La “controriforma” cautelare della Cassazione

11 Febbraio 2016

In tema di applicazione di una misura cautelare personale l'onere di motivazione a carico del giudice è osservato anche quando il giudice riporti le acquisizioni e le considerazioni, svolte dagli investigatori e dal P.M., anche mediante il rinvio per relationem ad altri provvedimenti?
Massima

In tema di applicazione di una misura cautelare personale, l'onere motivazionale, a carico del Gip, in merito all'esposizione e all'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta – con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato – deve essere osservato anche quando il giudice cautelare riporti le acquisizioni, frutto delle attività di polizia giudiziaria, e le considerazioni, svolte al riguardo dagli stessi investigatori e dal P.M., anche mediante il ricorso a stralci della richiesta cautelare o attraverso il rinvio per relationem ad altri provvedimenti (Sent. 840/2016).

Il divieto ex art. 309, comma 9, c.p.p. non è applicabile all'appello cautelare in quanto la disposizione ha carattere eccezionale, ed é quindi insuscettibile di interpretazione analogica. Nelle impugnazioni, come l'appello (anche cautelare), contraddistinte dalla fase rescindente e da quella rescissoria la motivazione del provvedimento impugnato è, di regola, sostituita, nei limiti del devoluto, dalla pronuncia del giudice dell'impugnazione (Sent. 845/2016).

Il caso

Nel primo caso (sent. n. 840/2016) il ricorrente veniva attinto dalla misura cautelare degli arresti domiciliari e contestualmente il Gip dichiarava la propria incompetenza territoriale a favore di quella di altro giudice. Nei confronti della suddetta ordinanza era stata proposta istanza di riesame e il tribunale delle libertà annullava il provvedimento impugnato. Intanto, il Gip di competenza rinnovava la primitiva ordinanza di custodia cautelare, anch'essa impugnata con il riesame e contenente, secondo il ricorrente, i medesimi vizi del provvedimento annullato. Il tribunale del riesame ha ritenuto che la seconda ordinanza contenesse, in verità, una autonoma valutazione dei fatti emersi a carico del ricorrente, avendo il giudice cautelare proceduto ad un esame critico delle argomentazioni poste a sostegno della richiesta cautelare ed aveva dimostrato di avere adeguatamente ponderato la sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza che delle esigenze cautelare.

Il ricorrente articola un unico motivo di gravame, con il quale denuncia la violazione e l'erronea applicazione della legge processuale penale nonché il vizio di contraddittorietà della motivazione (art. 606, comma 1, lett. c) ed e) c.p.p.).

Il ricorrente ritiene che la seconda ordinanza fosse addirittura più carente della prima non avendo rispettato i principi introdotti dalla l. 47 del 2015, nel senso che il provvedimento si sarebbe limitato a richiamare la richiesta cautelare del P.M. senza fornire alcun contributo qualitativo aggiuntivo e senza neppure dimostrare di aver proceduto ad un esame critico delle argomentazioni poste a sostegno della richiesta del P.M.

Nel secondo caso (sent. n. 845/2016) il ricorrente denuncia la violazione e l'erronea applicazione della legge processuale penale nonché il vizio di contraddittorietà della motivazione (art. 606, comma 1, lett. c) ed e) c.p.p.). Viene richiesto, infatti, l'annullamento dell'ordinanza con la quale il tribunale della libertà ha aggravato la misura degli arresti domiciliari con la custodia inframuraria, nella quale viene fatto riferimento all'art. 307 c.p.p., non applicabile nella fattispecie legata alla trasgressione della misura originaria, in quanto il ricorrente era stato trovato presso il proprio domicilio con persona anch'essa sottoposta agli arresti domiciliari. Peraltro, si deduce che il provvedimento risulta carente di una qualsiasi motivazione in ordine all'aggravamento delle esigenze cautelari, posto che l'ordinanza era stata redatta su un foglio prestampato ed è conseguentemente nulla ex art. 125, comma 3, c.p.p., per difetto di motivazione.

La questione

La questione in esame è la seguente: in tema di applicazione di una misura cautelare personale l'onere di motivazione a carico del giudice dell'esposizione e della (autonoma) valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura, è osservato anche quando il giudice riporti le acquisizioni, frutto delle attività di polizia giudiziaria, e le considerazioni, svolte al riguardo dagli stessi investigatori e dal P.M., anche mediante il rinvio per relationem ad altri provvedimenti?

Le soluzioni giuridiche

Con le due decisioni n. 840 e n. 845 del 2016 , la Cassazione affronta le implicazioni della recente riforma della disciplina delle misure cautelari (l. 47 del 2015) in relazione all'onere in capo al giudice dell'autonoma valutazione delle esigenze cautelari, dei gravi indizi, degli elementi addotti dalla difesa, sanzionati a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio (art. 292, comma 2 lett. c) e c-bis) c.p.p.).

Con la prima decisione, la Cassazione affronta, in termini più generali, il tema della motivazione per relationem, con riferimento ad un provvedimento di conferma del giudice competente rispetto ad analogo provvedimento del Gip dichiaratosi incompetente ed annullato dal tribunale del riesame.

Si afferma, in tal caso, che anche a seguito delle disposizioni introdotte dalla l. 47 del 2015 deve ritenersi non vietata nei limiti in cui era consentita dalla giurisprudenza di legittimità, la motivazione per relationem, nella quale si richiedeva, comunque, che il giudice fornisse la dimostrazione di aver preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le avesse meditate e ritenute coerenti con la sua decisione, oltre alla necessità che l'atto quando non fosse allegato o trascritto fosse conosciuto dall'interessato.

Con la seconda decisione, il punto specifico affrontato è quello dell'appello cautelare proposto contro un provvedimento emesso per intervenuta trasgressione delle prescrizioni in quanto materializzato in un foglio prestampato, contenente un riferimento normativo all'art. 307 c.p.p., del tutto inconferente al caso di specie, in cui si richiama la nota del procuratore generale che evidenzia – ai fini dell'aggravamento della misura cautelare – la comunicazione della P.G.

In questo caso, nel rigettare il ricorso, la Cassazione adduce un duplice ordine di argomenti: in primo luogo, a parere della Corte, la decisione del giudice d'appello soddisfa i limiti della motivazione per relationem; in secondo luogo, si sottolinea, come nel giudizio d'appello ex art. 310 c.p.p. non è richiamato l'art. 309, comma 9, c.p.p., ove è previsto il potere di annullamento da parte del giudice del riesame. La norma che ha carattere di eccezione non è suscettibile di interpretazione analogica in quanto deroga al principio generale secondo il quale nelle impugnazioni, come l'appello (anche cautelare), contraddistinte dalla fase rescindente e da quella rescissoria, la motivazione del provvedimento impugnato è, di regola, sostituita nei limiti del devoluto, dalla pronuncia del giudice dell'impugnazione. Nel caso della sufficienza della motivazione, questa, dunque, può essere legittimamente integrata dal giudice dell'impugnazione.

Osservazioni

Quanto alla prima pronuncia, deve dirsi che entrambi provvedimenti – quello emesso dal giudice incompetente e quello successivo del giudice competente – devono essere dotati di un'autonoma motivazione, non essendo consentito al secondo (quello emesso dal giudice competente), ancorché di “conferma”, rimandare alle argomentazioni del primo (v. in senso contrario, v., tuttavia, Cass. pen., Sez. III, 29 gennaio 2015, n. 20568: è legittima la motivazione per relationem dell'ordinanza applicativa della misura cautelare disposta dal giudice competente ai sensi dell'art. 27 c.p.p., purché il rinvio alle valutazioni già espresse dal primo giudice risulti consapevole e consenta il controllo dell' iter logico - giuridico alla base dell'adozione del titolo restrittivo).

Il problema nodale affrontato è, ad ogni modo, un altro. Si constata, infatti, che, nelle motivazioni della giurisprudenza di legittimità, si affronta il problema de quo affermando che la recente riforma del 2015 non ha innovato la materia.

Così, oltre alle menzionate decisioni, il pensiero va anche a Cass. pen., Sez. III, 27 ottobre 2015, n. 49175, la quale ha affermato, in tema di valutazione autonoma e riforma cautelare, l'assenza di novità di quest'ultima.

Si afferma infatti, quanto alla motivazione dei provvedimenti sulla libertà personale, che la normativa introdotta con la legge n. 47/15, nella parte in cui modifica le disposizioni in tema di motivazione delle ordinanze cautelari, di cui agli articoli 292 e 309 c.p.p., non ha carattere del tutto innovativo ma adegua la formulazione delle norme alla preesistente giurisprudenza di legittimità, prevedendosi oggi l'obbligo del giudice del riesame di esercitare il potere di annullamento dell'ordinanza genetica in caso di motivazione mancante/apparente o nel caso in cui la stessa non contenga l'autonoma valutazione, a norma dell'art. 292 c.p.p., delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa.

Ne consegue che, al di fuori di tali ipotesi, resta fermo che la motivazione dell'ordinanza che decide sulla richiesta di riesame, atteso lo stretto collegamento e la complementarietà esistente con quella genetica, integra e completa l'eventuale carenza o insufficienza della motivazione del provvedimento del primo giudice.

Sulla scorta di tali indicazioni sembrerebbe, dunque, che la materia resta regolata dalle Sez. unite, Primavera, 21 giugno 2000, n. 17. Con questa decisione, com'è noto, il supremo Collegio ha affermato che la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando:

  1. faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione;
  2. fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione;
  3. l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione.

Orbene, quanto alla seconda decisione in commento deve rilevarsi che entrambi gli approdi a cui giunge il giudice di legittimità suscitano riserve.

Deve dubitarsi che il riferito provvedimento oggetto (prima) dell'appello soddisfi le esigenze di autonoma valutazione, già deducibile dall'erroneo uso dello stampato dell'art. 307 c.p.p. e non già dell'art. 276 c.p.p., per effetto della conoscenza da parte dell'imputato della nota della polizia giudiziaria.

Parimenti, non è condivisibile l'affermazione relativa all'affermato potere di integrazione della motivazione da parte del giudice d'appello: innanzitutto, anche l'ordinanza cautelare di aggravamento soggiace alle nuove condizioni di cui all'art. 292 c.p.p.; in secondo luogo, altro è integrare una motivazione carente, altro è non invalidare – in relazione ai propri poteri d'ufficio – un atto geneticamente invalido, qual è, per effetto, della modifica di cui alla l. 47 del 2015 quello in discorso.

Per concludere, va, inoltre, sottolineato – criticamente – che il riferito dato giurisprudenziale era pienamente conosciuto dalla Commissione di studio presieduta dal Pres. Canzio, prima, e dal legislatore che ha modificato, fra gli altri, artt. 292 e 309 c.p.p., poi. Se la modifica è stata introdotta la ragione va, dunque, fatta risalire alla volontà di superare quel dictum e non semplicemente a registrarlo normativamente.

Guida all'approfondimento

BONZANO, Nuove norme sulla motivazione: il sistema cautelare in action, in AA. VV., Il nuovo volto della giustizia penale, a cura di Baccari - La Regina - Mancuso, Padova, 2015, 425 SS..;

SPANGHER, Brevi riflessioni sistematiche sulle misure cautelari dopo la l. n. 47 del 2015, in Dir. pen. cont., 6 luglio 2015;

Id., Una piccola riforma della custodia cautelare, in AA. VV., Il nuovo volto della giustizia penale, a cura di Baccari - La Regina - Mancuso, Padova, 2015, 383.

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