La tutela della vittima nel processo penale e nelle fonti internazionali

07 Marzo 2017

La vittima del reato è destinata a guadagnarsi un posto reale nelle dinamiche processuali interne. Nonostante ad oggi si manifesti una certa ritrosia in alcuni sistemi interni a parlare di vittima, utilizzando questo termine solo in contesti extraprocessuali, di fatto si procede a riconoscerle strumenti più incisivi nell'ambito del processo penale. Dall'analisi delle direttive europee emerge un dato inconfutabile: l'obbligo degli Stati membri di garantire ...
Abstract

La ritrosia e la lentezza da parte del nostro ordinamento a recepire le direttive europee, genera spesso un caos giuridico nella tutela dei diritti dei soggetti più deboli.

La vittima, così definita a livello internazionale, non trova, infatti, ancora oggi una sua definizione e collocazione giuridica nel nostro processo penale.

Di qui, l'esigenza, di un'analisi dettagliata della funzione e della tutela della vittima nel processo penale italiano, dei suoi limiti e delle sue prerogative ,e soprattutto, gli ambiti entro i quali questa figura può assumere il ruolo di parte processuale anche alla luce del decreto legislativo 212 del 15 dicembre 2015 con il quale l'ordinamento italiano ha dato finalmente attuazione alla direttiva europea 29 del 25 ottobre 2012.

Le problematiche, si riscontrano, nella difficoltà di un'armonizzazione dei sistemi penali e processuali europei.

Si parte, infatti, dall'ambigua considerazione che il processo penale vada sempre considerato come strumento di difesa sociale, al contrario andrebbe più coltivata come sostenuto in dottrina, “l'idea ambiziosa” di un giusto processo comune.

In buona sostanza, il fine dovrebbe essere quello di tutelare sempre i diritti dell'individuo, rinunciando a “minime porzioni” della sovranità statale, in un processo il cui fine sia quello di un integrazione europea nell'ambito dei sistemi giuridici penali e processuali.

L'analisi delle fonti interne e sovranazionali presuppone un livello di verifica su quanto effettivamente il nostro ordinamento abbia recepito le indicazioni provenienti dalla direttiva europea 29 del 2012, che come è noto ha introdotto norme molto incisive in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime del reato, modificando ed in parte aggiungendo delle nuove norme processuali penali, con l'obiettivo di definire uno ”statuto” della vittima del reato. Insomma, una serie di garanzie ed uno nuovo status processuale volto a rafforzare la tutela della vittima fuori e dentro il processo.

In una prospettiva diacronica, l'Unione europea ha dunque intrapreso un cammino verso il formale riconoscimento dei diritti della vittima del reato del tutto ignorata dal Legislatore italiano che, ha preferito concentrarsi sulla funzione sociale e repressiva del processo penale, trascurandone i problemi e le reali istanze.

Dai primi anni ottanta si è intrapresa un'analisi del crimine che senza trascurare e/o pregiudicare i diritti dell'imputato, ha altresì posto l'accento su un ottica opfer-orientiert, più attenta alla prospettiva vittimiologica, in ragione della sua autonomia scientifica.

Il termine vittima presuppone l'esame di concetti che vanno analizzati in contesti extraprocessuali.

Il riconoscimento della vittimologia come scienza autonoma ha segnato il punto di svolta rispetto al passato ove l'attenzione era rivolta essenzialmente alle esigenze di natura economica collegate alla vittima. Si ragionava in termini di soggetto passivo, che subiva il danno derivante dal reato, e quindi la si considerava rilevante solo nell'ottica del risarcimento del danno. La vittimologia, ha ampliato lo studio della vittima, esaminando la sua personalità, il legame con il reo e le conseguenze comportamentali di entrambi i soggetti nella realizzazione di un determinato evento.

Nell'ambito del processo penale, non possiamo ancora affermare quale sia l'effettivo ruolo della vittima.

Esistono varie nomenclature per definire la vittima, si parla di persona offesa, di parte lesa, di danneggiato.

Unico dato certo è che esiste un soggetto che lamenta la lesione di un bene o interesse, ma manca una qualificazione di vittima che si caratterizza come una figura dai tratti ancora non delineati nella fase preliminare del processo penale, con un ruolo con prevalenti connotazioni “civilistiche” nella fase dibattimentale.

La retrospettiva appena effettuata, mette in luce l'esigenza, più volte evidenziata, di un livello di conformità dell'ordinamento processuale italiano alle disposizioni contenute nella direttiva europea 29 del 2012 ove si è ribadito che la vittima del reato deve godere di una vera e propria cittadinanza nel procedimento penale non più solo come soggetto ma come parte.

Con il decreto legislativo 212 del 2015 che ha recepito nel nostro ordinamento la direttiva europea 29 del 2012 si segna da parte del Legislatore italiano, l'inizio di un cammino diverso da quello a tutt'oggi percorso.

Alla decretazione di urgenza ed emotiva, utile solo a dare risposte estemporanee, alle istanze della società civile, si sostituisce in parte una legislazione che prova ad offrire una visione organica ed europea nella reale tutela di tutte le parti in causa del processo penale.

Le cautele tra prerogative dell'imputato e tutela della vittima

I problemi della modernità, comportano una riflessione in merito ad un concetto che spesso non solo viene trascurato ma sovente costituisce quel condizionamento che incide notevolmente sulla finalità del processo penale e comporta una trasformazione del nostro processo in un processo cripto inquisitorio e non più accusatorio.

La funzione del processo penale è quella di compiere un percorso legale di accertamento della responsabilità, in funzione di quelle regole e principi che sono alla base dell' art. 111 della Costituzione e recettive delle norme internazionali in tema di proces equitable.

Spesso, il desiderio affannoso del Legislatore, di tutelare la collettività e in particolar modo la vittima ci fa perdere di vista quell'orizzonte di senso che ci indica la via del rispetto dei principi e delle regole del processo penale, verso una sentenza giusta che tuteli la vittima, attraverso un percorso legale di accertamento della responsabilità.

Si dovrebbe partire dal principio della non considerazione di colpevolezza e non dal fenomeno preoccupante della logica di impiegare il processo per fini repressivi e pseudo giustizialisti, senza negare la rilevanza delle istanze di difesa sociale che costituiscono una componente ontologicamente necessaria in ogni società democratica.

Dai brocardi costituzionali si evince che il processo è “il giardino inviolato” dell'imputato il cui fine è la verifica della responsabilità per un fatto penalmente rilevante, senza essere gravato da fini impropri di difesa della società, di reazione esemplare, di repressione della devianza.

Un codice di procedura penale può anche essere uno strumento di difesa sociale, ma solo nel senso che riesca a funzionare in modo tale da assicurare che i colpevoli siano puniti nel più breve tempo possibile e a maggior ragione che siano assolti gli innocenti

Questo non significa minori garanzie della vittima ma garantirla da processi inutili e non funzionali alle sue esigenze di verità e giustizia.

Partendo da questo presupposto non si vuole impedire l'ingresso della vittima nel processo penale ma, invero, pur riconoscendo le finalità del processo, la vittima ha ragion d'essere solo e se, nel rispetto delle Convenzioni europee, le si riconosca non più un ruolo strettamente collegato alla sua natura risarcitoria, ma un ruolo chiaro e definito quale dimostrazione di una mutata sensibilità dei modelli processuali-penali nazionali che prendano in considerazione realmente le sue esigenze.

Il difficile equilibro tra garanzie dell'imputato e i diritti della vittima sta proprio nel riconoscere che solo concedendo a quest'ultima la funzione di parte permetterebbe, invero, di rafforzare la posizione di tale figura dal processo e nel processo.

In virtù di quanto auspicato dalla normativa europea va sempre rispettata la par condicio tra accusa e difesa nell'accertamento della responsabilità.

Uno sforzo che porterebbe a parlare di processo equitable allontanando così le mere esigenze giustizialiste e lesive dei diritti e delle garanzie processuali.

Il ruolo della vittima nel contesto criminologico

La vittima necessita di concetti che si inseriscano in contesti extra processuali, all'interno di una disciplina autonoma che prende il nome di vittimologia.

La vittimologia ha come oggetto lo studio della personalità della vittima, delle implicazioni psicologiche derivanti da tale status e del legame intercorrente tra il reo e l'offeso.

In ragione della sua autonomia, la vittimologia ha indirizzato l'attenzione non più e non solo sulla vittima intesa come soggetto passivo del reato e dunque rilevante soltanto nell'ottica del risarcimento del danno ma sulla vittima quale soggetto attivo e parte del processo penale.

La dottrina ha parlato di vittima del reato come il soggetto il cui bene giuridico, che la norma penale protegge, è leso o messo in pericolo dalla condotta illecita. Visto così, il concetto di vittima non può quindi prescindere dall'aspetto lesivo della condotta che consente quindi di affermare che in ogni reato è sempre presente una persona offesa.

La vittima del reato riscopre così, la propria centralità durante tutto l'arco procedimentale, sostenuta in tal senso dalla istanze europee che spingono in questa direzione, e si tenta di ottenere quindi il riconoscimento di un ruolo chiaro e definito quale dimostrazione indispensabile della mutata sensibilità dei modelli

La direttiva dell'Unione europea in materia di diritto, assistenza e protezione delle vittime del reato

Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il 13 dicembre 2007, il Consiglio europeo inizia un percorso consapevole in termini di adeguamento del diritto nazionale alla normativa europea.

L'art. 82 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea afferma che la cooperazione giudiziaria in materia penale nell'Unione è fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, ed include il riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.

Nel paragrafo 2 del succitato articolo si riconosce la possibilità per il Parlamento europeo e il Consiglio europeo di stabilire delle norme minime vincolanti attraverso le direttive che sostituiscono la decisione quadro e diventano lo strumento necessario per creare le basi per il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie e per la cooperazione giudiziaria.

Le direttive diventano le pietre angolari dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il trattato di Lisbona spalanca finalmente le porte all'idea di un “processo penale europeo” e da qui nasce il prodotto più maturo adottato dal Legislatore europeo in tema di tutela delle vittime, la direttiva 2012/29/Ue, che sostituisce la decisione quadro 2001/220/Gai del 2001 con l'obiettivo fondamentale di garantire un riconoscimento più ampio dei diritti della vittima tra i quali il diritto di accedere alla giustizia, di essere informata, assistita e protetta in modo adeguato e di poter partecipare attivamente al procedimento penale.

L'ambito oggettivo di applicazione della direttiva è molto esteso in quanto si applica a prescindere dal reato commesso, indipendentemente dalla cittadinanza, dalla nazionalità o dal territorio dell'unione ove la vittima del reato si trova.

La direttiva da un punto di vista soggettivo, si rivolge non solo alle vittime dirette cioè, la persona fisica che ha subito il danno, ma anche alle vittime indirette del reato, cioè, i familiari che hanno subito una perdita a causa del reato commesso.

L'obiettivo è quello di fare emergere attraverso le autorità giudiziarie tutti quei reati che le vittime, per paura, spesso non denunciano e a tal fine il Legislatore europeo si è soffermato sull'accoglienza che deve essere rivolta alle vittime .

L'art. 4 della direttiva stabilisce che sin dal primo momento le vittime devono ricevere un trattamento rispettoso, sensibile, professionale e non discriminatorio che le incoraggi ad affidare il proprio caso alla giustizia e a rompere il ciclo di vittimizzazione al quale sono soggette.

In particolare, nel succitato articolo si prevede che alla vittima siano offerte ,sin dal primo contatto con l'autorità competente, senza indebito ritardo le informazioni seguenti: a) il tipo di assistenza che può ricevere e da chi, nonché, se del caso, informazioni di base sull'accesso all'assistenza sanitaria, ad una eventuale assistenza specialistica, anche psicologica, e su un sistemazione alternativa; b) le procedure per la presentazione di una denuncia relativa ad un reato ed il ruolo svolto dalla vittima in tali procedure, c) come e a quali condizioni è possibile ottenere protezione, comprese le misure di protezione; d) come e a quali condizioni è possibile avere accesso all'assistenza di un legale, al patrocinio a spese dello Stato ed a qualsiasi altra forma di assistenza, e come e a quali condizioni è possibile l'accesso al risarcimento; f) come e a quali condizioni ha diritto all'interpretazione ed alla traduzione; g) qualora risieda in uno Stato membro diverso da quello in cui è stato commesso il reato, quali sono le misure, le procedure o i meccanismi speciali a cui può ricorrere per tutelare i propri interessi lo Stato membro in cui ha luogo il primo contatto con l'autorità competente ; h) le procedure disponibili per denunciare casi di mancato rispetto dei propri diritti da parte dell'autorità competente operante nell'ambito di un procedimento penale) i servizi di giustizi ripartiva disponibili; k) come e a quali condizioni le spese sostenute in conseguenza della propria partecipazione al procedimento penale possono essere rimborsate.

Il diritto di informazione della vittima può ritenersi soddisfatto solo qualora sia messa nelle condizioni di comprendere le informazioni ricevute. Tra i fattori che possono compromettere la capacità di comprensione della vittima rientra la differenza linguistica.

La direttiva pone rimedio a questo eventuale ostacolo riconoscendo il diritto all'assistenza linguistica, che in precedenza era stato riconosciuto solo all'indagato e all'imputato dalle direttive precedenti.

I diritti di informazione e sostegno riconosciuti alla vittima hanno una funzione propedeutica all'esercizio dei diritti di partecipazione attiva e consapevole della vittima nell'ambito del procedimento penale, cui è dedicato il capo terzo della direttiva.

È necessario evidenziare che non attribuisce alla vittima il ruolo di parte all'interno del procedimento penale, infatti, come evidenziato dal Legislatore europeo, il ruolo delle vittime nel sistema giudiziario penale e la possibilità per le stesse di partecipare attivamente al procedimento penale variano tra gli Stati membri. Spetta a questi ultimi stabilire i criteri da adottare nel proprio sistema nazionale per determinare la portata dei diritti previsti dalla presente direttiva, laddove vi sono riferimenti al ruolo della vittima nel pertinente sistema giudiziario penale.

Il diritto di essere sentita costituisce il primo diritto previsto dal Legislatore europeo alla vittima. La direttiva, però, non specifica in quale fase del procedimento e quali autorità debbano procedere ma solo che è data loro la possibilità di rendere dichiarazioni o fornire spiegazioni scritte che costituiranno elementi di prova all'interno del procedimento.

Tale definizione si presta ad essere applicata sia nei sistemi inquisitori dove la prova si forma nella fase istruttoria sia nei sistemi di tipo accusatorio dove la prova si forma nel dibattimento ed in contraddittorio tra le parti.

L'art. 11 della direttiva prevede la possibilità per la vittima di chiedere il riesame di una decisione e di non esercitare l'azione penale, il diritto di opposizione alle scelte compiute dalle autorità giudiziarie dipende ovviamente dal ruolo riconosciuto alla vittima nel sistema penale, anche se si prevede , almeno per le vittime di gravi reati, il diritto di chiedere la revisione della decisione che impedisce loro di poter ottenere l'accertamento dei fatti in giudizio.

Il Legislatore europeo non ha trascurato il riferimento alla vittima vulnerabile ma anzi ha rinnovato la centralità riconosciuta a quest'ultima.

Si è abbandonata la strada di una tipizzazione della vittima vulnerabile per favorire un percorso che intercetti caso per caso le esigenza di quei soggetti che necessitano di un trattamento specifico all'interno del procedimento penale.

Si parla di vittime con specifiche esigenze di protezione che devono essere individuate attraverso una valutazione individuale legata a parametri previsti dall'art. 22 per verificare il livello di esposizione al rischio di vittimizzazione correlato all'applicazione di misure di protezione speciale.

Viene così predisposto, un vero e proprio apparato di protezione della vittima, che viene limitato ancora una volta dalle solite clausole di salvaguardia della sovranità nazionale non realizzando in maniera concreta ed incisiva l'intento del Legislatore europeo di una sinergia normativa tra Stati.

Il decreto legislativo 212 del 15 dicembre 2015

Il decreto legislativo 212 del 2015 ha segnato l'adeguamento ai parametri sovranazionali da parte nel nostro Paese, dando finalmente attuazione alla direttiva Ue 29 del 25 ottobre2012.

Il decreto di attuazione integra e ristruttura il quadro di garanzie rivolte alla persona offesa del reato all'interno del nostro sistema processuale penale; si sarebbe potuto osare di più con particolare riferimento alla presunzione di vulnerabilità dei minori e sul concetto di vittima vulnerabile ma sicuramente le modifiche apportate all'articolo 90 del codice di procedura penale rappresentano un indiscutibile passo avanti nel riconoscimento di uno status di vittima.

Il decreto legislativo 212 del 2015 introduce il comma il 2 bis all'articolo 90 c.p.p. ove si stabilisce che: il giudice in caso di dubbio sull'effettiva età della parte offesa, è tenuto a disporre anche d'ufficio una perizia, prevedendo, inoltre, qualora il dubbio sull'effettiva età permanga, che la minore età sia da considerarsi presunta. Il fine è quello di procedere in termini di garanzia al riconoscimento della minore età della persona offesa che viene presunta.

Al comma 3-bis dell'art. 90 c.p.p vi è un ampliamento dello status di persona offesa che, nella sua nuova formulazione, consente, qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, di conferire tale status ai prossimi congiunti o alle persone legate alla parte offesa da una relazione affettiva o con essa stabilmente convivente.

I diritti informativi della parte offesa, sono disciplinati nell'art. 90 c.p.p. (informazione alla persona offesa)e si interviene su istituti già esistenti integrandone la disciplina e ampliandone l'operatività, stabilendo, quindi, che alla persona offesa, sin dal primo contatto devono essere fornite in una lingua a lei comprensiva una serie di informazioni concernenti la sua effettiva partecipazione al processo penale.

Il decreto legislativo de quo ha il pregio di attribuire maggiore organicità all'assetto delle tutele e dei diritti della persona offesa riconoscendo, a quest'ultima, una maggiore attenzione sistematica in tutte le fasi del procedimento penale.

Le nuove disposizioni in tema di informazioni integrano una disciplina già modificata in occasione del recepimento della direttiva dell'Unione europea 64 del 2010 sul diritto alla interpretazione ed alla traduzione dei procedimenti penali.

Si prevede che l'assistenza dell'interprete possa avvenire anche a distanza attraverso l'uso di strumenti tecnologici di comunicazione, esclusi i casi in cui la presenza dell'interprete sia richiesta in maniera costante.

L'elenco delle informazioni che deve essere comunicato alla persona offesa in una lingua a lei comprensibile assicura un'adeguata conoscenza di tutte le garanzie di cui la vittima può usufruire in tutte le fasi del procedimento penale ivi compresa la fase cautelare.

Il decreto legislativo si occupa anche delle comunicazioni inerenti i provvedimenti di scarcerazione o di cessazione della misura di sicurezza detentiva, o dell'evasione dell'imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell'internato alla misura di sicurezza detentiva. In un ottica di protezione per la persona offesa, viene altresì garantito il bilanciamento di interessi nei confronti dell'indagato, dell'imputato o condannato, stabilendo che ai sensi dell'articolo 299 c.p.p. queste comunicazioni possono essere omesse qualora si ravvisi il pericolo di un concreto danno per l'autore del reato.

La persona offesa del reato ha il diritto di essere informata anche sulla remissione di querela e sugli strumenti di giustizia riparativa come ad esempio la mediazione e sui servizi assistenziali di cui potrebbe per esigenze di protezione, usufruire (case famiglia, case rifugio, centri accoglienza).

Il diritto di partecipazione al processo penale viene data alla persona offesa attraverso la possibilità di impugnare le decisione di non luogo a procedere.

Il decreto legislativo punta soprattutto sulle garanzie riservate alla persona offesa e sul concetto di particolare vulnerabilità, infatti l'articolo 90-quater c.p.p. parla proprio di condizione di particolare vulnerabilità che viene desunta oltre che dall'età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede.

La valutazione del fatto viene fatta anche in riferimento alla violenza nei confronti della persona, all'odio razziale, ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, o di tratta degli esseri umani includendo così tutti i nuovi fenomeni di criminalità transfrontaliera.

Il decreto legislativo 212 del 2015 aggiunge anche all'articolo 392 il comma 1-bis c.p.p ampliando i casi di incidente probatorio “atipico” e prevedendo che il pubblico ministero su richiesta della vittima vulnerabile o l'accusato possano chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza dell'offeso.

L'aggiunta del comma quinto- quater all'articolo 398 c.p.p. prevede poi l'operatività di modalità protette nell'ambito della conduzione dell'esame nel corso dell'incidente probatorio, stabilendo che tali modalità vengano svolte con particolare protezione per le vittime vulnerabili a prescindere dal fatto che il reato rientri o meno nel catalogo di reati di cui al comma 4-bis dell'articolo 498 c.p.p.

Al fine di evitare i fenomeni di vittimizzazione secondaria si sono individuate modalità di protezione della vittima che la tengano lontano da interferenze esterne e da contatti diretti con l'autore del reato.

L'entrata in vigore del decreto legislativo 212 del 2015, di attuazione della direttiva Ue non comporta un'alterazione delle garanzie tra status di vittima e quello dell'imputato ma porta alla consapevolezza che un processo equo per essere tale deve garantire entrambe queste figure rendendole reali attori nel processo penale.

In conclusione

Dall'analisi della vittima del reato nel processo penale e nelle fonti internazionali, va fatta preliminarmente una considerazione, la vittima del reato è destinata a guadagnarsi un posto reale nelle dinamiche processuali interne.

Nonostante ad oggi si manifesti una certa ritrosia in alcuni sistemi interni a parlare di vittima, utilizzando questo termine solo in contesti extraprocessuali, di fatto si procede a riconoscerle strumenti più incisivi nell'ambito del processo penale.

Dall'analisi delle direttive europee emerge quindi un dato inconfutabile: l'obbligo degli Stati membri di garantire una sinergia normativa nello spazio giudiziario europeo che realizzi concretamente un processo di armonizzazione e l'adozione di uno statuto europeo delle vittime di reato rinunciando alla sovranità nazionale nel nome di una tutela europea e transnazionale dei diritti della vittima quale parte processuale.

Il Legislatore italiano con il decreto di attuazione 212 del 2015 ha fornito un adeguato riconoscimento alla reali esigenze della vittima del reato riconoscendole una parte essenziale nella dinamica processuale.

Si realizza così in parte quella richiesta di equità processuale che consiste nel garantire la pacifica convivenza tra i diritti dell'accusato e le prerogative della vittima del reato, all'interno di un sistema che assicuri un rapporto equilibrato tra le parti in causa.

In conclusione, se il decreto legislativo 212 del 2015 ha sicuramente il pregio di aver attribuito una maggiore organicità al sistema di cautele per la vittima del reato all'interno del processo penale, rappresenta un'occasione perduta sulle necessarie riforme di cui il nostro sistema processuale necessita al fine di garantire una tutela effettiva dei diritti dell'individuo in uno spazio giudiziario europeo.

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