Riesame. La Cassazione chiarisce i termini entro cui motivare l’ordinanza

Enrico Campoli
06 Dicembre 2016

Con la legge 47 del 16 aprile 2015 la disciplina che riguarda il riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva è stata profondamente innovata. Attesi gli allarmanti ritardi registrati nel deposito delle motivazioni, rispetto al momento in cui venivano assunte le decisioni – e ciò in particolar modo per quelle che determinavano il mantenimento della restrizione – il Legislatore ha pensato di ...
Massima

La dichiarazione d'inefficacia della misura coercitiva può aver luogo solo quando la motivazione del tribunale del riesame è depositata oltre il trentesimo giorno a far data dal deposito del dispositivo, ovvero dal termine più ampio, mai superiore a quarantacinque giorni, stabilito dal giudice al momento della decisione.

Il caso

Il giudice per le indagini preliminari emette ordinanza custodiale in carcere nei confronti di due soggetti per il delitto di rapina.

Il tribunale del riesame motiva la propria decisione, con cui conferma l'ordinanza custodiale, entro il trentesimo giorno dal deposito del dispositivo, termine che, però, è da ritenere infranto ove raffrontato con quello della camera di consiglio in cui è stata assunta la decisione.

Ricorrono per cassazione le difese degli indagati reclamando l'immediata inefficacia della misura cautelare coercitiva in quanto il dies a quo dei trenta giorni per il deposito della motivazione è già decorso ove si abbia a raffronto il giorno della camera di consiglio in cui è stata deliberata la decisione mentre il tribunale del riesame lo ha, erroneamente, computato dal deposito del dispositivo.

La questione

Con la legge 47 del 16 aprile 2015 la disciplina che riguarda il riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva è stata profondamente innovata.

Attesi gli allarmanti ritardi registrati nel deposito delle motivazioni, rispetto al momento in cui venivano assunte le decisioni – e ciò in particolar modo per quelle che determinavano il mantenimento della restrizione – il Legislatore ha pensato di incidervi sia dettando un'ulteriore scansione procedimentale avente ad oggetto il termine perentorio per la stesura della motivazione sanzionandola, nel caso di mancato rispetto dello stesso, con l'inefficacia della misura coercitiva applicata e sia stabilendo, tout court, il divieto di reiterazione per ogni vizio formale, salvo la ricorrenza di eccezionali esigenze cautelari, specificamente motivate.

È in forza di tale volontà normativa che ai vari motivi formali, che possono determinare la dichiarazione di inefficacia della misura coercitiva, come il ritardo nella trasmissione degli atti ovvero il non essere intervenuta la decisione entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, se n'è andato, quindi, ad aggiungere un altro che ha quale oggetto precipuo quello del deposito della motivazione.

In relazione a tale obbligo del giudice – per il quale, inizialmente, era stato addirittura coniato uno specifico illecito disciplinare, poi cassato in sede di conversione del decreto legge – è stato, quindi, sancito il termine perentorio dei trenta giorni, salvi i casi in cui le motivazioni siano particolarmente complesse, per numero di arrestati o gravità delle imputazioni, nel qual caso potrà essere disposto un termine più lungo, comunque mai eccedente il quarantacinquesimo giorno.

Proprio in considerazione della qualifica come perentori dei termini per la stesura della motivazione ci si è posti l'interrogativo del momento dal quale essi trovano decorrenza.

Le soluzioni giruidiche

I giudici di legittimità nella decisione in commento hanno stabilito i seguenti principi di diritto:

  • il termine entro il quale deve intervenire la decisione sulla richiesta di riesame e quello per il deposito della successiva ordinanza del tribunale, – il cui mancato rispetto determina, ai sensi dell'art. 209, comma 10, c.p.p., come sostituito dall'art. 11 della legge 16 aprile 2015 n. 47, la perdita di efficacia dell'ordinanza applicativa della misura coercitiva –, devono essere intesi nel senso che il dispositivo, contenente la decisione sulla richiesta di riesame, deve essere depositato entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, mentre l'ordinanza del tribunale, recante la motivazione, deve essere depositata entro trenta giorni dal deposito del dispositivo;
  • si viene così a configurare un sistema bifasico che prevede, dapprima, un termine per la decisione e poi uno specifico termine per il deposito dell'ordinanza. L'assunto che, per individuare il decorso del secondo termine, debba aversi riguardo alla decisione, a prescindere dal deposito del dispositivo, non può condividersi;
  • è solo dal momento del deposito del dispositivo che si ha una decisione ed è solo da esso che può avere decorrenza il termine per il deposito della motivazione.
Osservazioni

La commistione, in sede di riesame, tra il vecchio regime normativo ed il nuovo, introdotto dalla legge 47 del 16 aprile 2015, comporta che al termine dei dieci giorni dalla ricezione degli atti entro cui deve avvenire la decisione del tribunale (emissione del dispositivo) si aggiunge quello del deposito della motivazione nel termine dei trenta giorni ovvero nel termine più ampio stabilito dal giudice, mai, comunque, superiore ai quarantacinque giorni.

Con la decisione in commento ci si è soffermati su di un punto, solo apparentemente marginale, in quanto il rispetto dei dieci giorni per il deposito della decisione, cioè per il deposito del dispositivo, non sempre coincide con quello della camera di consiglio in cui la stessa è stata assunta.

Può, difatti, accadere che ricevuti gli atti – i quali devono essere trasmessi dall'autorità giudiziaria procedente, ex art. 309, comma 5, c.p.p. il giorno successivo, e comunque non oltre il quinto giorno – l'udienza camerale venga fissata dal tribunale del riesame prima del decimo (ed ultimo) giorno, entro la cui mezzanotte deve essere sempre adottata la decisione, pena l'inefficacia della misura coercitiva, con la conseguenza che se anche la camera di consiglio si sia svolta in quella circostanza temporale non sempre con essa coincide il deposito del dispositivo per cui, fermo restando per quest'ultimo il rispetto del termine dei dieci giorni, dettato dall'art. 309, comma 9, c.p.p., occorre chiedersi, in primo luogo, cosa avviene quando v'è una discrasia temporale tra i due momenti: quello della decisione e quello della sua pubblicazione.

In seguito alla riforma introdotta dalla legge 47 del 16 aprile 2015 in una specifica occasione si è evidenziato che il termine di trenta giorni dalla decisione …… decorre dalla data della deliberazione in camera di consiglio attestata nel dispositivo e non dalla eventuale diversa data del deposito in cancelleria del dispositivo medesimo (Cass. pen., Sez. II, n. 4961/2016) ma, come hanno avuto modo di precisare i giudici di legittimità nella sentenza qui in esame, in quella circostanza risultava, con certezza, in quanto specificamente annotato nel dispositivo, che la data della decisione non era la medesima di quella della pubblicazione (in quel processo risultava incontrovertibilmente che la data della decisione non corrispondeva a quella di pubblicazione del dispositivo quest'ultimo, infatti, sebbene depositato il 3 agosto 2015, riporta testualmente la dicitura che la decisione era stata assunta “nella camera di consiglio del 30 luglio 2015.

In breve, i giudici di legittimità, nell'occasione, hanno preso atto che il tribunale del riesame, pur avendo adottato la decisione in un determinato giorno aveva poi pubblicato, sempre nel rispetto dei dieci giorni dettati dall'art. 309, comma 9, c.p.p., il dispositivo successivamente dando, di tale discrasia temporale, specifica attestazione: in questo specifico caso – tenuto in debito conto che il dato letterale dell'art. 309, comma 10, c.p.p. novellato stabilisce che l'ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione – non poteva che prendersi atto di una netta differenziazione dei due momenti assumendo decisamente prevalenza quello (antecedente) decisionale.

Quella sin qui descritta deve, però, considerarsi come un'anomalia procedurale in quanto, nella maggior parte dei casi, i due (diversi) momenti della decisione e del deposito del dispositivo si sovrappongono per cui ne consegue che la motivazione non potrà che essere, a sua volta, depositata se non entro trenta giorni da essi – (Cass. pen., Sez. VI, n. 22818/2016).

Ragionando diversamente si dovrebbe sostenere che per individuare il dies a quo per il deposito della motivazione occorrerebbe avere riguardo al momento in cui è stata assunta la decisione senza avere alcuna rilevanza il successivo deposito del dispositivo.

Tale impostazione interpretativa non può trovare avallo sia perché non necessariamente v'è coincidenza tra camera di consiglio e decisione ben potendo essa intervenire, fermo restando il termine dei dieci giorni, in un momento deliberativo successivo e sia in quanto solo il deposito del dispositivo manifesta verso l'esterno la certezza legale della stessa a mezzo della specifica attestazione dalla cancelleria (pubblicazione) e la fuoriuscita di essa dalla disponibilità decisionale del giudice.

In mancanza del deposito del dispositivo la decisione non è mai tale in quanto è solo la sua pubblicazione a darle veste esterna tant'è che prima di essa può essere oggetto di ogni correzione, formale e sostanziale.

Inoltre, non è per nulla casuale che è proprio nel dispositivo, e nel deposito dello stesso, che prende vita l'eventuale diverso, e più ampio, termine stabilito dal giudice per la stesura della motivazione con ciò implicitamente confermandosi che è da quel preciso momento in cui si esteriorizza la decisione che prende decorrenza lo stesso.

Del resto non rientrando sistemicamente la decisione adottata in seguito all'udienza camerale nella regolamentazione dettata dall'art. 545, comma 1,c.p.p. – la quale prevede sempre, per la sentenza, che essa sia pubblicata in udienza […] mediante la lettura del dispositivo – in quanto ben può essere il momento decisionale affidato ad una delibazione successiva e senza necessità di renderla immediatamente nota alle parti, ciò che rileva è, solo ed esclusivamente, il deposito in cancelleria dell'atto che rende pubblica la decisione assunta, atto che nulla impedisce possa anche essere già fornito della motivazione.

Quel che quindi rileva ai fini della corretta scansione procedurale della decisione in sede di riesame è che il sistema bifasico introdotto dal legislatore prevede due momenti fondamentali: quello del deposito del dispositivo e quello del successivo deposito della motivazione, la quale ultima trova decorrenza dal deposito del primo.

Solo laddove venga attestato che la data della decisione e quella del deposito del dispositivo siano differenti, - ma pur sempre rispettose del termine dei dieci giorni -, è possibile far decorrere il termine per la motivazione dalla prima, in quanto in tal caso il dispositivo costituisce solo la materiale esternazione della decisione, mentre in tutti i casi in cui i due momenti si sovrappongono la decorrenza non può che avere inizio dal deposito dello stesso.

Guida all'approfondimento

MARANDOLA, I nuovi “tempi” del giudizio del riesame innanzi alla Corte di Cassazione;

SPANGHER, Quel “pasticciaccio brutto” di piazza Cavour.

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