Risponde di ricettazione colui che, nella disponibilità di cellulare di provenienza furtiva, non fornisca spiegazione attendibile dell'origine del possesso
10 Maggio 2017
Ritenere integrato il reato di ricettazione sulla base del mero possesso ingiustificato di cose sottratte, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto, « non produce un'anomala inversione dell'onere della prova né incide il diritto al silenzio dell'imputato ». La Corte di cassazione, Sez. II, ha così accolto il ricorso presentato dal procuratore generale avverso la sentenza emessa con cui la Corte d'appello di L'Aquila assolveva l'imputato perché il fatto non costituisce reato, sostenendo che « in assenza di qualsivoglia elemento fattuale relativo alle modalità e alle circostanze dell'acquisto, non possa indiscriminatamente ricavarsi la consapevolezza della provenienza illecita del bene dal mero silenzio dell'imputato » in quanto ciò « significherebbe operare una inammissibile inversione dell'onere della prova, poiché grava sulla pubblica accusa l'incombenza di produrre al giudice le prove a carico dell'imputato […] ». La Cassazione, ritenendo la ricostruzione effettuata dal giudice di seconde cure macroscopicamente erronea e lacunosa, afferma, invece, che l'orientamento giurisprudenziale secondo cui ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta consiste in una « presa d'atto della impossibilità di provare la sottrazione in assenza di elementi che giustifichino l'inquadramento della detenzione come esito diretto del furto, piuttosto che come quello della ricezione di cose illecite […] non si richiede, in tal modo, all'imputato di provare la provenienza del possesso delle cose ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell'origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad un onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento ». Per tali ragioni, i giudici di legittimità, con sentenza n. 20193 depositata il 27 aprile, hanno annullato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Perugia con l'indicazione di uniformarsi ai seguenti principi di diritto:
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