La suprema Corte ribadisce la natura sussidiaria della confisca per equivalente

11 Marzo 2016

Se il prezzo ovvero il profitto derivante dal reato è costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia la disponibilità deve qualificarsi come confisca diretta. In tale ipotesi, tenuto conto della particolare natura del bene, non è necessaria la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato.
Massima

Se il prezzo ovvero il profitto derivante dal reato è costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia la disponibilità deve qualificarsi come confisca diretta. In tale ipotesi, tenuto conto della particolare natura del bene, non è necessaria la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato.

In materia di reati tributari, il profitto confiscabile, anche nella forma per equivalente, è costituito qualsivoglia vantaggio patrimoniale che sia conseguito direttamente alla consumazione del reato e, dunque, può consistere anche in un risparmio di spesa come è quello derivante dal mancato pagamento di un tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario.

Il caso

Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Rieti, in data 5 dicembre 2014, ritenendo Tizio responsabile del reato di omesso versamento Iva – art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – disponeva con decreto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, di beni mobili ed immobili fino alla concorrenza dell'importo non versato pari ad € 113.540,00.

Tizio proponeva riesame avverso tale decreto, che veniva respinto con ordinanza dal tribunale di Rieti il 26 febbraio 2015. In progressione difensiva, l'imputato adiva la suprema Corte chiedendo l'annullamento di quest'ultima ordinanza.

La questione

Il ricorso presentato dall'imputato constava di due motivi, il primo dei quali appare meritevole di approfondimento.

Invero, con esso viene eccepita la violazione degli artt. 322-ter c.p. e art. 321, comma 2, c.p.p. poiché, tenuto conto che il mancato versamento Iva per il quale il tribunale procede al sequestro è riferibile alla società di cui Tizio è legale rappresentante, il provvedimento di sequestro non era preceduto dall'accertamento della inesistenza di beni confiscabili di proprietà o comunque nella disponibilità di tale società.

Le soluzioni giuridiche

Non è corretto il principio affermato nell'ordinanza impugnata che, se portato alle sue estreme conseguenze, comporterebbe la sostanziale impossibilità di procedere alla confisca diretta delle somme di denaro versate all'Erario. Deve essere, perciò, ribadito il principio che il profitto del reato può consistere nel risparmio di spesa corrispondente alla somma non versata alla scadenza (o nei beni acquisiti mediante il suo reinvestimento). L'impossibilità di procedere a confisca diretta del profitto costituisce condizione imprescindibile perché si possa procedere a quella per valore, come si evince dal tenore testuale dell'art. 322 ter c.p..

L'argomento interseca il tema relativo al discrimine tra confisca diretta e di valore, ponendo sul piano anche il rapporto tra la persona fisica (imputato del reato di omesso versamento dell'Iva) e la persona giuridica (terza, beneficiante del risparmio di spesa).

Osservazioni

La pronuncia della suprema Corte, condivisibile perché coniuga il principio affermato dalle Sezioni unite nella sentenza Lucci del luglio 2015 (con opportune tracce dei principi esposti nella sentenza Gubert della medesima composizione della Corte di legittimità) con la struttura dell'art. 322-ter c.p., cristallizza una sorta di decalogo comportamentale nel caso in cui si intenda procedere al sequestro per equivalente.

Come noto, nella sentenza appena citata, le Sezioni unite pongono un punto fermo nel pendolarismo esegetico inerente la natura da riconoscere al denaro, allorquando esso, nel caso di reati tributari, rappresentasse il profitto del reato. Invero, in base ad un primo orientamento, si riteneva che non si potesse procedere all'ablazione delle somme quale diretto profitto del reato, data la sua natura fungibile. Tale sua caratteristica impediva la materiale individuazione proprio del profitto del reato. Da tale assunto derivava la possibilità di procedere con la misura nella forma vicaria di valore, essendosi consumata la condizione imposta (pur senza sanzione) dall'art. 322-ter c.p., in virtù del quale la confisca per equivalente opera soltanto nel caso in cui non si sia potuto aggredire il bene direttamente accresciuto dal reato. Soluzione interpretativa che, se da un lato limitava le potenzialità della confisca diretta (e, per essa, del propedeutico sequestro), dall'altro ampliava la portata di quella di valore (ivi compresa la misura cautelare reale). Il corollario che ne derivava, nelle ipotesi in cui fosse contestato un reato tributario alla persona fisica ma con il vantaggio patrimoniale realizzatosi nelle casse della società, era che a subire il congelamento finalizzato alla ablazione definitiva fosse solo l'imputato e non l'ente che, in effetti, aveva ottenuto il lucro illecito.

A detto assetto interpretativo si è contrapposta altra opzione ricostruttiva, enunciata dapprima nella sentenza Gubert e poi rimodulata dalla sentenza Lucci, in virtù della quale la confisca di una somma di denaro, proprio perché bene fungibile, va intesa quale forma di confisca diretta e non per equivalente, non occorrendo, quindi, la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato. Difatti, qualora il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell'autore del fatto e perde di autonomia nella sua identificabilità fisica. Ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell'interesse del reo (cfr., Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2015, Lucci, n. 31617).

L'inversione di tendenza appare in tutta la sua evidenza e cagiona un effetto opposto rispetto a quanto provocato dalla prima ricostruzione sistematica: si dilata la confisca diretta e si restringe quella di valore. Principio che parrebbe meritevole di adesione se non vi fosse la sensazione che si sia soltanto trovato lo strumento – di creazione pretoria – per rendere più aggressive e meno vincolate le iniziative reali.

Con la pronuncia in esame, la suprema Corte compie un ulteriore passo in avanti nell'interpretazione dell'art. 322-ter c.p., rispolverando la cogenza (per anni negata o bypassata con espedienti interpretativi di discutibile spessore) di un ordine di aggressione ben rinvenibile nella norma appena indicata.

In effetti, la disposizione di riferimento, nel microcosmo della misura di valore, è proprio l'art. 322-ter c.p., in base al quale, la confisca (e, dunque, il sequestro anticipatorio) per equivalente subentra nella scena delle iniziative reali solo quando non è possibile eseguire la misura attingendo direttamente i beni che ne costituiscono il profitto.

Viene, dunque, attribuita alla confisca per equivalente una natura sussidiaria volta ad intervenire solo nei casi in cui l'espropriazione da parte dello Stato dei beni che costituiscono il profitto del reato non sia possibile, vale a dire quando i beni da confiscare non siano materialmente apprensibili o non possano essere staggiti per ragioni inerenti la natura stessa del profitto.

Nel corso degli anni, si è assistito ad un atteggiamento teso a rendere evanescente tale natura sussidiaria. E ciò perché, in un contesto giuridico che impediva la confisca diretta nel caso in cui il vantaggio illecito era costituito da un risparmio di spesa per il mancato versamento di imposte o da un arricchimento derivante da indebiti rimborsi, era, infatti, più semplice ricorrere alla confisca per equivalente di beni mobili ed immobili di proprietà del legale rappresentante della società.

Con la pronuncia in analisi, la suprema Corte rimedita sulla littera legis, puntualizzando che si potrà ricorrere alla confisca per equivalente soltanto laddove non sia possibile effettuare la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato e ridonando, così, all'inciso – ovvero quando essa non è possibile – la sua pregnanza originaria. Ciò significa che si dovrà provvedere ad un'attenta ricerca del prezzo o del profitto del reato e, qualora individuato, effettuare la confisca diretta, solo nel caso in cui ciò non sia possibile si potrà procedere a confisca per equivalente.

Intervento apprezzabile ma macchiato dalla considerazione che esso è generato dalle nuove potenzialità applicative della confisca diretta, in base alle quali si possono aggredire i denari della società in via diretta.

Appare evidente, dunque, che l'esame del principio di diritto vada effettuato alla luce del rinnovato sistema delineato dalla doppia pronuncia delle Sezione unite.

Il saldo delle richiamate operazioni pretorie può, tuttavia, dirsi positivo se, in base ad esso, si giunge al risultato di sequestrare e confiscare i beni alle casse della società che ha tratto concretamente vantaggio, piuttosto che alle tasche del legale rappresentante.

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