Il consenso dell'incapace e la pena patteggiata

Enrico Campoli
09 Febbraio 2017

Il patteggiamento, viziato nel consenso dell'imputato per incapacità dello stesso a prestarlo, è nullo: incombe, pertanto, sul giudice, prima di avallare l'accordo, l'obbligo di approfondire la sussistenza di eventuali situazioni cliniche che lo inficino.
Massima

L'accordo negoziale sulla pena raggiunto, ex artt. 444 e ss. c.p.p., da un imputato che versi in una situazione potenzialmente idonea a porne in dubbio la capacità d'intendere e di volere e quella di stare in giudizio al momento in cui ha prestato il consenso, non può essere acriticamente avallato dal giudice e, per l'effetto, è da ritenersi nullo tutte le volte in cui non si sia svolto, sul punto, un serio ed approfondito accertamento.

Il caso

Il tribunale in composizione monocratica applica all'imputato, su concorde richiesta delle parti, la pena negoziata.

Ricorre per cassazione la difesa dell'imputato lamentando la mancata presa in considerazione di documenti presenti agli atti al momento della decisione che rappresentavano la situazione psichica in cui versava l'imputato (grave forma di disturbo borderline della personalità) e che dovevano essere valutati, ai fini dell'art. 89 c.p., dal giudice in sede di patteggiamento per diminuire la pena.

La questione

Nello scrutinare l'accordo negoziale raggiunto dalle parti in tema di applicazione della pena (artt. 444 e ss. c.p.p.) il giudice, prima di avallarlo, deve valutare se non ricorra la necessità di pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129: tra le cause di non punibilità dettate da quest'ultimo non sono, però, significativamente, incluse quelle riguardanti il difetto di imputabilità (art. 85, commi 1 e 2, c.p.).

Diretta conseguenza di tale osservazione preliminare è che occorre distinguere l'incidenza della incapacità di intende e di volere laddove declinata in merito al fatto contestato (difetto di imputabilità) da quando essa, ha, invece, ad oggetto la determinazione a concludere un accordo sulla pena da applicare (capacità negoziale).

Non sempre, difatti, la prima situazione fattuale attinente la capacità dell'imputato si sovrappone alla seconda ben potendo l'incapacità negoziale subentrare in seguito così come essa, non essendo evincibile al momento dell'accordo negoziale, può essere acquisita, nel processo, solo successivamente inficiando l'accordo.

È in forza di tali ragioni che il codice di procedura penale, nei casi in cui la infermità mentale è sopravvenuta al fatto (artt. 70 e 71 c.p.), da un lato, prevede espressamente la riserva di potere, sempre, dar luogo ad una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere per ragioni di merito o di estinzione e, dall'altro, sancisce, previa perizia, la sospensione del processo: la capacità di stare in giudizio, difatti, prescinde del tutto dalla capacità d'intendere di volere, sia di quella al momento del fatto e sia di quella relativa al consenso prestato per l'applicazione della pena.

Costituisce, pertanto, questione fondamentale, per il giudice del patteggiamento – non rientrando nei poteri di controllo assegnatigli dall'art. 129 c.p.p. quello di proscioglimento per difetto di imputabilità – l'accertamento della capacità del soggetto di raggiungere un valido ed efficace accordo negoziale sulla pena ad egli applicabile, accertamento inclusivo della capacità di stare efficacemente in giudizio ma il cui perimetro di svolgimento è, però, processualmente e fattualmente, disgiunto.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, hanno affermato i seguenti principi di diritto:

  • la capacità d'intendere e di volere e la capacità di stare in giudizio costituiscono la base cognitiva indispensabile perché possa darsi corso ad una richiesta di applicazione della pena: il giudice di tali profili deve farsi carico, fermo restando che nella normalità dei casi, ove non vengano rappresentati problemi specifici, l'accertamento potrà assumere connotazione semplificata, in quanto assorbito dalla considerazione dei profili estrinseci venuti in evidenza;
  • al manifestarsi di elementi seriamente idonei a rappresentare il difetto della base cognitiva va disposto specifico approfondimento senza del quale il consenso non può ritenersi idoneo alla definizione ex art. 444 c.p.p.;
  • in presenza di un mancato accertamento sulla capacità di intendere e di volere dell'imputato, e della sua capacità di stare in giudizio, – pur laddove dal fascicolo d'udienza emergevano i disturbi riferiti dal ricorrente –, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in quanto le parti devono essere rimesse nella condizione di potersi rideterminare liberamente, fermo restando che grava sul giudice l'obbligo di compiere gli accertamenti necessari sulla capacità dell'imputato.
Osservazioni

Quando il procedimento è definito nelle forme di cui agli artt. 444 e ss. c.p.p. non possono essere fatti valere vizi riguardanti questioni incompatibili con l'accordo negoziale raggiunto dalle parti.

Tale principio trova ragione nel fatto che l'accordo delle parti sulla pena comporta per le stesse la rinuncia (implicita) a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle aventi ad oggetto la validità formale del negozio, la legalità della pena applicanda, la qualificazione giuridica dei fatti, ove non viziata da palese erroneità e, per quel che ci riguarda in questa sede, la validità del consenso prestato dall'imputato.

Quest'ultimo, quale atto direttamente incidente sul diritto di libertà dell'imputato, necessita di una consapevolezza piena tant'è che il legislatore richiede che esso venga compiuto personalmente ovvero solo tramite un suo procuratore speciale (art. 446, comma 4, c.p.p.).

Proprio in forza di tali ragioni la capacità negoziale (intendendosi per essa la capacità di intendere e di volere al momento di manifestare il proprio consenso in merito alla pena concordata) e quella di stare in giudizio costituiscono le pre-condizioni affinché un processo penale possa ritenersi, sotto il profilo formale, legittimamente instaurato e, sotto quello sostanziale, validamente efficace.

L'accertamento su tali presupposti non può che essere ricondotto, ex officio, ai poteri del giudice del patteggiamento il quale dovrà adempierlo, dapprima, sommariamente, in forza degli elementi già presenti agli atti ovvero sulla base di quelli prodottigli prima della sentenza, (per quanto quest'ultimi possano essere, di fatto, confliggenti con il consenso già prestato) e, successivamente, laddove ha ritenuto gli stessi pregnanti sul punto, a mezzo di specifica perizia tecnica.

La stessa disposizione di cui all'art. 446, comma 5, c.p.p., sancisce, del tutto significativamente, che il giudice, tutte le volte che lo ritiene opportuno – e, dunque, a maggior ragione laddove dagli atti si evinca una situazione clinica che ben può far dubitare delle reali capacità dell'imputato a determinarsi in merito ad un accordo negoziale sulla pena – ha la facoltà di disporre la comparizione dell'imputato.

Ebbene, la convocazione “personale” dell'imputato all'udienza fissata per esaminare la richiesta concordata di patteggiamento – presenza dell'imputato in relazione alla quale è legittimo ipotizzare anche il ricorso ai poteri di accompagnamento coattivo delineati dall'art. 132 c.p.p. – è strettamente riconducibile proprio alla finalità di verificare la volontarietà della richiesta o del consenso.

Mentre la verifica svolta dal giudice del patteggiamento sulla volontarietà della richiesta appare finalizzata ad approfondire la effettiva provenienza personale dell'atto e la esatta comprensione dei contenuti (e dei successivi effetti) dell'accordo raggiunto quella riguardante la volontarietà del consenso ha quale principale oggetto la portata della piena capacità di autodeterminazione dell'imputato, l'eventuale presenza di patologie che la possano offuscare, la consapevolezza rispetto all'accordo negoziale che si è raggiunto stante il rilevante, e quasi diretto, peso attribuito alle parti processuali, pubblico ministero e difensore, nelle scelte sanzionatorie.

Costituisce, pertanto, requisito implicito della verifica quello che il giudice del patteggiamento, una volta disposta la comparizione personale dell'imputato, laddove abbia dei dubbi riguardanti la capacità di determinarsi dello stesso, - ovviamente non basati su mere congetture ma su elementi concreti -, innesti gli accertamenti tesi a verificare la volontarietà del consenso prestato, – ivi compreso quello mediato dalla procura speciale al difensore.

Le caratteristiche di atto negoziale unilaterale recettizio, riconosciute al consenso prestato dall'imputato alla pena concordata, consentono di richiamare per esso le norme civilistiche che disciplinano gli atti unilaterali (art. 1324 c.c.), le quali prevedono, ove compatibili, l'applicabilità di quelle regolanti i contratti e per esse, in particolare, l'art. 428, comma 1, c.c.in tema di incapacità naturale.

In quest'ultimo, difatti, dell'atto unilaterale se ne sanziona l'annullabilità quando sia posto in essere da persona che, seppure non interdetta, “si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere e di volere al momento in cui l'atto è stato compiuto” e lo stesso comporti per l'autore “grave pregiudizio”.

È evidente, pertanto, che tutto è rimesso alla valutazione di merito svolta, in proposito, dal giudice che avalla l'accordo negoziale laddove siano presenti, o vengano prospettati, concreti elementi riguardo alla capacità del soggetto interessato al momento del consenso ovvero anche a quello antecedente in cui ha rilasciato la procura speciale : mai il negozio sottoscritto dalle parti può ritenersi assorbente di tale situazione di fatto.

È del tutto ininfluente, inoltre, che tali elementi emergano successivamente alla pronuncia della sentenza di patteggiamento in quanto, purché temporalmente legati al momento del consenso prestato (ovvero di quello del rilascio della procura speciale) inficiano retroattivamente anche l'accordo già avallato dal giudice.

Sebbene, quindi, ritornando alla sentenza in commento, il ricorso per cassazione fosse, parzialmente, distonico – in quanto prospettava il riconoscimento di una pena meno grave, ex art. 89 c.p., rispetto all'accordo raggiunto dalle parti, di fatto reclamando erroneamente la riformulazione della pena concordata – è emersa, in modo assorbente, l'esistenza di una oggettiva situazione di incertezza sul consenso prestato da approfondire specificamente in sede di rinvio non escludendosi, ove superata, alcuna soluzione di merito.

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