni fisiche ma anche quelle morali e psicologiche.

Ed allora anche lo stalking rientra nel novero di quelle ipotesi più rilevanti di violenza di genere che implicano particolari forme di protezioni a favore delle vittime, che, nel caso di specie, si esplicano con il rafforzamento dell'obbligo di informazione della persona offesa, che avrà diritto a conoscere della proposta di archiviazione del procedimento penale a carico del suo presunto stalker anche in assenza di una formale richiesta in tal senso, a pena di nullità del provvedimento per violazione del diritto al contraddittorio tra le parti.

Osservazioni

L'obbligo del P.M. di informazione della richiesta di archiviazione – da garantire in ogni caso anche se non espressamente richiesto – alla persona offesa di un delitto commesso con violenza alla persona (introdotto dal d.l. 93/2013 nel comma 3-bis dell'articolo 408, del codice penale, rubricato richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato) rappresenta un novum legislativo diretto a garantire la maggiore conoscenza e partecipazione possibile al procedimento penale alla vittime di fenomeni degenerativi caratterizzati, in particolar modo, da forme di violenza.

Estendendo l'obbligatorietà di tale informazione anche alle vittime di violenza psicologica e quindi anche alle vittime di stalking, gli Ermellini sono pervenuti ad una conclusione coerente con la ratio legis che ha ispirato la decretazione d'urgenza nonché coerente con l'impianto normativo sovranazionale. Ed infatti, non appare condivisibile una interpretazione normativa che escluda dalla categoria di soggetti passivi, cui è rivolta la legislazione emergenziale, quei soggetti vittime di abusi non soltanto fisici ma anche di vera e propria ingerenza psicologica condizionante la vita quotidiana e la libertà personale.

La volontà del Legislatore di reprimere fenomeni dilaganti di prevaricazione e violenza omnicomprensiva su persone deboli, la predisposizione di una specifica protezione delle vittime della violenza di genere, rende non sposabile un'interpretazione opposta a quella accolta dalle Sezioni unite

Tanto più che con riferimento al reato di atti persecutori, gli atti di minaccia, di persecuzione che sono tali da ingenerare nella vittima, tra l'altro, un grave e perdurante stato d'ansia, con pregiudizio della sua sfera psicologica, statisticamente non sono che atti prodromici a quelli propriamente di violenza fisica, che spesso hanno un tragico epilogo.

Per tali ragioni, la suprema Corte, cristallizza il concetto della necessità di tutela dei soggetti deboli, raggiungibile anche con norme procedimentali: l'estensione dell'obbligo di comunicazione della richiesta di archiviazione alla persona offesa da un delitto commesso con violenza alla persona, anche in assenza di specifica domanda, a pena di nullità per violazione del contraddittorio, agisce in tale direzione.

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