Come si è visto, la regola posta dal primo comma della novella fissa un regime d'eccezione, destinato ad operare soltanto per questa particolare tipologia di giudizi, sia in ambito civile che penale, uniformando il meccanismo della scelta del consulente/perito e del relativo incarico da parte del giudice.
Oggetto dell'intervento, mirato ai procedimenti di responsabilità medica, è dunque la possibilità per il giudice di ricorrere ad ausiliari tecnici per la valutazione di aspetti tecnici della controversia, che esulano dalle sue conoscenze e comunque dalle competenze di tipo giuridico.
Nel procedimento civile, la consulenza tecnica d'ufficio è regolata dall'art. 61 c.p.c., a norma del quale: «quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica».
Per principio assodato in giurisprudenza la consulenza tecnica d'ufficio non costituisce una vera e propria prova ma solo un mezzo istruttorio e di ausilio per l'organo giudicante finalizzata all'acquisizione, da parte di quest'ultimo, di un parere tecnico su questioni tecniche particolarmente complesse, ovvero che richiedono specifiche competenze ed in tal senso la nomina del consulente rientra nel potere discrezionale del giudice, il quale può provvedervi a prescindere da una specifica richiesta delle parti (cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, 26 agosto 2013, n. 19572).
Nel processo penale la perizia è regolamentata negli artt. da 220 a 233 c.p.p.
In particolare l'art. 221 c.p.p. prevede che il giudice nomini il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina e che possa affidare l'espletamento della perizia a più persone quando le indagini e le valutazioni risultano di notevole complessità ovvero richiedono distinte conoscenze in differenti discipline.
Rispetto a tale quadro normativo, che continua a valere come regola generale, si affaccia quindi – ma limitatamente alla materia regolata dalla legge Gelli - un diverso percorso.
L'intervento del Legislatore del 2017 qui in commento, si appalesa come rivolto principalmente nei confronti del giudice, prescrivendo l'obbligo di affidare senza eccezioni l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia ad un collegio peritale composto da un medico specializzato in medicina legale e da uno o più specialisti.
E dunque l'autorità giudiziaria risulta così spodestata di quella discrezionalità, particolarmente sottolineata nella formulazione letterale dei già menzionati art. 61 c.p.c. e art. 221 c.p.p., non potendo più decidere in simili evenienze di affidare l'espletamento ad un unico professionista ma, sempre e solo, ad un collegio composto da almeno due specialisti, uno dei quali immancabilmente sarà un medico legale.
Tale previsione in realtà non fa che rendere obbligatorio ciò che si verifica già molto frequentemente, posto che proprio in relazione alle particolarità e difficoltà del caso ed alla necessità di accertamenti ad opera di professionisti esperti e specializzati, l'Autorità giudiziaria è solita affidare l'incarico ad un collegio peritale o almeno autorizza il consulente o il perito ad avvalersi dell'ausilio di altri specialisti, ove ritenuto necessario.
Nessuna rivoluzione copernicana quindi: il Legislatore ha inteso eliminare ogni margine di scelta del giudice, nel probabile intento di garantire, in una materia – come quella della responsabilità professionale medica – dominata dal tecnicismo, un approccio multidisciplinare (medico legale e specialistico) nella fasi della consulenza tecnica e della perizia, i cui esiti, come ben si comprende, finiscono per essere assolutamente decisivi ai fini del giudizio.
La legge tuttavia non si è limitata a tale aspetto ma si è spinta sino ad imporre al giudice criteri di selezione ulteriori, disponendo che la scelta debba avvenire tra gli iscritti negli albi dei consulenti e periti dei tribunali, oltretutto operando una ulteriore scrematura data l'obbligatorietà di controllo al fine di scartare quelli in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi.
Nell'opzione di una scelta chiusa all'interno degli albi, si coglie un'altra restrizione rispetto alla regola generale che consente all'autorità giudiziaria di individuare periti e consulenti anche al di fuori dell'ambito degli iscritti in tali albi: in effetti ciò è espressamente e saggiamente consentito sia dall'art. 61 c.p.c. («La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione al presente codice»), che dall'art. 221 c.p.p.(«Il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina»).
E davvero tale restrizione della legge Gelli è scarsamente comprensibile, posto che, se da un lato appare fortemente perseguito lo scopo della massima affidabilità tecnico scientifica della consulenza/perizia mediante l'imposizione di un collegio peritale, dall'altro lato, contraddittoriamente, viene sottratta all'autorità giudiziaria la possibilità di avvalersi di cattedratici e luminari di chiara fama che, per i più diversi e legittimi motivi, non abbiano ritenuto di chiedere l'iscrizione negli albi dei consulenti o dei periti.
Davvero a costoro non saranno più affidate consulenze o perizie?
Pare di doversene dubitare, se non altro perché la legge Gelli, a fronte di una siffatta serie di imposizioni sul meccanismo di instaurazione del collegio peritale, non stabilisce alcuna sanzione processuale per il caso in cui esso non sia pedissequamente osservato, sicché, come spesso accade, si è scritta una disciplina procedurale rigorosa ma priva di effettiva cogenza e che probabilmente assumerà in concreto il significato di stabilire una buona prassi processuale assurta al rango di norma giuridica.
Sotto un altro e diverso profilo l'art. 15 della legge Gelli appare tutt'altro che privo di riflessi sui costi del giudizio: nonostante la clausola di invariazione finanziaria inserita all'art. 18 della l. 24/2017, che impone la sua attuazione senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, non v'è chi non veda come l'applicazione indefettibile delle regole sulle nomine di collegi peritali, a numero variabile in relazione alle caratteristiche di difficoltà del caso concreto, possa essere suscettibile di determinare un aumento di costi di giustizia. Costi non sempre addebitabili alle parti private – come avviene di regola nel giudizio civile («Quanto al compenso dovuto al consulente tecnico esso grava solidalmente a carico di tutte le parti del giudizio in quanto l'attività posta in essere dal professionista è finalizzata alla realizzazione del superiore interesse della giustizia, che invece non rileva nei rapporti interni tra le parti, nei quali la ripartizione delle spese è regolata dal diverso principio della soccombenza». Cfr. Cass. civ., n. 28094/2009) ma fatto sempre salvo il caso dell'ammissione di talune di esse al patrocinio a spese dello Stato – ed invece spesso a totale carico dello Stato nei giudizi penali (come nel caso di proscioglimento/assoluzione ovvero anche di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p.).