La competenza a decidere sulla richiesta di messa alla prova formulata con l'opposizione a decreto penale

06 Luglio 2016

La cognizione del procedimento scaturente dall'opposizione a decreto penale di condanna, quando l'opponente richiede la sospensione del procedimento con messa alla prova, appartiene al giudice per le indagini preliminari oppure al giudice del dibattimento? Con soluzione inedita, la suprema Corte, nel risolvere il conflitto negativo di cognizione sollevato dai giudici leccesi, ha ritenuto che la competenza a decidere sull'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova avanzata con l'atto di opposizione a decreto penale di condanna spetti al giudice del dibattimento e non al giudice per le indagini preliminari.
Massima

In caso di opposizione a decreto penale di condanna, qualora nell'atto di opposizione sia stata avanzata dall'imputato richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 464-bis c.p.p., la competenza a decidere sulla richiesta del nuovo rito non spetta al giudice per le indagini preliminari, bensì al giudice del dibattimento.

Il caso

Tizio, condannato con decreto penale per il reato di cui all'art. 483 c.p., aveva proposto opposizione al provvedimento monitorio avanzando richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova ai sensi dell'art. 464-bis c.p.p.

Il tribunale di Lecce, in composizione monocratica, investito del procedimento penale a carico di Tizio scaturito dalla suddetta opposizione, aveva dichiarato la propria incompetenza a decidere sull'istanza, ritenendo che la competenza appartenesse al giudice per le indagini preliminari, analogamente a quanto previsto per altri riti premiali azionati dall'imputato con l'opposizione al decreto penale.

Il giudice per le indagini preliminari, investito della cognizione del procedimento avviato con l'opposizione, dovendo decidere sulla richiesta di sospensione con messa alla prova, sollevava conflitto negativo di competenza, rimettendo agli atti, per la decisione, alla Corte di cassazione, in quanto riteneva che la messa alla prova, configurando una causa di estinzione del reato, non potesse essere equiparata ad un rito alternativo, poiché ha un fondamento diverso e mira a raggiungere finalità processuali del tutto distinte.

La questione

La questione in esame è la seguente: la cognizione del procedimento scaturente dall'opposizione a decreto penale di condanna, quando l'opponente richiede la sospensione del procedimento con messa alla prova, appartiene al giudice per le indagini preliminari oppure al giudice del dibattimento?

Le soluzioni giuridiche

Con soluzione inedita, la suprema Corte, nel risolvere il conflitto negativo di cognizione sollevato dai giudici leccesi, ha ritenuto che la competenza a decidere sull'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova avanzata con l'atto di opposizione a decreto penale di condanna spetti al giudice del dibattimento e non al giudice per le indagini preliminari.

Ad avviso dei giudici di legittimità, infatti, l'art. 461, comma 3, c.p.p., che individua nel giudice che ha emesso il provvedimento monitorio l'autorità giudiziaria competente a decidere sulla opposizione a decreto penale, quando l'opponente richiede di essere ammesso al giudizio abbreviato o l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 c.p.p., non è applicabile analogicamente alla diversa ipotesi in cui l'opponente chiede invece di essere messo alla prova ai sensi dell'art. 464-bis c.p.p.

Svariati sono gli argomenti che hanno indotto il giudice del conflitto a sostenere la soluzione di cui sopra.

In primo luogo, viene evidenziata l'obiettiva diversità della richiesta di messa alla prova rispetto alla richiesta di accedere al giudizio abbreviato o di negoziare la pena, come si evince, ad avviso della Corte, dalla circostanza che la l. 28 aprile 2014, n. 67, che ha introdotto il nuovo istituto della messa alla prova, non ha previsto espressamente la competenza del giudice per le indagini preliminari in caso di richiesta avanzata con l'atto di opposizione, silenzio che per i giudizi di legittimità sarebbe indicativo della volontà del Legislatore di attribuire, in tal caso, la competenza al giudice chiamato a definire il giudizio conseguente all'opposizione, ossia il giudice del dibattimento.

Altro argomento viene tratto dalla previsione di cui all'art. 464-sexies c.p.p., a mente del quale durante la sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell'imputato.

Si osserva, infatti, che, qualora dovesse essere revocata l'ordinanza che sospendeva il procedimento con messa alla prova, il giudizio, per la parte restante, dovrebbe essere celebrato dal giudice del dibattimento, il quale, ai fini della decisione, dovrebbe utilizzare anche le prove raccolte dal giudice per le indagini preliminari durante al sospensione del procedimento, con la conseguenza che il legislatore avrebbe introdotto surrettiziamente una nuova ipotesi di incidente probatorio, ulteriormente derogando in maniera tra l'altro non espressa al principio di oralità della prova.

La Corte chiude il proprio ragionamento osservando che la competenza del giudice del dibattimento deriva anche dalla natura incidentale dell'istituto della messa alla prova, destinato ad esaurirsi nell'alternativa fra l'esito estintivo del reato e la ripresa del procedimento. Infatti, l'art. 464-octies, comma 4, c.p.p. prevede che il procedimento riprenda il suo corso dal momento in cui era rimasto sospeso quando la revoca dell'ordinanza di sospensione con messa alla prova diviene definitiva. Ad avviso dei giudici di legittimità, quindi, il carattere incidentale dell'istituto induce a ritenere che il procedimento debba essere trattato, nel caso di opposizione a decreto penale di condanna, dal giudice che dovrà celebrare il giudizio, ossia quello dibattimentale.

Osservazioni

Dal combinato disposto degli artt. 461, comma 3, e 464-bis, comma 2, c.p.p. emerge la possibilità di opporsi al decreto penale di condanna richiedendo, contestualmente, la sospensione del procedimento con messa alla prova, nel rispetto del limite temporale di quindici giorni.

Tuttavia, né le suddette norme, né altre previsioni normative chiariscono se la competenza a decidere sull'istanza di sospensione spetti al giudice del provvedimento monitorio o a quello del dibattimento.

La sospensione del procedimento con messa alla prova è stata da subito considerata un rito speciale di tipo consensuale volto a guadagnare l'estinzione del reato, ottenendo così la chiusura del processo senza passare per il dibattimento.

Del resto, dal punto di vista topografico, gli aspetti processuali del rito sono stati regolati nel Titolo V-bis del Libro dedicato ai procedimenti speciali.

Ciò ha indotto la maggioranza degli operatori del diritto ad assimilare il nuovo strumento processuale ai tradizionali riti premiali di tipo consensuale, quali il giudizio abbreviato e l'applicazione della pena su richiesta delle parti, stante anche l'effetto estintivo connesso alla procedura.

L'assimilazione di cui sopra ha portato molti uffici del giudice per le indagini preliminari a ritenersi competenti per la decisione sull'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova formulata nell'atto di opposizione al decreto penale di condanna, ad imitazione di quanto espressamente previsto dall'art. 464 c.p.p. per il giudizio abbreviato e il patteggiamento richiesti con le medesime modalità.

Nei tribunali che hanno adottato tale soluzione ci si è inoltre generalmente orientati nel senso di attribuire la competenza ad un giudice-persona fisica diverso da quello che ha emesso il decreto penale, avendo questi già valutato l'insussistenza di elementi e circostanze di fatto che avrebbero potuto portare ad una pronuncia ex art. 129 c.p.p.

A favore della suddetta soluzione si è, inoltre, osservato che la competenza del giudice del dibattimento è tracciata con precisione dal Legislatore, che gli attribuisce la cognizione nel giudizio immediato, nella citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo, di talché il suo ambito di competenza non dovrebbe essere esteso ad ipotesi non contemplate.

Del resto, potrebbe aggiungersi che il probation processuale per gli adulti presenta evidenti affinità con l'oblazione, anch'essa devoluta alla cognizione del giudice per le indagini preliminari quando viene richiesta in sede di opposizione a decreto penale. Infatti, entrambe le procedure speciali si reggono su un volontario assoggettamento dell'imputato alla sanzione prima della dichiarazione di colpevolezza, con conseguente effetto estintivo del reato.

A fronte del suddetto quadro, la suprema Corte ha assunto una decisione inattesa. Infatti, senza prendere posizione sulla possibilità di ricondurre la messa alla prova al genus dei riti premiali – possibilità quantomeno dubbia data l'assenza di vantaggi per l'indagato/imputato diversi dall'effetto deflattivo, comune a tutte le cause di estinzione del reato – la pronuncia in esame fonda la decisione su tre argomenti, nessuno, a dire il vero, decisivo.

Il primo, di carattere letterale, si basa sull'assenza di una previsione espressa che attribuisca al giudice per le indagini preliminari la competenza a decidere sulla richiesta di messa alla prova formulata con l'opposizione al decreto penale. Tuttavia, si tratta di un argomento che prova troppo, come tutti gli argomenti basati sul silenzio del Legislatore, dato che, altrettanto fondatamente, si potrebbe sostenere che il Legislatore, se avesse voluto attribuite al giudice del dibattimento la competenza di cui si discorre, avrebbe potuto farlo in modo espresso.

Il secondo argomento è il più incisivo e riguarda la possibile lesione del principio dell'oralità che deriverebbe dall'assunzione di prove da parte del giudice per le indagini preliminari durante la sospensione del procedimento qualora il probation dovesse fallire. Ciò in quanto il giudice del dibattimento che dovrebbe celebrare il giudizio a seguito della revoca dell'ordinanza sospensiva si troverebbe ad utilizzare per la decisione prove assunte da un altro giudice fuori dalle ipotesi tassative di indice probatorio.

In verità, ad avviso di chi scrive, il tema meritava un maggior approfondimento, posto che le prove da assumere, per espressa previsione legislativa, sono soltanto quelle non rinviabili (per le quali l'oralità entra in conflitto con l'esigenza di non disperdere elementi probatori) e quelle favorevoli all'imputato (in quanto possono condurre al suo proscioglimento); inoltre, le prove in esame possono essere assunte solo su richiesta delle parti, di talché, quando a richiederle è l'imputato, la deroga all'oralità sembra trovare giustificazione nel suo consenso.

L'ultimo argomento, basato sul carattere incidentale della procedura di messa alla prova, non considera che l'ordinamento già prevede l'oblazione come procedura estintiva avviata con l'opposizione al decreto penale di condanna. In tal caso, l'inosservanza degli adempimenti di legge connessi alla procedura estintiva comporta che il giudice debba emettere il decreto che dispone il giudizio immediato, perché nella stessa proposizione dell'opposizione è connaturata tale richiesta. Ne consegue che anche in caso di sospensione del procedimento con messa alla prova l'eventuale esito negativo del probation comporterà la revoca dell'ordinanza sospensiva e l'emissione del decreto di giudizio immediato.

Concludendo, a chi scrive sembra che la pronuncia annotata abbia liquidato troppo frettolosamente un tema che merita maggiore attenzione, dovendosi sondare attentamente sia le affinità e le differenze che la messa alla prova presenta con gli altri riti speciali che le frizioni con il principio dell'oralità che discendono dal meccanismo di salvezza delle prove delineato dall'art. 464-sexies c.p.p.

Guida all'approfondimento

GALATI-RANDAZZO, La messa alla prova nel processo penale. Le applicazioni pratiche della legge n. 67/2014, Giuffrè, 2015;

FARINI-TOVANI-TRINCI (a cura di), Compendio di diritto processuale penale, IV ed., Roma, 2016.

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