Le Sezioni unite sulla nozione di quasi flagranza

Fonte:
10 Ottobre 2016

È oggetto di un contrasto giurisprudenziale la riconducibilità al concetto di quasi flagranza dell'ipotesi in cui l'inseguimento dell'indagato da parte della polizia giudiziaria sia iniziato per effetto e solo dopo l'acquisizione di informazioni da parte di terzi.
Massima

Non può procedersi all'arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto.

Il caso

La mattina del 21 giugno 2014, verso le ore 10:45, una pattuglia dei Carabinieri, su richiesta della Centrale Operativa, interveniva in soccorso di una persona che era stata vittima di lesioni personali, causate da terzi con l'utilizzo di un coltello.

Giunti sul posto, gli agenti operanti individuavano immediatamente la vittima, che si trovava all'interno di un esercizio commerciale e presentava visibili ferite da taglio sulla parte sinistra del corpo ed esattamente sul cuoio capelluto, sul lobo, sull'orecchio e sul braccio.

Dalle notizie fornite dalla vittima e dalla di lui moglie, i militari riuscivano ad identificare il probabile autore del ferimento, che subito dopo veniva raggiunto ed immobilizzato a pochi metri dall'esercizio commerciale innanzi indicato.

I carabinieri, al fine di ricercare il coltello utilizzato per ferire la persona offesa, procedevano ad un perquisizione del soggetto fermato e successivamente anche della sua abitazione e della sua bicicletta, senza tuttavia rinvenire alcunché di utile per le investigazioni.

Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Locri, in sede di udienza di convalida dell'arresto, non convalidava la misura precautelare, ritenendo mancante nel caso di specie il requisito della quasi flagranza, atteso che all'individuazione dell'autore del gesto delittuoso si era giunti solo in ragione delle dichiarazioni della persona offesa e l'arrestato non aveva indosso alcuna traccia del reato, atteso che il coltello utilizzato per il ferimento non era stato rinvenuto e gli indumenti indossati dall'indagato non recavano macchie di sangue o altre tracce del reato.

Avverso il menzionato provvedimento proponeva ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Locri, deducendo la sussistenza dello stato di quasi flagranza in quanto la polizia giudiziaria aveva proceduto all'arresto in esito a ricerche immediatamente poste in essere non appena avuta notizia del reato, anche se non subito concluse ma protratte senza soluzione di continuità, sulla base degli elementi acquisiti attraverso l'attività di indagine espletata nell'immediatezza.

Il procuratore generale presso la Corte di cassazione chiedeva invece il rigetto del ricorso, ritenendo che, tra i diversi orientamenti emersi nella giurisprudenza di legittimità, era da preferire quello fatto proprio dal giudice per le indagini preliminari.

La quinta Sezione della suprema Corte, assegnataria del ricorso, ravvisando la sussistenza di un contrasto interpretativo nella giurisprudenza della Corte di cassazione in merito all'esatto significato da attribuire alla nozione di quasi flagranza nella commissione di un reato, riteneva necessario investire della questione le Sezioni unite.

Poiché l'esatta delimitazione del concetto di quasi flagranza incide sulla estensione del potere attribuito alla polizia giudiziaria (e, a certe condizione, anche ai privati) di privare taluno provvisoriamente del diritto fondamentale della libertà personale, il Collegio rimettente riteneva necessario che le Sezioni unite fornissero un chiarimento, tra l'altro, sul corretto significato da attribuire, nella prospettiva di una interpretazione costituzionalmente orientata, a quegli elementi che la stessa giurisprudenza di legittimità, pur in presenza del suddetto contrasto, ritiene fondamentali nella costruzione della definizione della quasi flagranza, rappresentati dalla percezione dell'azione delittuosa e dall'inseguimento del reo da parte dei soggetti ai quali è conferito il potere di arresto.

La questione

La questione in esame è la seguente: può procedersi all'arresto in flagranza sulla base di informazioni apprese nell'immediatezza dei fatti dalla vittima o da terzi?

Le soluzioni giuridiche

È oggetto di un contrasto giurisprudenziale la riconducibilità al concetto di quasi flagranza dell'ipotesi in cui l'inseguimento dell'indagato da parte della polizia giudiziaria sia iniziato per effetto e solo dopo l'acquisizione di informazioni da parte di terzi.

Alcune sentenze ritengono che lo stato di quasi flagranza non sussista quando l'azione che porta all'arresto trova il suo momento iniziale non già in un immediato inseguimento da parte della polizia giudiziaria, che abbia appreso il fatto direttamente, ma nella denuncia della persona offesa, cui segue solo successivamente l'inseguimento del colpevole, dopo la consumazione dell'ultima frazione della condotta delittuosa e dopo un lasso di tempo significativo, utilizzato per raccogliere informazioni dalla stessa persona offesa e da altri soggetti (Cfr. Cass. pen., Sez. III, 17 agosto 2015, n. 34899; Cass. pen., Sez. I, 16 ottobre 2014, n. 43394; Cass. pen., Sez. IV, 5 aprile 2013, n. 15912; Cass. pen., Sez. III, 27 settembre 2011, n. 34918; Cass. pen., Sez. VI, 28 maggio 2010, n. 20539; Cass. pen., Sez. V, 19 maggio 2010, n. 19078; Cass. pen., Sez. IV, 16 aprile 2004, n. 17619; Cass. pen., Sez. V, 1 settembre 1999, n. 3032, secondo la quale quando manchi in chi procede all'arresto la immediata ed autonoma percezione delle tracce del reato e del loro collegamento con l'indagato, si richiederebbe alla polizia giudiziaria un apprezzamento di elementi probatori estranei alla ratio dell'istituto; Cass. pen., Sez. I, 17 marzo 1997, n. 6642, che ha escluso la quasi flagranza nel caso di mera, seppur verosimile, confessione di reato poco prima commesso, non accompagnata dall'evidente collegamento delle tracce percepibili con la persona del reo).

Altre pronunce, invece, hanno ricondotto nello stato di quasi flagranza anche l'azione di ricerca immediatamente posta in essere, anche se non subito conclusa, purché protratta senza soluzione di continuità, sulla scorta delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti (cfr. Cass. pen., Sez. III, 27 maggio 2015, n. 22136; Cass. pen., Sez. I, 22 febbraio 2012, n. 6916; Cass. pen., Sez. II, 16 dicembre 2010, n. 44639; Cass. pen., Sez. I, 6 luglio 2006, n. 23560, secondo la quale non è indispensabile la coincidenza tra il momento iniziale della fuga e quello in cui comincia l'inseguimento, purché l'arresto non intervenga dopo la cessazione della fuga o dopo che sia terminato l'inseguimento; Cass. pen., Sez. IV, 30 gennaio 2003, n. 4348, che ritiene inclusa nel concetto di inseguimento ad opera della forza pubblica, sul quale si fonda la nozione della quasi flagranza, ogni attività di indagine e ricerca finalizzata alla cattura dell'indiziato di reità, purché detta attività non subisca interruzioni dopo la commissione del reato, ed anche nel caso che si protragga per alcuni giorni; Cass. pen., Sez. V, 1 settembre 1999, ord., n. 2738; Cass. pen., Sez. IV, 12 aprile 1995, n. 1314; Cass. pen., Sez. I, 30 maggio 1994, n. 1646).

Dirimendo il suddetto contrasto, le Sezioni unite hanno aderito all'indirizzo più restrittivo, ritenendo che all'inseguimento materiale dell'arrestato non possa essere assimilato l'inseguimento c.d. figurativo (o investigativo), ossia quello posto in essere dopo una, seppur breve, indagine volta ad apprendere gli accadimenti e ad individuare e localizzare l'autore del fatto.

Sul piano letterale, viene rilevato che l'art. 382 c.p.p. si riferisce all'azione di chi è inseguito e non di chi fugge, ossia una condizione che richiede le attività concomitanti e antagoniste di due persone (cioè, dell'inseguitore e dell'inseguito); e ciò in quanto solo l'inseguimento (e non la fuga, che può collegarsi alle più disparate ragioni: tutelare la propria incolumità, cercare soccorsi, ecc.) avvince il reo allo stato di flagranza, in quanto assicura […] il pregnante collegamento tra il reato e il suo autore.

Sul piano logico, si osserva che la legittimità dell'arresto deriva dall'elevata probabilità di commissione del fatto, dedotta dalla diretta percezione della situazione fattuale da parte degli autori della misura precautelare. Nel caso dell'inseguimento, l'evidenza probatoria si ricava dalla circostanza che tra la cessazione della condotta delittuosa, l'inizio della fuga e l'inizio dell'inseguimento non vi è soluzione di continuità ma il tutto avviene nell'ambito di un'unica sequenza temporale, tanto che la Corte giunge a ritenere che la evidenza probatoria dell'inseguimento trovi pur sempre ancoraggio nella diretta percezione della condotta criminale nella immediatezza e attualità del fatto criminoso.

La sentenza in commento conclude il suo percorso argomentativo osservando come la soluzione adottata trovi definitivo avvallo nella Costituzione. Infatti, il testo fondamentale sancisce il carattere eccezionale delle ipotesi di privazione della libertà personale ad iniziativa dell'autorità di Polizia, senza un provvedimento dell'autorità giudiziaria (art. 13, comma 3, Cost.). Tale carattere eccezionale impone di interpretare restrittivamente le disposizioni codicistiche in tema di arresto, in quanto derogatorie rispetto al principio che incentra nella sola autorità giudiziaria il potere di disporre misure incidenti sulla libertà delle persone. L'eccezionalità dell'arresto in flagranza – osservano i giudici di legittimità – si rinsalda alla considerazione che la privazione della libertà ad opera della Polizia giudiziaria ovvero, nei casi ammessi, da parte del privato, trova ragionevole giustificazione nella constatazione (da parte di chi procede all'arresto) della condotta del reo, nell'atto stesso della commissione del delitto, ovvero diretta percezione di condotte e situazioni personali dell'autore del reato, immediatamente correlate alla perpetrazione e obbiettivamente rivelatrici della colpevolezza; sicché appare assai remota (e praticamente esclusa) la eventualità di ingiustificate privazioni della libertà personale.

Osservazioni

Lo stato di flagranza è definito dall'art. 382 c.p. facendo riferimento alla situazione di chi viene colto nell'atto di commettere il reato oppure di chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone o, infine, di chi è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima.

Le ultime due ipotesi sono tradizionalmente definite di quasi flagranza e nell'attuale disciplina sono state equiparate all'ipotesi di flagranza. È evidente che nei casi di quasi flagranza ci si trova in situazioni di fictio iuris, poiché le stesse non presentano quelle caratteristiche di piena evidenza probatoria tipiche della flagranza vera e propria.

Rispetto alla disciplina previgente (art. 237 c.p.p. del 1930), la locuzione poco prima è stata sostituita dalla locuzione immediatamente prima e la locuzione immediatamente dopo è stata sostituita dalla locuzione subito dopo. L'intento del Legislatore era quello di eliminare le ambiguità della formulazione previgente, scongiurando il rischio di interpretazioni estensive ma in dottrina e in giurisprudenza non è chiaro se si tratti di una variante puramente formale oppure sostanziale, tale cioè da restringere il lasso di tempo intercorrente tra la commissione del reato e la “sorpresa” con cose o tracce.

Per quanto riguarda la giurisprudenza, mentre alcune pronunce, più risalenti, ritengono che l'attuale definizione dello stato di flagranza, pur con diversa terminologia, riproponga, nella sostanza, quella del previgente codice di rito (cfr. Cass. pen., Sez. I, 15 ottobre 1992, n. 3318; Cass. pen., Sez. II, 19 aprile 1993, n. 2031; Cass. pen., Sez. V, 4 febbraio 1992, n. 2105; Cass. pen., Sez. I, 5 marzo 1991, n. 159, in Riv. pen., 1991, p. 998; Cass. pen., Sez. I, 14 marzo 1990, n. 402, in Cass. pen., 1990, p. 344; Cass. pen., Sez. I, 20 febbraio 1990, n. 420, in Cass. pen., 1991, p. 345, in Foro It., 1990, c. 420), in altre, più recenti, sentenze si ritiene che la nuova formulazione innovi significativamente la disciplina della flagranza nella parte che si riferisce al rinvenimento di cose o tracce: nel vecchio testo queste dovevano riferirsi ad un reato commesso poco prima, laddove nel nuovo testo il riferimento è ad un reato commesso immediatamente prima (cfr. Cass. pen., Sez. V, 19 aprile 1993, n. 590; Cass. pen., Sez. V, 5 aprile 1993, n. 798, in Foro it., 1994, c. 160; Cass. pen., Sez. I, 17 aprile 1992, n. 1379).

La nuova formulazione postula che sia riscontrabile una stretta contiguità fra la commissione del fatto e la successiva sorpresa del presunto autore di esso, come è reso manifesto dal senso proprio dell'avverbio utilizzato, che contiene in sé l'idea del susseguirsi degli eventi senza alcun intervallo (cfr. Cass. pen., Sez. I, 14 aprile 1993, n. 766).

Per quanto attiene alla dottrina, mentre alcuni autori hanno ritenuto che la nuova formulazione sia priva di ricadute sostanziali, data la difficoltà di rinvenire una reale differenziazione semantica fra le espressioni immediatamente dopo e subito dopo, da un lato, e immediatamente prima e poco prima, dall'altro, altri commentatori sostengono, invece, che l'attuale disciplina abbia eliminato la distinzione fra flagranza e quasi flagranza in favore di una più precisa ed ampia definizione del concetto di percezione in ordine alla contestualità del fatto costituente reato.

Ad avviso di chi scrive, pur nella consapevolezza della difficoltà di adottare soluzioni basate sull'uso di vocaboli dotati di un ampio coefficiente di elasticità semantica, la nuova formulazione adottata dal codice del 1988 manifesta l'intenzione legislativa di legare gli eventi costitutivi della quasi flagranza con un vincolo più stringente, che non ammette soluzioni di continuità nella successione temporale degli accadimenti.

Tale scelta legislativa è imposta da un quadro costituzionale che circoscrive a casi eccezionali le ipotesi in cui l'autorità di polizia può limitare la libertà personale prima dell'intervento della magistratura. Al fine di ridurre al minimo i rischi di una ingiustificata restrizione delle libertà della persona, il codice àncora il potere coercitivo degli organi di polizia a situazioni di evidenza probatoria che rendono altamente probabile la commissione del fatto da parte dell'arrestato e quindi la necessità ed urgenza di operare la misura precautelare.

In tale ottica, l'inseguimento dell'autore del reato può essere assimilato alla percezione diretta dell'azione criminosa da parte degli autori dell'arresto solo se l'inseguimento segue l'azione criminosa senza soluzione di continuità. Viceversa, se l'arresto si basasse sulla percezione di testimoni o sulle dichiarazioni confessorie rese dallo stesso arrestato, la privazione della libertà non troverebbe fondamento nella percezione diretta dei fatti, bensì su un apprezzamento di elementi probatori estranei alla ratio dell'istituto.

Del resto, non deve dimenticarsi che la convalida dell'arresto in flagranza di reato integra il presupposto per azionare il giudizio direttissimo, la cui drastica contrazione dei diritti difensivi trova giustificazione in una situazione di evidenza probatoria qualificata. Qualora si accedesse a interpretazioni della quasi flagranza che ne dilatino la figura fino a ricomprendervi le ipotesi di cattura del reo a seguito di una sollecita attività investigativa e di ricerca, si rischierebbe di dare ingresso ad un rito contratto sulla base di piattaforme probatorie assimilabili a quelle che sorreggono il giudizio ordinario, con evidente frizione con i principi costituzionali in tema di giusto processo (art. 100 Cost.), se non anche con quello di uguaglianza (art. 3 Cost.).

Guida all'approfondimento

TRINCI - VENTURA, Il giudizio direttissimo, Giuffrè, 2013

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