Udienza preliminare. Nessuna decisione anticipata sull'utilizzabilità degli atti ai fini della scelta del rito

09 Gennaio 2017

Nel corso dell'udienza preliminare capita sovente che le difese facciano rilevare vizi degli atti raccolti durante le indagini, contestandone l'inutilizzabilità. Queste eccezioni sono finalizzate a definire il materiale su cui si fonda il giudizio e, come s'intuisce facilmente, sono molto rilevanti sul piano pratico ...
Massima

In sede di udienza preliminare, il giudice non è tenuto a decidere anticipatamente rispetto alla trattazione del merito le questioni riguardanti l'utilizzabilità degli atti processuali al fine di permettere all'imputato di valutare l'opportunità di accedere al rito abbreviato nella piena conoscenza delle prove utilizzabili.

Il caso

Il giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Roma, competente ai sensi dell'art. 11 c.p.p., disponeva il giudizio nei confronti dell'imputato per il reato di millantato credito del patrocinatore di cui all'art. 382 c.p., perché, nella qualità di avvocato, in occasione dell'impugnazione di un provvedimento di sequestro, vantando credito presso i componenti del tribunale del riesame di Napoli, si faceva dare o promettere una somma di denaro, giustificando in parte la sua richiesta con la necessità di remunerare il Collegio.

Avverso il decreto che dispone il giudizio, l'imputato ricorreva per Cassazione, deducendo l'abnormità dell'atto per l'inosservanza di norme processuali. Egli, in particolare, riferiva di aver eccepito nel corso dell'udienza preliminare l'inutilizzabilità delle intercettazioni poste a sostegno dell'accusa, essendo state compiute in un procedimento diverso e non ricorrendo i presupposti contemplati dall'art. 270 c.p.p. per il loro impiego. Il giudice aveva rigettato l'eccezione, escludendo di poter anticipare nel corso dell'udienza preliminare il giudizio sull'utilizzabilità del mezzo di prova e non affrontando una questione che, secondo la difesa, era prodromica all'eventuale opzione per il rito abbreviato. In questo modo, avrebbe precluso all'imputato di accedere al rito alternativo, una scelta non praticabile in mancanza della piena cognizione degli atti utilizzabili per la decisione.

La questione

Nel corso dell'udienza preliminare capita sovente che le difese facciano rilevare vizi degli atti raccolti durante le indagini, contestandone l'inutilizzabilità. Queste eccezioni sono finalizzate a definire il materiale su cui si fonda il giudizio e, come s'intuisce facilmente, sono molto rilevanti sul piano pratico, potendo orientare la difesa per la scelta di un rito alternativo e in particolare per il giudizio abbreviato.

Il giudice è tenuto ad affrontare le questioni di inutilizzabilità del materiale probatorio posto a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio in via preliminare rispetto all'esame del merito? L'imputato ha diritto di conoscere la composizione del compendio probatorio utilizzabile nei suoi confronti prima che gli sia precluso il ricorso a un rito alternativo?

La disciplina dell'udienza preliminare, in altri termini, prevede un ordine decisionale e delle scansioni in base alle quali le questioni di inutilizzabilità dei mezzi di prova devono essere definite prima della conclusione dell'udienza?

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile il ricorso per l'infondatezza delle questioni, non ravvisando alcuna abnormità nel decreto che dispone il giudizio adottato dal giudice.

Secondo la sentenza, infatti, nessuna disposizione processuale prevede che il giudice debba decidere, in via preliminare rispetto alla trattazione del merito della richiesta di giudizio, le questioni riguardanti l'utilizzabilità degli atti processuali, neppure al solo fine di consentire all'imputato di valutare l'opportunità di accedere al rito abbreviato con la piena conoscenza delle prove utilizzabili. L'art. 421 c.p.p., disciplinando lo svolgimento dell'udienza preliminare, non contempla alcun momento in cui il giudice è chiamato a statuire sull'utilizzabilità delle prove e, del resto, non è prevista alcuna sanzione per siffatta mancata decisione.

Un'anticipazione della pronuncia sull'utilizzabilità della prova nel corso dell'udienza preliminare, pertanto, sarebbe irrituale in difetto di un sistema di decisione graduale sul merito della richiesta di rinvio a giudizio.

Una simile pronuncia sarebbe anche inutile. Solo la valutazione complessiva degli elementi raccolti nelle indagini al momento della definizione delle diverse posizioni processuali, infatti, può consentire al giudice di saggiare la serietà e la fondatezza dell'accusa e, quindi, di applicare la regola di giudizio dell'udienza preliminare prevista dall'art. 425 c.p.p., esaminando le eccezioni rilevanti ai fini della decisione resa all'esito della discussione delle parti.

La stessa struttura e finalità del giudizio abbreviato, inoltre, preclude al giudice di statuire, per mezzo di ordinanza, sull'ammissione delle prove ai sensi dell'art.190, comma 1, c.p.p. Questo momento procedimentale, invece, appartiene al giudizio dibattimentale.

L'imputato, in ogni caso, non rimane privo di tutela nei confronti di atti probatori viziati. Una volta richiesta nel corso dell'udienza preliminare la definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato, egli potrà far valere l'inutilizzabilità delle prove, evidenziandone i difetti nel corso della discussione.

Osservazioni

La decisione illustrata ha aderito all'indirizzo consolidato che esclude l'obbligo del giudice dell'udienza preliminare di decidere anticipatamente rispetto alla trattazione del merito le questioni riguardanti l'utilizzabilità degli atti processuali (Cass. pen., n. 40209/2014). L'art. 421, comma 1, c.p.p., infatti, disciplinando lo svolgimento dell'udienza preliminare, prevede che, conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, il giudice dichiara aperta la discussione. Non sono previste questioni preliminari secondo la disciplina dettata dall'art. 491 c.p.p. per il dibattimento, né provvedimenti in ordine all'ammissione della prova ai sensi dell'art. 495 c.p.p. Non è regolata alcuna cadenza o sistema graduale di decisione che imponga di vagliare taluni temi di natura processuale in via preliminare rispetto al merito della richiesta di rinvio a giudizio, imponendo il codice di rito solo una valutazione complessiva sulla sostenibilità dell'accusa (Cass. pen., n. 29644/2016).

L'art. 421 c.p.p., invero, prevede un'articolazione dell'udienza reputata da talune opinioni dottrinarie “confusa” e “non del tutto lineare”. Il pubblico ministero deve esporre sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio. In questo modo, il giudice è reso edotto delle risultanze delle investigazioni. La disposizione citata, però, disegna un andamento frammentato della discussione. Essa, infatti, può essere interrotta dalle dichiarazioni spontanee dell'imputato, il quale può anche chiedere di essere sottoposto ad esame. Prendono poi la parola, nell'ordine, i difensori delle parti provate e quelli dell'imputato, che espongono le proprie difese. E' ammessa una sola replica.

Nella prassi è diffusa una gestione semplificata dell'udienza. Le dichiarazioni spontanee o l'esame dell'imputato, per esempio, tendono a precedere l'esposizione del pubblico ministero. Quest'ultimo si limita in genere alle conclusioni ed mero richiamo agli atti allegati alla richiesta di rinvio a giudizio. Le parti prendono la parola una sola volta, salvo le eventuali richieste di replica.

All'esito della discussione, il giudice applica la regola di giudizio espressa dall'art. 425 c.p.p., emettendo sentenza di non luogo a procedere, in primo luogo, allorquando verifica che non sussistono le condizioni per formulare una prognosi di evoluzione, in senso favorevole all'accusa, del materiale di prova raccolto (cfr. tra le altre, Cass. pen., n. 33763/2015; Cass. pen., n. 14034/2008). Per procedere al proscioglimento, però, non è richiesto che debba pervenire ad una valutazione di innocenza dell'imputato, essendo sufficiente che non esista alcuna prevedibile possibilità che il dibattimento possa giungere ad un esito diverso da quello dell'innocenza dell'imputato (cfr., ex plurimis, Cass. pen., n. 13163/2008).

Il Gup, inoltre, deve pronunciare sentenza di proscioglimento anche quando il dibattimento risulta inutile, seppur in presenza di elementi probatori contraddittori od insufficienti, qualora sia ragionevolmente prevedibile che gli stessi siano destinati a rimanere tali all'esito del giudizio (cfr. Cass. pen., n. 47169/2007). Questa norma, che riecheggia la regola di giudizio prevista dall'art. 530 c.p.p., conferma che il parametro di riferimento per il giudicante non è l'innocenza dell'imputato ma l'impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio.

Il giudizio prognostico sullo sviluppo probatorio in sede dibattimentale, peraltro, va compiuto considerando non solo quanto è stato raccolto durante le indagini, ma anche quello che sarà ragionevolmente acquisito nel giudizio dibattimentale (cfr., tra le altre, Cass. pen.,n. 3726/2015; Cass. pen., n. 7748/2016). Ciò comporta che il giudice debba tener conto dell'istruttoria prevedibile, al limite anche ipotizzando, ove possibile, la “sostituzione” degli atti raccolti nelle indagini in modo viziato (cfr., ad esempio, Cass. pen., n. 29644/2016, in cui è stato affermato che l'inutilizzabilità di due accertamenti tecnici irripetibili esperiti nel corso delle indagini, eccepita dalla difesa in sede di udienza preliminare, non avrebbe precluso l'escussione del consulente nel dibattimento sull'elaborato in qualità di testimone sui fatti accaduti in sua presenza).

L'interesse della parte di conoscere il compendio probatorio utilizzabile ai fini della decisione in vista dell'eventuale richiesta di giudizio abbreviato, dunque, per quanto comprensibile, non giustifica una decisione anticipata sull'eccezione proposta.

L'imputato non resta privo di tutela dinanzi ad atti viziati. Nel giudizio abbreviato, infatti, potrà denunciare l'inutilizzabilità delle prove raccolte. Al riguardo, è noto che le Sezioni unite penali, con la sentenza 21 giugno 2000 n. 16, Tammaro hanno restituito al giudice il potere-dovere di garantire la legalità del procedimento probatorio, accogliendo l'orientamento secondo cui nel rito abbreviato sono rilevabili e deducibili:

  1. le nullità di carattere assoluto;
  2. l'inutilizzabilità patologica.

Per l'individuazione delle fattispecie di nullità assoluta si deve fare ricorso agli artt. 178 e 179 c.p.p., mentre più complesso è delineare la nozione di inutilizzabilità patologica. Essa, secondo la decisione citata, rappresenta un'ipotesi residuale, configurabile in relazione ad atti assunti in modo contrastante con i principi fondamentali dell'ordinamento o tale da pregiudicare in modo grave ed insuperabile il diritto di difesa dell'imputato (per esempio, il verbale dell'interrogatorio reso da persona detenuta senza il rispetto delle modalità di registrazione previste dall'art. 141-bis disp. att.c.p.p.; l'intercettazione non autorizzata dal Gip).

  • le inutilizzabilità fisiologiche della prova, relative a casi in cui la non utilizzabilità deriva dai peculiari connotati del processo accusatorio, in forza del quale il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove che, pur se assunte secundum legem, sono diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento, con i correlati divieti di lettura di cui all'art. 514c.p.p.;
  • le inutilizzabilità relative che ricorrono quando lo stesso legislatore connette il divieto di utilizzazione in via esclusiva al dibattimento come accade, per esempio, in materia di dichiarazioni spontanee rese dall'imputato nel corso delle indagini (art. 350, comma 7, c.p.p.);
  • le nullità di ordine generale a regime intermedio (art. 178 e 180 c.p.p.) e quelle relative (art. 181c.p.p.).

La decisione in esame, infine, ha recepito l'orientamento consolidato secondo cui il decreto che dispone il giudizio, in forza del principio di tassatività delle impugnazioni, è inoppugnabile, trattandosi di un atto di mero impulso processuale, diretto a fondare la competenza del giudice del dibattimento a conoscere del merito e di tutte le questioni connesse, tra cui quelle relative alle eventuali eccezioni sollevate nel corso dell'udienza preliminare, potendo eventuali censure essere fatte valere nella successiva fase dibattimentale (cfr., tra le altre, Cass. pen., n. 40408/2008). L'eventuale nullità assoluta e insanabile di un atto potrà essere dedotta tra le questioni preliminari, ai sensi dell'art. 491 c.p.p. e in relazione all'art. 181, commi 1 e 3,c.p.p. (cfr. Cass. pen., n. 1230/1999). La non impugnabilità del decreto che dispone il giudizio, peraltro, non può essere superata, nel caso di specie, ricorrendo alla categoria dell'atto abnorme, tale potendo definirsi quello che per la stranezza, la singolarità, l'atipicità del suo contenuto si ponga al di fuori del sistema processuale, non essendo sufficiente che sia inficiato da una qualsivoglia violazione di legge.

Guida all'approfondimento

MARANDOLA - BRONZO, La chiusura delle indagini e l'udienza preliminare, in Spangher - Marandola - Garuti - Kalb (diretto da), Procedura penale, Teoria e pratica del processo, Vol. II, Milano, 2015, pag. 930 e ss.;

CONTI - QUAGLIANO, La regola di giudizio nell'udienza preliminare: una decisione bifasica, nota a Cass. pen. Sez. VI, 30 aprile 2015, n. 33763, in Dir. Pen. e Processo, 2016, 3, 332;

CASSIBBA, L'udienza preliminare. Struttura e funzioni, Milano, 2007;

PISTORELLI, Udienza preliminare, in Enc. giur., XVII, 2001, 8.

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