Provvedimenti contro la violenza in occasione di manifestazioni sportive e diritto di difesa

07 Aprile 2016

Deve ritenersi affetta da nullità la decisione adottata dal giudice per le indagini preliminari dopo le quarantotto ore dalla notifica del provvedimento questorile all'interessato ma prima delle ventiquattro ore dal deposito della richiesta di convalida del pubblico ministero presso la cancelleria del giudice?
Massima

In tema di turbative nello svolgimento di manifestazioni sportive, il termine a difesa in favore del destinatario del provvedimento del questore è soltanto quello di quarantotto ore dalla notifica dell'atto stesso, entro il quale possono essere esercitati il diritto di accesso alla documentazione e la facoltà di presentazione di una memoria difensiva, essendo irrilevante, ai fini del contraddittorio cartolare, che la convalida del giudice per le indagini preliminari intervenga prima di ventiquattro ore dal deposito della richiesta del pubblico ministero presso la cancelleria del giudice.

Il caso

Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Palermo convalidava il decreto con cui il questore aveva applicato nei confronti del proposto la misura del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive unitamente all'obbligo di presentazione presso il comando di polizia in orari predeterminati e per la durata di cinque anni, in concomitanza con lo svolgimento delle partite da disputare dalla società di calcio Modena sia in casa sia in trasferta. Il proposto, infatti, era risultato coinvolto in accesi scontri tra opposti gruppi di tifosi, sfociati in una maxi rissa sedata, a stento, dopo l'intervento della polizia di Stato. L'interessato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, proponeva ricorso per Cassazione deducendo tre differenti motivi. In primo luogo lamentava l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 6, comma 3, l. 401 del 1989 sotto il profilo dell'eccessiva compressione del tempo a disposizione del soggetto per svolgere le proprie difese. Secondo il ricorrente, infatti, il giudice aveva depositato l'ordinanza di convalida dopo 48 ore dalla notifica del provvedimento questorile all'interessato ma prima del decorso del termine di 24 ore dal deposito in cancelleria della richiesta di convalida da parte del pubblico ministero. Ancora, lamentava come secondo motivo di doglianza l'inosservanza della legge penale ed, in particolare, dell'art. 6, comma 2, l. 401 del 1989 essendo il provvedimento del giudice carente nella motivazione in ordine alla sussistenza della pericolosità sociale del proposto. Infine, la difesa deduceva l'inosservanza della legge penale e, dunque, del disposto di cui al menzionato art. 6, comma 2, l. 401 del 1989 nella parte in cui l'ordinanza giudiziale non teneva conto della circostanza che, all'esito del giudizio direttissimo seguito all'avvenuto arresto dell'interessato, il giudice aveva applicato il Daspo giudiziario per la durata di tre anni mentre il questore, senza alcuna specifica motivazione, aveva disposto la durata dell'obbligo di comparizione presso l'ufficio di polizia per cinque anni, decisione confermata, senza alcuna ulteriore indicazione, in sede di convalida.

La questione

La questione in esame è la seguente: se possa ritenersi affetta da nullità la decisione adottata dal giudice per le indagini preliminari dopo le quarantotto ore dalla notifica del provvedimento questorile all'interessato ma prima delle ventiquattro ore dal deposito della richiesta di convalida del pubblico ministero presso la cancelleria del giudice.

Le soluzioni giuridiche

La suprema Corte ritiene il ricorso non fondato. Per quel che riguarda la lamentata violazione del diritto di difesa i giudici precisano che, nel caso di specie, devono trovare applicazione i principi più volte ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità secondo i quali nel procedimento di convalida del provvedimento questorile è necessario garantire l'effettività delle garanzie difensive a tutela degli interessi del soggetto ad esso sottoposto. A tal fine è prevalsa una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 6, comma 2-bis, l. 401 del 1989, laddove si prescrive che l'interessato ha la facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per la convalida, con la conseguenza che il provvedimento giudiziale non può intervenire prima che siano decorse 48 ore dalla notifica del decreto all'interessato, onde poter consentire a quest'ultimo di esercitare un concreto diritto di difesa (Cass.pen., Sez. III, 11 dicembre 2007, n. 2471). Entro il termine menzionato, infatti, la documentazione rilevante ai fini della convalida dovrebbe essere trasmessa dal questore al pubblico ministero e da questi alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari e la medesima potrà, dunque, essere consultata dall'interessato e dalla sua difesa al fine di presentare eventuali memorie ovvero deduzioni difensive (Cass.pen., Sez. III, 11 giugno 2013, n. 32824; Cass.pen., Sez. III, 16 febbraio 2011, n. 21788; Cass.pen., Sez. III, 15 aprile 2010, n. 21344). Il nodo ermeneutico posto all'attenzione della Corte, nel caso di specie, riguarda l'eventualità di riconoscere un ulteriore lasso temporale, ad esempio di 24 ore a decorrere dal deposito della richiesta di convalida del decreto nella cancelleria, prima che il giudice per le indagini preliminari possa pronunciarsi in merito. Tale assetto interpretativo è stato, invero, sostenuto da un orientamento giurisprudenziale (Cass.pen., Sez. III, 8 aprile 2009, n. 17871; Cass.pen., Sez. III, 6 novembre 2008, n. 6224) oggi, a parere della Corte, da ritenersi superato in ragione dell'assunto che esso presuppone che l'interessato non possa prendere visione degli atti presso l'ufficio del pubblico ministero, circostanza che è categoricamente smentita dalla giurisprudenza più recente (Cfr., fra tante, Cass. pen., Sez. III, 22 febbraio 2012, Lolo, Rv 252035).

Osservazioni

La posizione assunta dalla suprema Corte nella decisione in analisi si ascrive all'interno di un indirizzo interpretativo oramai consolidato (Cass.pen., Sez. III, 11 giugno 2013, n. 32824; Cass.pen., Sez. III, 11 aprile 2013, n. 29760). La necessità di un intervento giurisprudenziale su un aspetto di estremo rilievo quale il concreto spazio riconosciuto all'esercizio del diritto di difesa nella procedura di convalida del provvedimento questorile scaturisce dalla indeterminatezza del dato normativo che, da un lato, riconosce all'interessato, anche per il tramite del proprio difensore, la facoltà di presentare al giudice memorie o deduzioni ma, dall'altro, non coordina detta facoltà con le cadenze temporali in cui l'autorità giudiziaria deve vagliare la legittimità del provvedimento assunto dall'autorità di pubblica sicurezza. A fronte di una originaria lettura ermeneutica in cui la suprema Corte ha considerato sufficienti per garantire l'esercizio del diritto di difesa termini di 46 ore (Cass.pen., Sez. I, 16 febbraio 2001, n. 15542), altre volte di 48 (Cass. pen., Sez. I, 13 giugno 2003, Ceri), altre ancora di tre giorni (Cass.pen., Sez. I, 24 settembre 2002,), si è, negli ultimi anni, assestato un orientamento secondo il quale il giudice, al fine di rispettare il diritto di difesa, non possa adottare il provvedimento di convalida prima che sia decorso il termine di 48 ore dalla notifica all'interessato del provvedimento (Cass.pen., Sez. feriale, 27 agosto 2013, n. 41668; Cass.pen, Sez. III, 16 febbraio 2011, n. 21788; Cass.pen., Sez. III, 29 gennaio 2013, n. 18244; Cass. pen., Sez. III, 17 gennaio 2008, Castellano, in Cass. pen., 2009, 2588), orientamento a cui aderisce la Corte anche nella decisione in commento. Nel corso degli anni si è, inoltre, assestato un ulteriore indirizzo ermeneutico, teso a rendere effettiva e non meramente formale la garanzia difensiva, indirizzo che, pur nel silenzio della legge, ha precisato che l'interessato deve essere posto in condizione entro il medesimo termine di 48 ore dalla notifica del decreto questorile di prendere visione della documentazione su cui si fonda il provvedimento medesimo (Cass.pen., Sez. unite., 27 ottobre 2004, n. 44273. Di recente Cass.pen., Sez. III, 11 giugno 2015, n. 29301; Cass.pen., Sez. III, 18 gennaio 2012, n. 7033). Alla luce dei principi interpretativi suddetti, si è, dunque, rafforzato il diritto di difesa previsto dall'art. 6, comma 2-bis, l. 401 del 1989 e si è resa effettiva e concreta la facoltà di presentare al giudice memorie e deduzioni. Sulla scorta di detta ricostruzione ermeneutica appare, pertanto, condivisibile l'assunto ribadito dalla suprema Corte, anche nella pronuncia in epigrafe, secondo cui è del tutto superfluo imporre un ulteriore termine dilatorio di 24 ore prima che il giudice possa decidere in merito alla convalida. Non convincenti sembrano, invece, tutte le argomentazioni a tal fine prospettate. Se, infatti, il mancato riscontro nel dettato normativo di siffatto ulteriore termine non sembra, a parere di scrive, dirimente non essendo del pari menzionato neppure quello delle 48 ore dalla notifica del decreto al proposto, costituisce, invero, un rilievo del tutto sufficiente la riflessione operata dai giudici di legittimità secondo cui entro il termine aggiuntivo di 24 ore l'interessato sarebbe chiamato ad effettuare i medesimi adempimenti che gli sono già consentiti in precedenza, rendendo, di conseguenza, superfluo ed inutile tale tempo nella prospettiva del corretto e completo esercizio del diritto di difesa. Al di là delle conclusioni, pur condivise, prospettate nel caso di specie, ciò che stupisce è la necessità che sia la giurisprudenza a dover calibrare i tempi entro cui poter esplicare le garanzie difensive, a testimonianza del permanere nel tessuto normativo di una lacuna inaccettabile.

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