Arruolamento con finalità di terrorismo. Il confine del tentativo punibile e il concetto di “serio accordo”

Angelo Valerio Lanna
10 Novembre 2015

Il termine arruolamento, adoperato dal legislatore nel testo dell'art. 270-quater c.p., deve essere inteso non quale espressione dell'ingresso formale in un ruolo propriamente inteso, ossia dell'effettivo inserimento del soggetto arruolato in formazioni di tipo militare, che siano gerarchicamente organizzate, bensì come avvenuto perfezionamento di un serio accordo tra i soggetti.
Massima

Il termine arruolamento, adoperato dal legislatore nel testo dell'art. 270-quater c.p., deve essere inteso – diversamente da quanto accade in relazione al dettato dell'art. 244 c.p. (atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra) - non quale espressione dell'ingresso formale in un ruolo propriamente inteso, ossia dell'effettivo inserimento del soggetto arruolato in formazioni di tipo militare, che siano gerarchicamente organizzate, bensì come avvenuto perfezionamento di un serio accordo tra i soggetti.

Tale accordo rappresenta già l'evento del reato, laddove esso mostri i caratteri della autorevolezza, credibilità e concretezza della proposta, nonché della fermezza della volontà di aderire al progetto. Deve inoltre risultare evidente la doppia finalizzazione voluta dalla norma (consistente nel compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio). Nulla osta quindi che – nell'ambito dello snodarsi progressivo di contatti, che possono culminare nella formazione del serio accordo nei termini sopra esposti – sia possibile individuare elementi aventi crismi di concludenza tali da configurare un tentativo punibile.

Il caso

Un soggetto di nazionalità albanese viene assoggettato a provvedimento restrittivo della libertà personale, in quanto ritenuto gravemente indiziato della condotta di tentativo di arruolamento perpetrata nei confronti di un minore. Le intese intercorse tra i soggetti concernono il possibile inserimento di quest'ultimo nelle schiere del gruppo denominato Stato Islamico; tale inserimento avrebbe dovuto essere teleologicamente indirizzato – stando appunto agli accordi desumibili dagli elementi di valutazione e conoscenza emersi – verso una partecipazione dell'arruolato al conflitto armato in atto in Siria, mediante la perpetrazione di atti connotati da una finalità terroristica di matrice islamica.

Gli elementi posti dal Gip a fondamento della misura cautelare si compendiano sostanzialmente in intercettazioni telefoniche ed ambientali, nelle quali sono condensate sia conversazioni intrattenute dall'indagato con il minore, sia dialoghi verificatisi tra quest'ultimo ed alcuni congiunti. Un parente dell'arrestato, inoltre, è ritenuto essere un soggetto ormai stabilmente inserito all'interno di una cellula terroristica. La qualificazione operata dal Gip, in termini di tentativo di arruolamento, trae origine quindi dal ripensamento operato dal minore, il quale infine non viene effettivamente inserito nella struttura operativa.

Il tribunale del riesame annulla l'ordinanza applicativa della misura cautelare, dubitando proprio della configurabilità giuridica del tentativo di arruolamento.

La questione

Nella fattispecie, occorre quindi esplorare la possibilità di individuare l'esistenza di un tentativo punibile, in relazione al modello legislativo ex art. 270-quaterc.p.

Si tratta quindi di verificare la ipotizzabilità di un tentativo di arruolamento, figura resa in verità difficoltosa dalla struttura stessa della norma, la quale tipizza una condotta resa peculiare dalla evidente anticipazione della tutela apprestata ai beni giuridici protetti. Le fattispecie penali dettate in tema di terrorismo, infatti, sono prevalentemente costruite alla stregua di reati di pericolo concreto.

Le soluzioni giuridiche

Il Gip emittente, come detto, ritiene configurabile il tentativo nel delitto in esame.

Fonda tale conclusione sull'assunto che lo stadio raggiunto dalle intese intercorse tra l'indagato – nella veste di selezionatore – ed il minore in procinto di inserirsi nella struttura terroristica, avessero già oltrepassato la soglia del tentativo punibile. Ciò in riferimento alla non equivocità delle conversazioni intercettate, oltre che alla sicura idoneità degli atti, evincibile quest'ultima dalla attitudine dimostrata dall'indagato – come detto, strettamente imparentato con esponenti del gruppo terroristico – a farsi promotore dell'illecita collocazione nella struttura clandestina. Sembra poi pacifico che tale inserimento non si sia materialmente concretizzato, a causa di una diversa ponderazione operata da parte del minore da arruolare.

Il tribunale del riesame, come accennato, manifesta invece perplessità in ordine alla configurabilità stessa del tentativo di arruolamento, in ragione della morfologia assunta dalla norma quale reato di pericolo; il tentativo, secondo tale impostazione concettuale, comporterebbe dunque una ulteriore inammissibile anticipazione della soglia della punibilità.

Osservazioni

Occorre in via preliminare rimarcare come il termine arruolamento - secondo l'accezione adoperata dal legislatore - debba essere generalmente inteso in maniera più circoscritta, rispetto alla parola reclutamento, di cui all'art. 4 della l. 210 del 1995 (che recepisce nell'ordinamento italiano l'art. 3 della Convezione internazionale adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 4 dicembre 1989). Stando alla soluzione interpretativa qui scelta dal supremo Collegio, il concetto di arruolamento non può quindi che richiamare l'esistenza di una sorta di ingaggio, inteso alla stregua del raggiungimento di un serio accordo tra soggetto che propone (il compimento, in forma organizzata, di più atti di violenza ovvero di sabotaggio con finalità di terrorismo) e soggetto che aderisce.

Il momento consumativo del reato deve dunque essere collocato in una fase più avanzata, rispetto a quello della mera proposta o trattativa; la norma postula infatti esclusivamente il raggiungimento del serio accordo – da intendersi appunto quale evento del reato - qualificato dalla doppia finalità di violenza o di sabotaggio con finalità terroristica prevista dalla norma incriminatrice.

Una volta identificato l'evento del reato nel senso suddetto, risulta secondo la Corte agevolmente configurabile il tentativo, laddove si sia in presenza di una progressione nell'attività di promozione e realizzazione dell'accordo, che si presenti tale da raggiungere la soglia minima della punibilità.

Giova sottolineare come il legislatore (art. 15, comma 1, d.l. 27 luglio 2005, n. 144, conv. con mod. in l. 31 luglio 2005, n. 155 e art. 1, comma 1, d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, conv., con mod. in l. 17 aprile 2015, n. 43, che ha reso la fattispecie in esame un delitto necessariamente plurisoggettivo, prevedendo la punibilità anche del soggetto arruolato) abbia inteso qui introdurre una norma ispirata al nuovo scenario internazionale, che appare caratterizzato da una crescita esponenziale e da una rinnovata aggressività delle aggregazioni terroristiche. Queste sono in gran parte germinate in paesi islamici, sconvolti da guerre e da profondissime crisi economiche e sociali. La capillare capacità diffusiva, ormai consentita dalla universale diffusione dei mezzi di comunicazione e dalla tecnologia oggi disponibile, ne hanno poi comportato l'espandersi frenetico ed apparentemente inarrestabile.

Si è pertanto reso necessario procedere ad un arretramento della soglia di punibilità, onde contrastare l'allarme determinato dall'attività di reclutamento di persone dotate di una specifica attitudine a compiere atti tali, da porre in pericolo la sicurezza pubblica.

La scelta di politica criminale alla base di tale estensione della punibilità è quindi – con tutta evidenza - ispirata all'esigenza di potenziare la attitudine preventiva della norma, la quale consente ora la repressione anche di condotte solo preparatorie, rispetto a fatti di natura terroristica. Il legislatore ha in tal modo inteso colpire il fenomeno dei c.d. foreign fighters, (definibili, in generale, come combattenti stranieri che – sposando la lotta della jihad – si muovono dai Paesi di rispettiva provenienza, per raggiungere le zone che sono teatro dei più cruenti conflitti interetnici e religiosi, prevalentemente in area medio-orientale).

La condotta punita consiste dunque nel fatto di arruolare una o più persone.

La norma pretende cioè che il soggetto attivo debba adoperarsi per inserire uno o più soggetti all'interno di una pur rudimentale struttura, ossia verificare le caratteristiche personali di ciascuno e la rispettiva attitudine al compimento di determinati atti; poi scegliere quelli potenzialmente più adatti allo scopo ed inserirli, iscriverli in una struttura, in una milizia o gruppo comunque denominati. La figura tipica dunque richiede il compimento di una attività di proselitismo e di propaganda – ovviamente destinata ad esplicarsi in maniera occulta e clandestina – che sia finalizzata all'individuazione di soggetti adatti allo scopo ed al loro inserimento in cellule anche minimali, frazionate sul territorio, atomisticamente strutturate.

Il compimento degli atti di violenza o sabotaggio – che rappresentano lo scopo precipuo dell'attività di arruolamento e che fungono chiaramente da linea di discrimine, rispetto ad una mera adesione ideologica, intima, concettuale, priva di addentellati con la perpetrazione di fatti oggettivamente percepibili – può poi avvenire anche in territorio estero. Il dettato normativo, sul punto, è estremamente chiaro. Le attività violente qui punite possono infatti rivolgersi, genericamente, anche contro uno Stato estero (e quindi, pacificamente, anche contro quello italiano), ossia contro strutture, popolazione, edifici, dotazioni di qualsivoglia genere, ovunque ubicati, ed anche essere perpetrate in danno di istituzioni o organismi internazionali (di qualsiasi tipo essi siano, quindi politici, ma anche operanti nel settore dell'assistenza e della solidarietà, così come della sanità, del commercio, etc.).

La soluzione per la quale opta la Cassazione è rappresentata, come detto, dall'individuazione dell'evento del reato nella concretizzazione di un accordo definito serio, ossia affidabile per concludenza delle intese e dei contatti, nonché in ragione della credibilità della proposta, che sia finalizzato al compimento delle attività indicate dalla norma. Il serio accordo, infatti, funge già da elemento in grado di potenziare le attitudini lesive del gruppo terroristico.

Così ricostruita la oggettività della norma, non vi è chi non rilevi come si pongano notevoli problemi di demarcazione della stessa.

La grande sfida interpretativa risiederà infatti – in sede applicativa – nella individuazione di condotte che si vadano ad inserire fattivamente nella progressione criminosa (ossia nella fase della promozione e dello sviluppo degli accordi), che siano dotate di serietà ed affidabilità e che oltrepassino realmente il confine del tentativo punibile. Con l'ovvia correlata difficoltà – che la Cassazione, nella decisione in commento, rimarca con chiarezza, laddove richiama la palese esistenza di complessità probatorie – che è insita nella necessità di distinguere gli atti materialmente percepibili, univocamente diretti ed in concreto idonei al raggiungimento del serio accordo, rispetto alla mera attività di propaganda e di pur odioso proselitismo. La quale ultima attività resterà invece sussumibile entro l'alveo della libera manifestazione del pensiero.

Percorso valutativo che non potrà prescindere da una ponderazione probatoria estremamente rigorosa ed attenta; dall'individuazione in concreto, sia dell'esistenza di una pur elementare forma associativa terroristica, sia dei contatti – non meramente ipotetici, ma effettivi e di natura materialmente valutabile – tra il proponente e tale cellula. Tale aggancio oggettivo consentirà – conformemente all'insegnamento del supremo Collegio sopra riassunto – di reputare provata la fondata possibilità che il serio accordo sopra detto concerna davvero l'inserimento dell'arruolato in una struttura terroristica. Consentirà dunque, in ultima analisi, di delimitare il delitto consumato dal tentativo e quest'ultimo dalla semplice espressione di opinioni essenzialmente fini a sé stesse.

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