Soggetto agli arresti domiciliari. Il discrimen tra violazione delle prescrizioni ed evasione

06 Ottobre 2015

Integra il reato di evasione qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la sua durata, la distanza dello spostamento, ovvero i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale.
Massima

Integra il reato di evasione qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la sua durata, la distanza dello spostamento, ovvero i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale.

Il caso

L'imputato impugnava dinanzi alla suprema corte la decisione con la quale la corte d'appello, in riforma della statuizione assolutoria di prime cure, lo aveva condannato per il reato di evasione.

Il ricorrente deduceva, infatti, che la condotta contestata – essersi allontanato di pochi metri dalla propria abitazione nella quale si trovava ristretto agli arresti domiciliari – non integrava un fatto penalmente rilevante per carenza di offesa al bene giuridico tutelato dall'art. 385 c.p. In questo senso, il ricorrente, che era stato sorpreso dalle forze dell'ordine davanti all'uscio della propria abitazione, sosteneva che non erano state affatto pregiudicate le esigenze di controllo degli organi preposti alla vigilanza in quanto non vi era stato alcun apprezzabile distacco dal luogo di reclusione domestica.

La suprema corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, riconoscendo la correttezza della sentenza della corte distrettuale, conforme ai consolidati arresti della giurisprudenza di legittimità.

La questione

La questione che l'imputato ha devoluto all'esame della Suprema Corte atteneva alla penale rilevanza di condotte che sembrano integrare trasgressioni minime della norma incriminatrice.

In questa prospettiva, si affermava, infatti, che un allontanamento di pochi metri dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari non lede il bene giuridico tutelato dall'art. 385 c.p. poiché non sono compromesse le esigenze di controllo dell'autorità giudiziaria.

Simili violazioni, più che altro, potrebbero integrare delle mere trasgressioni alle prescrizioni imposte dal provvedimento coercitivo, rilevanti ai sensi dell'art. 276 c.p.p. (ossia nell'ottica di un aggravamento della misura), ma non nella differente prospettiva dell'irrogazione di una sanzione penale.

Le soluzioni giuridiche

In materia, la giurisprudenza di legittimità, seguita da quella di merito, appare orientata verso una esegesi particolarmente severa dell'art. 385 c.p. in tutte le ipotesi di cosiddetta “evasione impropria”, ossia l'evasione commessa dalla persona che si trova ristretta in un ambiente diverso da quello carcerario.

In effetti, in simili casi, le esigenze di controllo appaiono complicate dalla circostanza che l'effettivo rispetto delle prescrizioni imposte dal provvedimento coercitivo è affidato prevalentemente alla condotta del soggetto in vinculis. Del resto, poiché il vincolo fisico non è costante né continuativo mentre il controllo operato dalle forze dell'ordine è di tipo saltuario ed improvviso, a tal proposito è invalso l'uso del termine “autocustodia”.

Dunque, la fiducia che l'autorità giudiziaria ripone nella persona che non viene ristretta in carcere sembrerebbe essere il presupposto di un'interpretazione particolarmente rigorosa, giustificata dalla necessità di evitare che il regime di restrizione possa rivelarsi inidonea alla tutela delle esigenze cautelari. Coerentemente con questa impostazione, allora, si ritiene che non è necessario un allontanamento definitivo o la mancanza di un animus reverendi (Trib. Napoli Nord, 4 febbraio 2015).

Sempre nella stessa ottica, poi, altre decisioni di legittimità hanno affermato che deve intendersi per abitazione soltanto il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza (come aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante. Ciò perché il fine primario e sostanziale della misura coercitiva degli arresti domiciliari è quello di impedire i contatti con l'esterno ed il libero movimento della persona, quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari, che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi domiciliari comuni (Cass., Sez. VI, 21 ottobre 2014, n. 4830). Sul punto, tuttavia, si è anche puntualizzato che tali luoghi non possono essere di per sé esclusi dal concetto di abitazione poichè quest'ultima non può essere intesa esclusivamente come un appartamento in senso stretto, ossia come una serie di locali chiusi. Ciò che deve verificarsi, quindi, al fine di controllare la riconducibilità dell'allontanamento alla fattispecie criminosa è la possibilità di considerare oppure non tali luoghi come funzionali allo svolgimento della vita domestica e privata (Cass., Sez. VI, 10 luglio 2014, n. 36639).

Osservazioni

Ai margini dei chiarimenti relativi alla nozione di evasione impropria, alcune considerazioni riguardano la differenza tra una condotta penalmente rilevante e la mera trasgressione di prescrizioni imposte con il provvedimento cautelare.

La prima, infatti, è integrata da un allontanamento ritenuto idoneo a pregiudicare le esigenze di controllo dell'autorità giudiziaria; la seconda, invece, è rappresentata dalla inosservanza di disposizioni con le quali il giudice della cautela “allenta” o “irrigidisce” la misura applicata secondo le esigenze del caso. A titolo esemplificativo, può rendere meno gravoso il regime cautelare un permesso di recarsi al lavoro ovvero di uscire dal domicilio per provvedere alle indispensabili esigenze di vita, mentre può rendere più rigido tale regime un divieto di comunicazione con persone diverse dai conviventi. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, d'accordo con le altre statuizioni citate, propone un'esegesi che sembra orientata ad affermare che la violazione delle prescrizioni contenute nel provvedimento cautelare integra il reato di evasione ogniqualvolta la trasgressione è idonea a ledere o compromettere il potere di controllo dell'autorità giudiziaria.

Così, ad esempio, si è ritenuto che costituisce evasione la condotta di colui che, autorizzato a recarsi presso il luogo di custodia con mezzi propri e senza scorta, non lo raggiunga (Cass., sez. VI, 26 novembre 2008, n. 309), o di colui che, autorizzato a uscire dal domicilio in determinate fasce orarie, si allontani in orari con queste incompatibili (Cass., Sez. VI, 12 maggio 2006, n. 21975) o di colui che, autorizzato a svolgere attività lavorativa in luogo diverso dalla sua abitazione, vi faccia rientro con trenta minuti di ritardo rispetto all'orario stabilito nell'ordinanza (Cass., Sez. VI, 9 dicembre 2002, n. 1752).

Guida all'approfondimento

Gelosi, I delitti di evasione, in Cadoppi – Canestrari – Manna – Papa, Trattato di diritto penale, parte speciale, vol. III, Utet, 2008, p. 641

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