Il divieto di reiterazione della misura cautelare dopo la perdita di efficacia passa indenne il vaglio costituzionale

Redazione Scientifica
07 Novembre 2016

La Corte costituzionale con sentenza n. 233, depositata il 3 novembre 2016, ha dichiarato costituzionalmente legittimo l'art. 309, comma 10, c.p.p. nella parte in cui prevede che l'ordinanza che dispone una misura coercitiva – diversa dalla custodia in carcere – che abbia perso efficacia non possa essere reiterata, salve ...

La Corte costituzionale con sentenza n. 233, depositata il 3 novembre 2016, ha dichiarato costituzionalmente legittimo l'art. 309, comma 10, c.p.p. nella parte in cui prevede che l'ordinanza che dispone una misura coercitiva – diversa dalla custodia in carcere – che abbia perso efficacia non possa essere reiterata, salve eccezionali esigenze cautelari specificatamente motivate.

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata, in riferimento agli artt. 3, 101, comma 2, e 104, comma 1, Cost., dal Gip del tribunale di Nola con ordinanza del 28 maggio 2015, n. 206.

Il giudice rimettente sosteneva che, date le modifiche apportate dalla legge 47/2015, l'articolo in questione impone ora di valutare ai fini della reiterazione della misura cautelare – divenuta inefficace a causa del mancato rispetto dei termini previsti all'art. 309 – l'esistenza di eccezionali esigenze cautelari che giustifichino e rendano necessaria la rinnovazione del titolo.

Pertanto, le eccezionali esigenze cautelari sarebbero ora rilevanti non solo come condizione per reiterare la custodia cautelare in carcere ma, altresì, per legittimare, la rinnovazione di qualsiasi misura cautelare coercitiva, creando così in modo irragionevole, una sostanziale area di immunità (cautelare) in favore di soggetti (destinatari di misure diverse da quella della custodia in carcere) nei cui confronti la procedura del riesame non si sia potuta completare entro il termine previsto. Secondo il giudice a quo la scelta di una misura coercitiva differente dalla custodia in carcere sarebbe già di per sé sintomatica dell'assenza di esigenze cautelari eccezionali e, quindi, la norma, come modificata dalla legge 47/2015, restringerebbe eccessivamente la possibilità di reiterare i titoli cautelari di persone già destinatarie di ordinarie applicative di misure diverse dalla custodia in carcere, poi caducate, sacrificando in modo irragionevole le esigenze di tutela della collettività in favore di quelle di garanzia individuale.

Inoltre, tale disciplina causerebbe un trattamento ingiustificatamente differenziato tra la caducazione della misura cautelare in sede di riesame e quanto invece previsto dall'art. 302 c.p.p., per l'ipotesi di inefficacia conseguente all'omesso interrogatorio entro il termine stabilito dall'art. 294 c.p.p. dove l'unico requisito richiesto, per la reiterazione della misura, è il previo interrogatorio.

I giudici delle leggi non accolgono la tesi sostenuta nell'ordinanza di rimessione, secondo cui si potrebbero ravvisare delle esigenze cautelari eccezionali solo quando viene applicata la misura di cui all'art. 285 c.p.p.: il principio di adeguatezza impone infatti al giudice di adottare la misura che comporta per chi la subisce il minor sacrificio necessario per fronteggiare i pericula libertatis ed è ipotizzabile l'esistenza di una particolare situazione di pericolo che, se non fosse contrastata determinerebbe con elevata probabilità l'evento da prevenire e, tuttavia, potrebbe (e dunque dovrebbe) essere efficacemente contrastata con misure diverse dalla custodia cautelare in carcere.

Inoltre, con tale norma, il Legislatore ha ritenuto in modo incensurabile di contemperare l'esigenza di difesa sociale con quella di non frustrare le garanzie della persona raggiunta dal provvedimento coercitivo, evitando che nei casi indicati dall'art. 309, comma 10, c.p.p. si possa "semplicisticamente" provvedere alla rinnovazione della misura caducata. La norma ha lo scopo di contrastare prassi distorsive, verificatesi in passato, come quella dell'adozione di una nuova ordinanza cautelare prima ancora della scarcerazione dell'interessato o quella della successione di "ordinanze-fotocopia", caducate e non controllate.

Priva di fondamento è anche la censura relativa alla differenza di disciplina tra l'ipotesi di cui alla norma censurata e quella contenuta nell'art. 302 c.p.p.: nel primo caso, infatti, si è di fronte ad un procedimento concluso, anche se per sole ragioni formali, con un esito favorevole al soggetto che lo ha attivato e con la norma in esame si vuole evitare che tale esito sia frustrato attraverso la reiterazione del provvedimento cautelare caducato e la necessità per l'interessato di promuovere un nuovo procedimento di riesame, identico al precedente. Se ciò avvenisse, infatti, la perdita di efficacia della misura coercitiva si risolverebbe in un danno per l'interessato che vedrebbe solo rinviato il momento della decisione sulla richiesta di riesame e il suo eventuale accoglimento. Precisa, inoltre la Corte costituzionale, che l'art. 302 c.p.p. non consente che la misura coercitiva sia immediatamente reiterata in quanto essa può essere nuovamente disposta ma solo previo interrogatorio, allorché, valutati i risultati di questo, sussistono le condizioni indicate negli artt. 273, 274 e 275 c.p.p.

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