Favoreggiamento reale e personale e reato permanente

Antonio Corbo
08 Settembre 2015

Un tema oggetto di risalente discussione attiene alla configurabilità dei reati di favoreggiamento personale e reale quando il “delitto commesso”, al quale si riferisce la condotta di aiuto, pur se ormai perfezionato, sia tuttora in corso di consumazione. La dottrina sembra oggi orientata per la soluzione favorevole, mentre la giurisprudenza privilegia soluzioni differenziate, in relazione alle diverse tipologie di reati attribuibili al soggetto beneficiario dell'aiuto.
Abstract

Un tema oggetto di risalente discussione attiene alla configurabilità dei reati di favoreggiamento personale e reale quando il “delitto commesso”, al quale si riferisce la condotta di aiuto, pur se ormai perfezionato, sia tuttora in corso di consumazione. La dottrina sembra oggi orientata per la soluzione favorevole, mentre la giurisprudenza privilegia soluzioni differenziate, in relazione alle diverse tipologie di reati attribuibili al soggetto beneficiario dell'aiuto.

Il tema oggetto di approfondimento

Presupposto dei delitti di favoreggiamento personale e reale è che si sia “fuori dei casi di concorso nel” reato. Inoltre, l'art. 378 c.p. richiede, come ulteriore requisito per la configurabilità del reato di favoreggiamento personale, che la condotta integrante tale fattispecie sia posta in essere “dopo che fu commesso un delitto”.

Il problema che si pone è se la condotta di ‘aiuto' posta in essere quando il delitto presupposto sia ormai già perfetto, ma non ancora consumato, costituisca necessariamente una forma di concorso in quest'ultimo, o se, invece, possa rilevare autonomamente come fatto integrante gli estremi del delitto di favoreggiamento.

Per chiarezza, è bene premettere che la promessa di aiuto prestata prima che il reato sia stato perfezionato è comunemente ritenuta integrare gli estremi di condotta di concorso in quest'ultimo reato, poiché “la promessa di ausilio fatta prima dell'esecuzione del reato integra un'ipotesi di complicità antecedente, che rafforza la determinazione a delinquere del destinatario dell'aiuto” (così, per tutti, in dottrina, FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, vol. I, 2012, p. 408, nonché PISANI, Favoreggiamento personale, in Reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia, Torino, 2011, p. 529 s.).

La questione dibattuta – che, quindi, si riferisce alle condotte eseguite non in base ad una promessa fatta prima del perfezionamento del reato di durata – ha trovato soluzioni differenti in dottrina e giurisprudenza. In particolare, quest'ultima risulta avere assunto un atteggiamento duttile, che accede preferibilmente all'una o all'altra opzione ermeneutica in relazione alla specifica fattispecie delittuosa che si assume essere presupposta.

La compatibilità dei reati di favoreggiamento ed i reati permanenti: le tesi della dottrina

La dottrina tradizionale tendeva ad escludere radicalmente la configurabilità del favoreggiamento in relazione ai reati permanenti, qualora la condotta di ‘aiuto' fosse posta in essere prima della completa cessazione dello stato di permanenza, osservando, in particolare, che l'art. 378 c.p. si riferisce a condotte poste in essere “dopo che fu commesso un delitto” (cfr. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. V, Torino, 1982, p. 985).

Più recentemente, però, altri Autori hanno evidenziato, in senso contrario, che la formula «delitto commesso» non coincide necessariamente con quella di «delitto consumato», che la legge penale prevede la configurabilità di fattispecie diverse dalla compartecipazione pure quando la condotta è posta in essere in costanza del reato permanente, come nei casi di cui agli artt. 307 e 418 c.p. di assistenza agli associati, e che, anzi, proprio gli artt. 307 e 418 c.p., contemplando una riserva per il “favoreggiamento”, costituiscono un indice della possibilità di ipotizzare un “aiuto-favoreggiamento in favore di chi è tuttora partecipe di un'associazione criminosa” (cfr., in particolare, CORSO, Favoreggiamento e reato permanente, in Giust. pen., 1982, II, p. 317 ss., nonché PISA, Favoreggiamento personale e reale, cit., p.164). Si è anche aggiunto che la soluzione favorevole alla compatibilità dei delitti di cui agli artt. 378 e 379 c.p. con il reato permanente in corso è confortata sia dal dato storico, poiché il codice penale Zanardelli, all'art. 225, poneva quale – ulteriore – condizione negativa del favoreggiamento anche il non aver contribuito a portare a conseguenze ulteriori il precedente reato (così ZANOTTI, Studi in tema di favoreggiamento personale, Padova, 1984, p. 87 ss.), sia dall'introduzione, nell'art. 378 c.p., dell'aggravante di cui al secondo comma, che attiene all'ipotesi in cui il delitto presupposto è quello previsto dall'art. 416 bis c.p., e che non avrebbe senso pratico se riferita soltanto alle condotte commesse a favore di chi abbia già cessato di appartenere all'associazione mafiosa (v., specificamente, PIFFER, I delitti contro l'amministrazione della giustizia, I delitti contro l'attività giudiziaria, in Trattato di diritto penale, parte speciale, diretto da DOLCINI e MARINUCCI, IV, Padova, 2005, p. 666).

La compatibilità dei reati di favoreggiamento ed i reati permanenti: le soluzioni della giurisprudenza

La giurisprudenza, come si è detto, assume un atteggiamento più duttile ed articolato.

Precisamente, la configurabilità del reato di favoreggiamento riferito ad una condotta permanente tuttora in corso è generalmente ammessa quando quest'ultima integri gli estremi dei delitti di associazione per delinquere e di sequestro di persona, mentre risulta prevalentemente esclusa quando la condotta permanente in corso dia luogo ai delitti di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, di illegale detenzione di armi o di usura.

Con riferimento ad attività di ‘aiuto' nei confronti di partecipi di associazione per delinquere, si è consolidato l'orientamento che ritiene configurabile i reati di favoreggiamento alla condizione che “la condotta di ausilio non possa in alcun modo tradursi in un sostegno o incoraggiamento alla prosecuzione dell'attività delittuosa da parte del beneficiario, che darebbero luogo invece a responsabilità per il reato associativo”: in questo senso, cfr., da ultimo, pronunciandosi in ordine a fattispecie relativa a favoreggiamento reale in favore di aderente ad associazione di tipo mafioso, Sez. VI, 18 giugno 2014, n. 30873, la quale ha sottolineato che tale opzione ermeneutica risulta “conforme allo stesso tenore della norma prevista dall'art. 379 c.p. che, a seguito della l. n. 646 del 1982, ha esteso la sua applicazione dell'art. 378 c.p., comma 2, che contempla espressamente il delitto di cui all'art. 416 bis c.p.” (cfr., nello stesso senso, anche per ipotesi relative a favoreggiamento personale o a delitto presupposto costituito da partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, tra le tante: Sez. VI, 5 marzo 2013, n. 27720; Sez. I, 11 novembre 2003, n. 6905; Sez. I, 28 settembre 1998, n. 13008; Sez. VI, 20 gennaio 1994, n. 4039).

Risulta ormai recessiva, quindi, la tesi che esclude in radice la configurabilità del favoreggiamento quando la partecipazione all'associazione sia tuttora in corso (v., per questa soluzione, da ultimo, Sez. fer., 3 settembre 2004, n. 38236, secondo cui, quando il reato presupposto di partecipazione all'associazione non sia cessato, le condotte di ‘aiuto' sono qualificabili solo in termini di partecipazione ‘piena' o di concorso ‘esterno').

Analogamente, la giurisprudenza ampiamente maggioritaria ha ritenuto ipotizzabile il reato di favoreggiamento, reale o personale, quando il delitto presupposto non ancora consumato sia costituito dal sequestro di persona a scopo di estorsione (così, specificamente: Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 1325; Sez. II, 9 novembre 1989, n. 10761 del 1990; Sez. II, 7 luglio 1986, n. 14442,; Sez. I, 10 aprile 1986, n. 8209).

In queste decisioni, peraltro, il criterio indicato per distinguere se la condotta oggetto di accertamento giudiziale integri gli estremi del favoreggiamento o invece quelli del concorso nel reato di sequestro di persona a scopo di estorsione è di tipo eminentemente soggettivo: si sottolinea, in particolare, come elemento distintivo qualificante la finalità perseguita dalla condotta (alcune decisioni segnalano la necessità di accertare se il contributo sia stato o meno prestato con “animus socii”: così, specificamente Sez. II, n. 14442 del 1986, cit., nonché Sez. VI, n. 1325 del 1998, cit.). Sembrerebbe così evidenziarsi una significativa differenza con l'elaborazione giurisprudenziale in tema di distinzione tra favoreggiamento e partecipazione nel reato associativo, la quale, come si è rilevato, è incentrata essenzialmente sul profilo oggettivo dell'incidenza dell'aiuto ai fini della prosecuzione dell'attività delittuosa da parte dell'aiutato. Non va comunque trascurato che talvolta le decisioni, per distinguere tra condotta di favoreggiamento e condotta di concorso nel delitto di cui all'art. 630 c.p., richiamano insieme il criterio soggettivo ed il criterio oggettivo (cfr. Sez. VI, n. 1325 del 1998, cit., la quale ha ritenuto la sussistenza del delitto di favoreggiamento, assumendo che per la responsabilità a titolo di concorso nella fattispecie di sequestro di persona a scopo di estorsione, è necessario che l'agente “partecipi con <animus socii> all'attività concorsuale del reato, adoperandosi in funzione essenziale, o comunque apprezzabile, in rapporto di causalità con l'evento”). Non può essere inoltre dimenticata una decisione che ha escluso la configurabilità del favoreggiamento e ravvisato il concorso nel reato di cui all'art. 630 c.p. proprio valorizzando il contenuto oggettivo dell'attività svolta dall'imputato (v. Sez. II, 9 novembre 1989, n. 7704 del 1990).

In riferimento al reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, invece, sembra assolutamente consolidato l'indirizzo che esclude la configurabilità del reato di favoreggiamento in costanza della condotta di detenzione.

In questo senso, si sono recentemente pronunciate Sez. Un., 24 maggio 2012, n. 36258; l'argomento addotto è stato il seguente: “ciò in quanto, nei reati permanenti, qualunque agevolazione del colpevole, prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve - salvo che sia diversamente previsto - in un concorso, quanto meno a carattere morale”. Questa soluzione risulta condivisa da numerose decisioni (cfr.: Sez. IV, 24 marzo 2011, n. 13784; Sez. VI, 3 giugno 2010, n. 35744; Sez. VI, 15 aprile 2008, 37170; Sez. IV, 8 marzo 2006, n. 12915; Sez. VI, 17 dicembre 2003, n. 4927 del 2004; Sez. I, 7 ottobre 1970, n. 871 del 1971). Può essere utile rilevare, ad ogni modo, che tutte le decisioni più recenti si riferiscono a fattispecie caratterizzate dalla messa a disposizione di locali da parte dell'agente per consentire a terzi di custodire lo stupefacente (cfr. Sez. Un., n. 36258 del 2012, cit., nonché Sez. VI, n. 35744 del 2010) o di procedere ad attività di spaccio (v. Sez. IV, n. 13784 del 2011, cit., nonché Sez. VI, n. 37170 del 2008, cit.).

L'orientamento contrario, che ammette la configurabilità del favoreggiamento pur in costanza di condotta di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, è seguito, in particolare, da Sez. IV, 6 febbraio 2007, n. 12793 e da Sez. VI, 6 giugno 1995, n. 9079 (quest'ultima ha ravvisato gli estremi del favoreggiamento in relazione alla condotta di un soggetto che aveva aiutato il detentore di sostanza stupefacente a sbarazzarsi della stessa). In particolare, Sez. IV, n. 12793 del 2007, cit., ha evidenziato, in premessa, e richiamando l'elaborazione dottrinale più recente, che per «delitto commesso», a norma dell'art. 378 c.p., non si deve intendere necessariamente il «delitto consumato». Ha poi aggiunto che la condotta posta in essere in concomitanza con il delitto presupposto sarà qualificabile come di favoreggiamento o, invece, di concorso nel reato, secondo che la stessa sia solo di aiuto a sottrarsi alle ricerche dell'Autorità o ad eludere le investigazioni, o costituisca, piuttosto, un contributo alla protrazione della situazione antigiuridica. Ha quindi osservato che il criterio utilizzabile per distinguere se si configuri il favoreggiamento o il concorso nel reato di illecita detenzione di stupefacenti è innanzitutto quello oggettivo, e cioè se la condotta contribuisca alla protrazione della situazione antigiuridica; in caso positivo, poi, potrà soccorrere il criterio soggettivo della finalità avuta di mira dall'agente. Ha infine escluso, in concreto, nel caso sottoposto al suo esame, la configurabilità del favoreggiamento, in quanto gli imputati avevano “concorso per un lasso di tempo non insignificante nella detenzione illecita” dello stupefacente.

Nel medesimo senso risulta indirizzata la giurisprudenza quando il delitto presupposto è quello di illegale detenzione o porto di armi.

Invero, sulla base degli stessi argomenti addotti per l'ipotesi che il reato presupposto sia quello di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, escludono la configurabilità del favoreggiamento reale o personale in costanza di detenzione o di porto di arma: Sez. I, 27 settembre 1995, n. 10271; Sez. I, 22 settembre 1992, n. 10856; Sez. I, 9 ottobre 1981, n. 9585.

Una soluzione diversa, però, è accolta da Sez. VI, 21 settembre 2000, n. 11603, la quale ha affermato la responsabilità per il reato di favoreggiamento di un soggetto che aveva ospitato in casa altra persona sapendo che questa deteneva illegalmente armi, muovendo dalla premessa che la natura permanente del reato presupposto non è di ostacolo alla configurabilità del favoreggiamento, quando la condotta del primo reato abbia già avuto inizio.

Per completezza, va riferito che la giurisprudenza ha escluso la configurabilità del reato di favoreggiamento, e ravvisato gli estremi del concorso nel reato di usura, in relazione alla condotta del soggetto che, ricevuto l'incarico di recuperare il credito in un momento successivo alla formazione del patto usurario, riesce ad ottenerne il pagamento, proprio evidenziando che il delitto di cui all'art. 644 c.p. costituisce reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata: così Sez. V, 24 giugno 2014, n. 42849. È interessante rilevare che la medesima decisione, sviluppando ulteriormente il discorso, ha anche precisato che, se il recupero del credito non avviene, e, conseguentemente, il momento consumativo del reato di usura resta quello originario della pattuizione, l'incaricato alla riscossione risponde del reato di favoreggiamento personale ovvero, in ipotesi di condotta connotata da violenza o minaccia, di tentata estorsione.

Osservazioni

La configurabilità dei delitti di favoreggiamento in relazione a reati permanenti tuttora in corso sembra ormai un approdo pressoché indiscusso, in dottrina come in giurisprudenza, se il delitto commesso dal soggetto ‘aiutato' è riconducibile ad una fattispecie criminosa di tipo associativo o è costituito dal sequestro di persona a scopo di estorsione.

Tale soluzione, in effetti, risulta confortata da elementi normativi specifici.

Precisamente, nell'ipotesi che il «delitto commesso» sia quello di partecipazione ad una associazione per delinquere, soccorre l'argomento desumibile dagli artt. 307 e 418 c.p., che, sanzionando la condotta di presta assistenza agli associati “fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento”, implicitamente prefigura l'ammissibilità del favoreggiamento in favore delle “persone che [tuttora] partecipano all'associazione”. Se, poi, in particolare, il «delitto commesso» è costituito dalla partecipazione ad associazione di tipo mafioso, un ulteriore indice normativo sembra ravvisabile nella previsione dell'aggravante di cui all'art. 378, comma 2, c.p., “quando il delitto commesso è quello previsto dall'art. 416 bis”.

Quando, invece, il «delitto commesso» è quello del sequestro di persona a scopo di estorsione, un significativo indice normativo può essere individuato nell'art. 1, comma 4 del d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991, n. 82. Tale previsione normativa, infatti recita: “Le disposizioni dell'art. 379 del cod. pen. si applicano nei confronti di chi, al di fuori delle ipotesi previste ai commi 1 e 2 dell'art. 7 e di concorso nel delitto di persona a scopo di estorsione si adopera con qualsiasi mezzo al fine di far conseguire agli autori del delitto medesimo il prezzo della liberazione della vittima”.

Diversamente, se il «delitto commesso» tuttora in corso si identifica in altra fattispecie di reato di durata, l'assenza di elementi normativi specifici rende più opinabile la soluzione.

In linea generale, sembra potersi dire che, quando la condotta di ‘aiuto' sia condizione necessaria per la protrazione della condotta antigiuridica (ad esempio, quando la droga o le armi siano detenute dal colpevole sulla propria persona), difficilmente potrà escludersi una responsabilità a titolo di concorso nel reato. A diversa conclusione, invece, potrebbe giungersi quando la condotta di ‘aiuto' non incida sulla protrazione dell'offesa al bene giuridico (si consideri l'attività svolta per consentire la sottrazione alle ricerche dell'Autorità in favore di chi detiene illegalmente sostanza stupefacente o armi in un luogo ‘sicuro').

Se e laddove si ammette la configurabilità del favoreggiamento in relazione a reati permanenti tuttora in corso, un ulteriore problema è quello di distinguere se la condotta di ‘aiuto' integri gli estremi del reato previsto dagli artt. 378 e 379 c.p. o, invece, quello di concorso ex art. 110 c.p. nel reato di durata.

Probabilmente, il criterio oggettivo, che ha riguardo al contributo causale della condotta, e che risulta particolarmente seguito dalla giurisprudenza per distinguere tra favoreggiamento, partecipazione ad associazione per delinquere, e concorso esterno in quest'ultima, sembra offrire soluzioni più coerenti con il sistema normativo. Secondo questa impostazione, “sarà imputabile a titolo di concorso nel reato permanente la condotta di chi pone in essere un'attività che obiettivamente si inserisce nella dinamica interna e propria dell'illecito di durata in quanto idonea a svolgere un ruolo ed una funzione strumentalmente diretta e connessa alla perpetrazione dell'illecito” (così, in dottrina, TUCCI, I rapporti tra favoreggiamento personale e reato permanente con particolare riguardo alla detenzione di stupefacenti, in Giust. pen., 2008, II, p. 381).

Guida all'approfondimento

CORSO, Favoreggiamento e reato permanente, in Giust. pen., 1982, II, p. 317;

FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale, vol. I, 2012;

MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. V, Torino, 1982;

PIFFER, I delitti contro l'amministrazione della giustizia, I delitti contro l'attività giudiziaria, in Trattato di diritto penale, parte speciale, diretto da DOLCINI e MARINUCCI, IV, Padova, 2005;

PISA, Favoreggiamento personale e reale, in D. Disc. Pen., VI, Torino, 1991;

PISANI, Favoreggiamento personale, in Reati contro la pubblica amministrazione e contro l'amministrazione della giustizia, Torino, 2011;

TUCCI, I rapporti tra favoreggiamento personale e reato permanente con particolare riguardo alla detenzione di stupefacenti, in Giust. pen., 2008, II, p. 381;

ZANOTTI, Studi in tema di favoreggiamento personale, Padova, 1984.

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