Sequestro preventivo di immobile abusivo ultimato

Pietro Molino
09 Febbraio 2016

In tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata.
Massima

In tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata.

Il caso

Un giudice per le indagini preliminari disponeva il sequestro preventivo di manufatti siti nel territorio di un comune, dichiarato di notevole interesse pubblico con specifico decreto ministeriale, in quanto realizzati in assenza dell'autorizzazione paesaggistica.

La misura della cautela reale veniva applicata nei confronti del committente delle opere abusive, in relazione al solo delitto di cui all'art. 181, comma 1-bis, del d.lgs. 42 del 2004, essendo nel frattempo maturata la prescrizione per le concorrente contravvenzioni edilizie di cui al d.P.R. 380 del 2001.

Il competente tribunale rigettava il riesame proposto dal soggetto indagato, il quale proponeva pertanto ricorso per cassazione eccependo l'insussistenza del periculum in mora, tenuto conto della accertata ultimazione del lavori e dell'inesistenza di aggravio del carico urbanistico, donde la non configurabilità di ogni esigenza di cautela.

La questione

Il sequestro preventivo, quale misura cautelare reale prevista dal codice di procedura penale finalizzata ad impedire che il reato sia portato ad ulteriori conseguenze, è pacificamente applicabile alle opere edilizie abusive in relazione ai corrispondenti reati urbanistici e paesaggistici.

La giurisprudenza si è da lungo tempo interrogata sulla legittimità del sequestro preventivo di un immobile abusivo la cui edificazione risulti già ultimata, domandandosi quale sia il rapporto fra il presupposto della misura di cui all'art. 321 c.p.p. – ovvero il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati – e la circostanza che l'avvenuto completamento delle opera abusive segni, per cosi dire, il perfezionamento del reato e in qualche modo la sua conclusione sul piano fattuale e fenomenico.

In anni più risalenti, l'interrogativo è sfociato in un contrasto giurisprudenziale fra:

  • una posizione, largamente maggioritaria, che affermava la sussistenza del potere del giudice di disporre il sequestro preventivo di un immobile abusivamente costruito anche nell'ipotesi in cui l'edificazione risulti già ultimata (per tutte, Cass. Pen., n.16240 del 19 marzo 2002, Rv. 221567), sostenendo che le conseguenze che il legislatore intende neutralizzare attraverso il sequestro preventivo non sono identificabili con l'evento del reato in senso naturalistico e neppure con l'evento il senso giuridico (cioè la lesione del bene penalmente tutelato), sicché esse possono essere aggravate o protratte anche dopo la consumazione del reato medesimo, attraverso l'utilizzazione dell'immobile costruito in spregio degli strumenti urbanistici vigenti che aggrava e protrae la lesione dell'equilibrio urbanistico del territorio che quegli stessi strumenti intendono tutelare (per esempio, attivando un carico di circolazione stradale, di servizi pubblici et similia che sono incompatibili con la programmazione urbanistica);
  • un orientamento minoritario (cfr. Cass. pen, Sez. III, 6 agosto 2001, n. 30503), secondo il quale un'eventuale lesione del regolare assetto del territorio è connaturata all'esistenza stessa del manufatto abusivo, di modo che, lungi dall'essere una conseguenza connessa alla libera disponibilità del bene, permane anche se l'immobile è sottoposto a sequestro.

Il contrasto è stato risolto dall'intervento delle Sezioni unite (Cass. pen., Sez. unite, 29 gennaio 2003, n. 12878) che hanno affermato il principio per il quale:

  • il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa – che va accertato dal giudice con adeguata motivazione presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nei volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato;
  • spetta dunque al giudice di merito, con adeguata motivazione, compiere una attenta valutazione del pericolo derivante da libero uso della cosa pertinente all'illecito penale. In particolare, vanno approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa, da parte dell'indagato o di terzi, possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività. In altri termini, il giudice deve determinare in concreto, il livello di pericolosità che la utilizzazione della cosa appare in grado di raggiungere in ordine all'oggetto della tutela penale, in correlazione al potere processuale di intervenire con la misura preventiva cautelare. Per esempio, nel caso di ipotizzato aggravamento del c.d. carico urbanistico, va delibata in fatto tale evenienza sotto il profilo della consistenza reale ed intensità del pregiudizio paventato, tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione del provvedimento coercitivo.

Possono allora dirsi consolidati i seguenti approdi.

Il sequestro preventivo va disposto nelle situazioni in cui il non assoggettamento a vincolo della cosa pertinente al reato potrebbe condurre, in pendenza dell'accertamento del reato, non solo al protrarsi del comportamento illecito ovvero alla reiterazione della condotta criminosa ma anche alla realizzazione di ulteriori pregiudizi quali nuovi effetti offensivi del bene protetto.

Tali effetti però debbono essere connessi con l'imputazione contestata e l'intervento preventivo collegato con le finalità di repressione del reato. Più specificatamente, il pericolo, in quanto probabilità di un danno futuro, deve avere caratteristiche di concretezza e richiede, quindi, un accertamento in concreto, sulla base di elementi di fatto, in ordine all'effettiva e non generica possibilità che la cosa di cui si intende vincolare la disponibilità assuma in relazione a tutte le circostanze del fatto (la natura della cosa, la sua connessione con il reato, la destinazione alla commissione dell'illecito, le circostanze del suo impiego) una configurazione strumentale rispetto all'aggravamento o alla protrazione del reato ipotizzato ovvero alla agevolazione alla commissione di altri reati.

I reati edilizi hanno natura permanente e la relativa consumazione perdura fino alla cessazione dell'attività abusiva, in genere sino al momento di completamento del manufatto.

Pur cessata la permanenza, l'effetto lesivo del bene giuridico protetto perdura nel tempo, ma tale evenienza è comune chiaramente a tutti i reati, anche a quelli qualificati come istantanei, dai quali discendono pregiudizi spesso prolungati e più o meno irreparabili.

Distinte, invece, nella previsione di cui all'art. 321 c.p.p., sono le specifiche conseguenze che possono determinarsi a causa del mancato impedimento della libera disponibilità della cosa pertinente al reato in capo all'autore di esso ovvero di terzi.

Dette conseguenze diverse, necessariamente antigiuridiche, sono sicuramente ipotizzabili nel caso in cui il reato si sia consumato ed in particolare l'edificio sia stato portato a termine.

Ma quali sono queste conseguenze?

Sono quelle che si determinano sul c.d. carico urbanistico come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio.

Si tratta di un concetto non definito dalla vigente legislazione, ma in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico.

D'altro canto, il collegamento di detti effetti pregiudizievoli con il procedimento di repressione del reato comporta necessariamente che l'accertamento irrevocabile di questo sia idoneo ad impedire definitivamente il verificarsi delle conseguenze antigiuridiche; il che si traduce - in subiecta materia - nell'emanazione, con la sentenza di condanna, dell'ordine di demolizione delle opere abusive ai sensi dell'art. 31 comma nono del d.P.R. 380 del 2001.

Occorre però considerare con la dovuta attenzione che il pericolo attinente alla libera disponibilità del bene deve sempre presentare i caratteri della concretezza e dell'attualità (Cfr. Cass. pen., Sez. IV, 6 dicembre 2013, n. 2389): spetta pertanto al giudice di merito, con adeguata motivazione, compiere una attenta valutazione del pericolo derivante dal libero uso della cosa pertinente all'illecito penale.

In particolare, vanno approfonditi la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell'indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività.

Per fare un esempio, nel caso di ipotizzato aggravamento del c.d. carico urbanistico va delibata in fatto tale evenienza, sotto il profilo della consistenza reale ed intensità del pregiudizio paventato, tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione del provvedimento coercitivo; nell'ambito di siffatto accertamento, assumono rilievo gli interventi di competenza della Pubblica Amministrazione in relazione alla sanatoria di costruzioni edificate senza concessione urbanistica ma conformi agli strumenti urbanistici; il che potrebbe comportare il venir meno del periculum in mora richiesto per l'emissione della misura preventiva.

Le soluzioni giuridiche

Accogliendo il ricorso dell'imputato, la suprema Corte ricapitola e ribadisce le scansioni argomentative della giurisprudenza sopra riportata, evidenziando però una fondamentale differenza attinente alla concreta fattispecie esaminata.

Diversa infatti deve ritenersi la risposta con riferimento ai reati paesaggistici – quali quelli contestati all'imputato – poiché per tali reati, al fini della legittimità del provvedimento di sequestro preventivo, la sola esistenza di una struttura abusiva, realizzata senza autorizzazione in area sottoposta a vincolo paesaggistico, integra il requisito dell'attualità del pericolo, indipendentemente all'essere l'edificazione criminosa ultimata o meno: e ciò in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione all'utilizzazione della costruzione ultimata (vedi Cass. pen., Sez. III, 12 giugno 2003, n. 32247; Cass. pen., Sez. III, 30 settembre 2004, n. 43880; Cass. pen., Sez. III, 20 marzo 2013, n. 24539; Cass. pen., Sez. III, 18 settembre 2013, n. 42363).

Osservazioni

La decisione della Corte si insedia nel solco consolidato della giurisprudenza, che opera una distinzione non insignificante tra gli interventi lesivi del solo assetto urbanistico e quelli – ben più gravi – che incidono sul paesaggio e sull'ambiente.

La sentenza consente peraltro di fare luce su un aspetto intimamente connesso, relativo al momento in cui può dirsi realmente “ultimato” un intervento edilizio, posto che solo la presenza di un immobile ultimato apre evidentemente la strada alla problematica appena esaminata.

Sul punto, pur con qualche oscillazione, la giurisprudenza di legittimità ha mantenuto una posizione sostanzialmente restrittiva, affermando sin da epoche più risalenti (Cass. pen, Sez. III 16 marzo 1994, n. 5654) che l'ultimazione ha luogo quando vengono portati a termine i lavori di rifinitura dell'immobile, compresi quelli esterni quali gli intonaci e gli infissi. In particolare, per Cass. pen., Sez. III, 22 settembre 1995, n. 11484; Cass. pen., Sez. III, 12 luglio 1999, n. 11808; Cass. pen., Sez. III, 3 giugno 2003, n. 33013; la permanenza nei reati urbanistici cessa con l'ultimazione dei lavori, e cioè con il completamento della rifinitura, e non con la mera edificazione del cosiddetto "rustico"; né tale assunto risulta contraddetto dalla disposizione di cui all'(allora) art. 31 legge 28 febbraio 1985 n. 47, il quale si limitava a fornire una nozione di ultimazione dei lavori finalizzata esclusivamente alla disciplina premiale del condono edilizio.

In anni più vicini, la Corte ha affermato:

  • che il momento consumativo del reato di costruzione abusiva si realizza con l'ultimazione dei lavori, coincidente con la realizzazione delle rifiniture, anche per le parti che costituiscono annessi dell'abitazione (Cass. pen., Sez. III, 27 gennaio 2010, n. 8172);
  • che l'uso effettivo dell'immobile, accompagnato dall'attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente al fine di ritenere "ultimato" l'immobile abusivamente realizzato, coincidendo l'ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Cass. Pen., Sez. III, n. 39733 del 18 ottobre 2011, Rv. 251424;
  • che deve ritenersi ultimato l'edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come desumibile dall'art. 25, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, che fissa entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento il termine per la presentazione allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità (Cass. pen., Sez. III, 18 ottobre 2011, n. 40033).

Assai di recente, infine, la terza sezione – Cass. pen., Sez. III, 17 settembre 2014, n. 48002 – è tornata ad occuparsi del problema, affermando che in tema di reati edilizi, deve ritenersi "ultimato" solo l'edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, di modo che anche il suo utilizzo effettivo, ancorché accompagnato dall'attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere sussistente l'ultimazione dell'immobile abusivamente realizzato, coincidente generalmente con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni.

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