Un Legislatore timido produce una cura palliativa: la nuova prescrizione si limita ad aggirare gli ostacoli

Angelo Valerio Lanna
10 Luglio 2017

Dopo tanta attesa, dopo accesi contrasti ed accanite resistenze, dopo poco credibili fughe in avanti ed immediati ripensamenti, vede finalmente la luce la c.d. Riforma Orlando: legge 23 luglio 2017, n. 103 (pubblicata in Gazzetta ufficiale, n. 154 del 4 luglio 2017). Una parte piuttosto rilevante di tale rimodulazione normativa è dedicata all'istituto della prescrizione; sulle cui storture e incongruenze, nonché devastanti conseguenze ...
Abstract

Dopo tanta attesa, dopo accesi contrasti ed accanite resistenze, dopo poco credibili fughe in avanti ed immediati ripensamenti, vede finalmente la luce la c.d. Riforma Orlando: legge 23 luglio 2017, n. 103 (pubblicata in Gazzetta ufficiale, n. 154 del 4 luglio 2017). Una parte piuttosto rilevante di tale rimodulazione normativa è dedicata all'istituto della prescrizione; sulle cui storture e incongruenze, nonché devastanti conseguenze, pare ormai essersi formata una sostanziale uniformità di vedute. Tanto vero che da più parti se ne era auspicata una revisione davvero radicale. Una sorta di rivoluzione copernicana che – diciamolo immediatamente – non vi è stata.

Accanto infatti ad uno sparuto manipolo di aspetti positivi (ad esempio, la fissazione del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, in ordine ad alcune gravissime fattispecie delittuose commesse in danno di minori, al compimento del diciottesimo anno di età della vittima), è dato invece individuare solo interventi per i quali è ben agevole pronosticare una ben scarsa efficacia. Si è infatti in presenza di modifiche decisamente prive del necessario carattere strutturale, che non potranno certo produrre risultati di grande rilievo.

Ricordiamo poi che tutte le disposizioni in tema di prescrizione, contenute nella novella, sono applicabili – in virtù dell'espresso dettato normativo – ai fatti commessi in epoca posteriore, rispetto al momento dell'entrata in vigore della medesima riforma. Una sottolineatura che è contenuta nella nuova legge ma che appare chiaramente pleonastica; tale regola rappresenta infatti il naturale precipitato del meccanismo della successione delle leggi penali nel tempo di cui all'art. 2 c.p., oltre che della ormai incontestata natura sostanziale – non processuale – delle norme concernenti la prescrizione

Inquadramento generale e passaggi essenziali della novella

Le innovazioni legislative riguardano gli artt. da 158 a 161 c.p. L'ottica di sistema sembra in effetti essere quella (quasi timorosa) della rivisitazione di alcuni disfunzioni applicative dell'attuale normativa. Si è così pensato di incidere sul momento iniziale di decorrenza della prescrizione, in relazione ad alcune odiose fattispecie criminose (art. 158 c.p.); si sono apportate modifiche in termini di sospensione e di interruzione del termine stesso (artt. 159 e 160 c.p.), oltre che sulla disciplina dell'effetto estensivo correlato a tali profili (art. 161 c.p.). Per ciò che inerisce ai modelli legali ex artt. 318 e ss. c.p., si è poi (giustamente) sancito un allungamento del termine di prescrizione.

Interventi sulla decorrenza del termine (art. 158 c.p.)

In calce al testo vigente dell'art. 158 c.p. è stato inserito il seguente periodo: «Per i reati previsti dall'art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, se commessi nei confronti di minore, il termine della prescrizione decorre dal compimento del diciottesimo anno di età della persona offesa, salvo che l'azione penale sia stata esercitata precedentemente. In quest'ultimo caso il termine di prescrizione decorre dall'acquisizione della notizia di reato». Non vi è chi non rilevi l'effetto davvero travolgente che – in tema di decorrenza iniziale del termine prescrizionale – potrà verosimilmente provocare tale mutamento. Una modifica che pare veramente molto appropriata e condivisibile; che palesemente offre una forte risposta all'avvertita necessità di reprimere condotte criminali di enorme gravità e di odiosa natura. Gesti efferati che purtroppo spesso – appunto perché commessi in danno di soggetti intrinsecamente deboli, ossia i minori di età – vengono scoperti dopo parecchio tempo. Continuare a legare il decorso del termine di prescrizione al tempus commissi delicti, equivaleva allora ad accettare il rischio concreto della caduta nell'oblio di tali fatti; disancorare invece tale termine dall'evento fenomenico e correlarlo alla vita della persona offesa, aumenterà la probabilità che questa – essendosi ormai verosimilmente plasmata una più robusta personalità, stante il raggiungimento della maggiore età – si determini a denunciare quanto subito da minorenne. Che proprio questo sia lo spirito informatore della riforma può del resto essere facilmente evinto dalla lettera della legge; la quale prevede appunto una clausola di riserva, cristallizzata nelle parole «salvo che l'azione penale sia stata esercitata precedentemente». E laddove l'azione penale risulti già esercitata in un tempo precedente, rispetto al raggiungimento del diciottesimo anno della persona offesa, comunque il termine di prescrizione dovrà esser computato a decorrere dall'acquisizione della notitia criminis. Il che equivale a dire, nuovamente, non a partire dal tempus commissi delicti.

Interventi in tema di sospensione (art. 159 c.p.)

La disposizione codicistica in esame è stata profondamente trasformata, ad opera della legge 103/2017. Anzitutto, si è previsto che – nel caso di sospensione del termine prescrizionale a causa di una richiesta di autorizzazione a procedere o in ragione del deferimento di questioni ad altro giudizio – venga in essere un periodo di sospensione che è correlato a parametri di tipo oggettivo.

E quindi. Allorquando vi sia una sospensione scaturente da richiesta di autorizzazione a procedere, il corso della prescrizione rimarrà sospeso per l'intera durata della procedura (ossia, a decorrere dalla presentazione della richiesta di autorizzazione a procedere da parte del P.M. e fino al momento dell'accoglimento della stessa). Ugualmente, in caso di deferimento di questione ad altro giudizio, la sospensione avrà efficacia fino all'accoglimento della relativa richiesta.

Vi è poi l'inserimento di un ulteriore caso di sospensione del termine di prescrizione, in presenza dell'inoltro all'estero di rogatoria (ed anche in questa ipotesi, la prescrizione resterà sospesa fino alla ricezione della relativa documentazione, da parte dell'autorità richiedente, o comunque trascorsi sei mesi dal provvedimento che dispone la rogatoria).

Tali modifiche rampollano palesemente dalla volontà di aprire delle vere e proprie parentesi di sospensione del termine prescrizionale; una sospensione la cui durata è stata però naturalmente vincolata ad ancoraggi certi e di facile controllabilità. La volontà è poi anche quella di neutralizzare il pericolo esattamente opposto; sarebbe a dire che si intende evitare il rischio di una durata in pratica indeterminata nel massimo, della sospensione del termine prescrizionale.

Sono state poi previste altre ipotesi di sospensione, la cui efficacia decorre dal momento che il giudice si riserva per la stesura dei motivi della decisione, sia in primo sia in secondo grado. La legge 103/2017 ha infatti inserito un aumento prefissato del termine prescrizionale, legandolo alla scadenza del tempo utile per procedere alla redazione dei motivi della sentenza di condanna (in primo e poi anche in secondo grado). Il corso della prescrizione rimarrà pertanto sospeso, a partire dal termine previsto dall'art. 544 c.p.p. per la stesura della motivazione della pronuncia in primo grado e fino all'emissione del dispositivo che definisce il secondo grado di giudizio; resterà parimenti sospeso, a far data dal termine indicato per la stesura della motivazione della pronuncia in grado di appello, fino all'emissione del dispositivo che rende irrevocabile la sentenza. In ambedue i casi, la sospensione non potrà comunque avere una estensione temporale eccedente il periodo di anni uno e mesi sei.

Infine, è previsto che l'intervento di una ulteriore causa di sospensione del termine prescrizionale – in pendenza della sospensione massima di anni uno e mesi sei, successiva al termine ex art. 544 c.p.p. – comporti il corrispondente prolungamento dei termini per il periodo corrispondente. Si vuole dunque che la sospensione operi qui in maniera effettiva, per il periodo indicato.

Questo il dettato normativo.

Interventi in tema di interruzione (art. 160 c.p.)

Nel testo dell'art. 160 c.p., dopo le parole «l'interrogatorio reso davanti al pubblico ministero», è stata inserita ad opera della novella le seguente frase: «o alla polizia giudiziaria, su delega del pubblico ministero». L'articolo in esame richiama come noto una serie di atti, al compimento dei quali l'ordinamento riconnette una funzione interruttiva del decorso del termine prescrizionale. Trattasi di una elencazione ormai pacificamente ritenuta tassativa.

Capovolgendo dunque una soluzione esegetica sostanzialmente pacifica fra gli interpreti della norma, è ora espressamente previsto come debba ricollegarsi l'effetto interruttivo del termine di prescrizione anche all'interrogatorio dell'indagato che venga effettuato dalla P.G. su delega del P.M., ai sensi dell'art. 370 c.p.p.

Modifiche all'art. 161 c.p.

Anche il testo di questo articolo risulta profondamente inciso dalla novella in commento. In virtù dunque della riforma del 2017, dal verificarsi del fenomeno interruttivo del termine prescrizionale ex art. 160 c.p. deriverà un effetto estensivo; sarebbe a dire che l'interruzione avrà effetto nei riguardi di tutti i coautori dello stesso fatto. All'avverarsi così di una delle cause tipizzate di interruzione, il termine prescrizionale resterà sospeso comunque, indipendentemente dal fatto che eventualmente – nei confronti specificamente di tali soggetti – si stia già procedendo. Analogo effetto estensivo non sarà invece cagionato dal diverso meccanismo della sospensione della prescrizione.

Possibili ricadute applicative delle novità normative; le prevedibili criticità

La parte più pubblicizzata della riforma è senza dubbio quella che ha inciso sul testo dell'art. 159 c.p. L'allungamento del termine necessario al consolidamento della prescrizione nel periodo successivo alla pronuncia della sentenza di condanna, durante il tempo riservato alla redazione dei motivi della stessa, era stato infatti presentato – invero ad opera di disaccorti corifei e dei molti maldestri commentatori affastellati alla bisogna – come una svolta epocale. Una modifica capace di risolvere, come d'incanto, i mali dell'attuale strutturazione della causa estintiva in argomento. Invece, senza minimamente modificare l'impianto complessivo dell'istituto – come modellato grazie alla sciagurata legge ex Cirielli – si è inseguita la chimera della pura e semplice aggiunta, rispetto al medesimo termine di prescrizione (una aggiunta peraltro di entità assai modesta). Il termine di prescrizione è stato così ingessato in una specie di limbo e per un periodo molto circoscritto, successivamente all'emissione di pronunce di condanna nei successivi gradi di giudizio.

Una modifica che nella sostanza non può che esser definita titubante; vengono infatti apprestate armi parecchio spuntate, nel contrasto alla variegata congerie di difficoltà legate alla vigente (incongrua) conformazione dell'istituto. E infatti.

Nulla cambia in relazione all'aspetto probabilmente più incomprensibile dell'attuale prescrizione: resta intonso il perverso vincolo esistente fra il decorso del termine estintivo e lo svolgimento del processo. Il termine prescrizionale non smette dunque di correre, anche laddove l'ordinamento abbia mostrato interesse, rispetto alla possibile individuazione e punizione del colpevole (momento che può naturalmente collocarsi al tempo dell'esercizio dell'azione penale); e neppure arresta la sua corsa – tale termine – nel momento in cui si addiviene ad un primo accertamento di colpevolezza (sarebbe a dire, al momento della pronuncia della sentenza di primo grado). La prescrizione al contrario prosegue la sua corsa, impermeabile a quanto accada all'interno della vicenda processuale; anzi, appunto durante il periodo di tempo che occorre per il (farraginoso) accertamento della colpevolezza. E peraltro, la corsa del termine rimane praticamente indifferente rispetto alle difficoltà connesse ad uno strumento processuale che è notoriamente dei più complessi (si tratta di un garbato eufemismo, essendo ben noti sia la pletora di vani adempimenti dai quali è costellato il faticoso incedere del processo, sia l'esistenza delle tante cause di nullità che occorre scansare e infine i molteplici subprocedimenti incidentali che rallentano l'iter principale).

Sempre all'esito di una prima riflessione, non può poi non sottolinearsi l'irrazionalità dell'opzione legislativa di confinare tale incremento del termine di prescrizione alla sola sentenza di condanna, ossia, lo scrivente davvero non riesce a comprendere perché non si sia estesa tale operatività anche alle pronunce ex artt. 530 e 425 c.p.p. Ma del resto, il fatto che alla base di tale scelta si ponga una convinta scelta di politica normativa, può facilmente dedursi dalla successiva inclusione di una modalità di recupero dei precedenti periodi di sospensione, ai fini del calcolo del complessivo termine prescrizionale. È infatti previsto che – laddove vi sia il proscioglimento dell'imputato nel grado successivo, oppure intervenga l'annullamento della condanna in punto di responsabilità – se vi sia stata una condanna in primo grado con la correlata sospensione della prescrizione, il termine sarà da calcolare nuovamente. Tale tempo sarà quindi computato, ai fini del prodursi della causa estintiva in esame. Insomma, l'analisi complessiva di tali previsioni convince del fatto che la sospensione in commento sia stata scientemente vincolata alla pronuncia della sola sentenza di condanna. Ci si chiede allora – non senza una vena di sincero sconforto – come potrà ignorarsi l'esistenza di una palese disparità, rispetto al trattamento riservato a chi si venga a trovare nella situazione che costituisce – rispetto a quella sin qui descritta – proprio l'opposto speculare. Per maggior chiarezza, il riferimento è a chi sia interessato da una sequela processuale di questo genere: assoluzione in primo grado; decorso della prescrizione senza la sospensione ora introdotta; appello del P.M.; ribaltamento della decisione in secondo grado, con condanna). Anche qui forse – per una necessità di elementare coerenza logica – sarebbe stato giusto prevedere il recupero della non applicata sospensione, a far data dalla pronuncia della sentenza assolutoria in primo grado poi riformata.

Ancora una notazione. La lettura del testo di legge – secondo il quale la sospensione de qua decorre «dal termine previsto dall'articolo 544 del codice di procedura penale» – appare francamente univoca e necessitata. Qui il Legislatore ha voluto evidentemente collocare il momento iniziale di decorrenza di tale sospensione alla scadenza del termine ex lege di quindici giorni, ovvero di quello maggiore che venga indicato dal giudice per il deposito della motivazione della sentenza. Una esegesi difforme della norma non pare veramente consentita. Non vi è infatti chi non rilevi come la pendenza del termine riservato dal giudice – per la stesura dei motivi della sentenza – comporti già ipso facto la consequenziale sospensione del termine di prescrizione (si veda Cass. pen., Sez. II, n. 677/2014). E quindi – sempre se esistono la logica ed il buon senso interpretativo – non avrebbe alcun senso far decorrere la sospensione ora in esame, dalla pronuncia del dispositivo della sentenza di condanna. Ciò infatti si risolverebbe nella materiale sovrapposizione delle due cause di sospensione (o addirittura, si andrebbe ad inglobare nel tipo di sospensione ora introdotta quella già esistente, determinata come detto dalla mera pendenza del termine utile alla stesura dei motivi). Sembra allora più aderente ai principi sistematici ritenere che – sin dall'emissione del dispositivo di condanna - si verifichi già una automatica sospensione della prescrizione (determinata semplicemente dalla pendenza del termine – sia esso quello precostituito ex lege, o sia quello di maggiore ampiezza indicato dal giudice – necessario alla stesura dei motivi); che poi, dopo l'elisione di tale termine, si realizzi la sospensione ulteriore – fino alla pronuncia del dispositivo del grado di appello o fino alla decisione che rende definitiva la pronuncia – questa volta per un termine che comunque non può esser superiore ad anni uno e mesi sei.

Nulla si è inteso fare, inoltre, per correggere una modalità di calcolo del termine prescrizionale che – piuttosto che essere conformata su categorie molto ampie di reati e quindi risultare di facile comprensione, come invece era previsto nel metodo antecedente delle fasce di gravità – rimane rigorosamente legata al massimo edittale e da questa immediatamente influenzata. La conseguenza di ciò sta nel fatto che ogni modifica legislativa delle pene edittali si ripercuoterà, con immediatezza, sull'estensione del termine di prescrizione. Cosa che – almeno con riferimento ad alcune tipologie di reato (quelle spesso commesse dai c.d. colletti bianchi, giusto per esser chiari) – potrebbe in futuro scoraggiare anche gli improcrastinabili inasprimenti del trattamento sanzionatorio.

La riforma Orlando ha poi inserito – come sopra chiarito – un nuovo caso di sospensione del termine di prescrizione, che si verifica allorquando si inoltrino rogatorie all'estero. Si verificherà in tal caso la sospensione fino a quando giungerà, all'autorità richiedente, la documentazione richiesta per il tramite della rogatoria. Non si comprende bene però la ragione – stanti i tempi notoriamente non proprio rapidissimi, che spesso caratterizzano le attività di cooperazione internazionale – della previsione di un tetto massimo di durata, pari a sei mesi, per tale ipotesi di sospensione. Tale limite pare infatti veramente davvero poco coerente con il sistema; ciò in particolar modo apparirà vero, laddove si rifletta sul fatto che – allo scadere di tale termine massimo – la prescrizione riprenderà il suo corso, in spregio alla non riferibilità all'ordinamento italiano di una qualsiasi forma di inerzia o di lungaggine.

Questi – ovviamente a grandi linee e senza alcuna pretesa di esaustività – gli interrogativi che sorgono ad un primo esame. Si attendono quindi le prime interpretazioni giurisprudenziali.

In conclusione

Attenendosi all'impostazione concettuale ormai comunemente accettata, la prescrizione è un istituto che si fonda sull'esistenza di una correlazione, fra lo scorrere del tempo e la diminuzione dell'utilità sociale riconosciuta alla sanzione. La dilatazione del lasso di tempo esistente, fra fatto e condanna, impedisce infatti alla pena di svolgere le funzioni che ad essa sono tipicamente connesse. Trattasi di un istituto che dovrebbe dunque trovare il proprio substrato ideologico e culturale nella volontà di prevenire – o almeno comunque di stigmatizzare – l'inerzia dell'ordinamento nella persecuzione dei crimini.

Come sopra già accennato, la più lampante e nefasta particolarità della strutturazione attuale di tale causa estintiva del reato risiede, al contrario, nell'improvvido legame esistente fra processo e decorso del termine prescrizionale utile. Si è infatti in presenza di una prescrizione che continua a decorrere anche in epoca successiva rispetto all'instaurazione del processo; e che anzi corre addirittura dopo l'intervenuta condanna del reo. Sarebbe a dire, nonostante l'ordinamento abbia mostrato non l'inerzia, bensì una precisa volontà punitiva. Questa è forse la modifica legislativa che sarebbe stata più impellente e che invece non si è inteso adottare.

Altra incomprensibile peculiarità dell'istituto in esame – rimasta anche questa immutata all'esito della novella - è la sua soggettivizzazione; sarebbe a dire, la previsione di termini differenziati, in relazione all'eventuale status di pregiudicato del soggetto agente: un assetto normativo che deborda pericolosamente verso la rinascita del cd. tipo d'autore. E già solo questa prospettiva è tale da far inorridire intere schiere di giuristi, formatisi invece con il culto dell'oggettività.

Ma più in generale, la ex Cirielli ha come noto abbassato sensibilmente il termine prescrizionale, in relazione a fattispecie anche gravi (con poche eccezioni, inerenti a reati in ordine ai quali è ormai previsto un termine di prescrizione quasi vita natural durante). Ed anche in ordine a tale profilo (con la sola eccezione delle comunque benvenute modifiche operate per le figure delittuose ex artt. 318 e ss. c.p.), nulla ha ora ritenuto opportuno fare il legislatore.

Infine, l'inscindibile vincolo esistente fra durata del termine de quo e pene edittali comporta che ogni riforma della previsione sanzionatoria delle varie fattispecie di reato debba avere delle inevitabili (e spesso poco felici) ricadute anche con riferimento al termine di prescrizione.

Le conseguenze dell'azione combinata di tali fattori sono tristemente note ad ogni operatore del diritto. Eccone un veloce riassunto (veramente privo di aspirazioni alla completezza, ma dal quale trasparirà almeno il senso di frustrazione ormai dilagante in tutte le aule di giustizia italiane):

  1. magistrati che quotidianamente si sottopongono ad una vera e propria “fatica di Sisifo”, dedicandosi rassegnati alla infruttuosa celebrazione di un numero immane di processi, in assenza spesso della pur minima speranza che questi vengano portati a conclusione;
  2. una prescrizione che – quantitativamente dilatata in maniera sproporzionata, stando a tutte le statistiche disponibili – ha ormai assunto l'aspetto non più dell'evento eccezionale e rarissimo, bensì di una vera e propria strategia processuale (un epilogo del processo che, del tutto comprensibilmente, risulta più che appetibile per i colpevoli, ossia per soggetti che invece avrebbero avuto – già solo ove fosse restato in vigore il sistema precedente – una sicura prospettiva di condanna);
  3. una caduta davvero verticale del numero di accessi ai riti alternativi, bandiera della deflazione nel vigente sistema processualpenalistico; detta qui in maniera alquanto banale ma pienamente comprensibile: perché mai si dovrebbe patteggiare o scegliere il rito abbreviato, se all'orizzonte si staglia sempre più nitido il comodo usbergo dell'estinzione per prescrizione (un epilogo che peraltro è spesso maliziosamente spacciato per qualcosa di equipollente all'assoluzione)?

Dunque è indubitabile come – fra le tante riforme che sarebbe stato opportuno mettere in cantiere - quella della prescrizione fosse di gran lunga la più urgente. Trattasi infatti dell'istituto dal quale, per derivazione quasi meccanica, dipende il funzionamento di altri gangli vitali del sistema. La c.d. riforma Orlando – forse per una persistente ispirazione ideologica, forse perché partorita dopo troppe e troppo sofferte mediazioni e ricuciture – non pare adatta ad offrire risposte concrete. Perlomeno, non si profilano soluzioni di carattere radicale e definitivo.

Non muore la speranza che il Legislatore in futuro voglia finalmente accogliere un grido di allarme ormai generalizzato e si risolva finalmente a metter mano alla vera, unica modifica auspicabile: blocco definitivo della prescrizione, a fronte del dimostrato interesse dell'ordinamento all'accertamento della verità. In termini ancor più semplici: fermare il corso del termine prescrizionale al momento dell'esercizio dell'azione penale, o almeno dell'emissione della sentenza in primo grado. E il resto a seguire.

Guida all'approfondimento

Beltrani, Prescrizione del reato, in ilPenalista.it;

Pulitanò, DDL n. 2067: sulle proposte di modifica al codice penale e all'ordinamento penitenziario, in Giurisprudenza Penale, ed. marzo 2017;

Romano, in Romano-Grasso-Padovani, Commentario, Parte generale, III, Milano, 2011;

Silvani, La nuova disciplina della prescrizione del reato, in Dir. Pen. e processo, 2006;

Insolera, Una nuova grammatica costituzionale di fronte alla palingenesi della ideologia punitiva, in La legislazione penale compulsiva,Padova, 2006;

Micheletti, in Il Diritto, Enciclopedia giuridica, 11, Milano, 2007;

Padovani, Una novella piena di contraddizioni che introduce disparità inaccettabili, in Guida al diritto, 34, 2006.

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