La presenza di un figlio minore non impedisce l'espulsione per ragioni di sicurezza

Andrea Bigiarini
11 Luglio 2017

La presenza di un figlio minorenne che ha superato i sei mesi di vita non può impedire l'espulsione per ragioni di sicurezza. L'esigenza di una adeguata disciplina di gestione dei flussi migratori, soddisfatta anche attraverso l'espulsione dal territorio nazionale di un soggetto pericoloso o comunque ...
Massima

La presenza di un figlio minorenne che ha superato i sei mesi di vita non può impedire l'espulsione per ragioni di sicurezza. L'esigenza di una adeguata disciplina di gestione dei flussi migratori, soddisfatta anche attraverso l'espulsione dal territorio nazionale di un soggetto pericoloso o comunque irregolare sotto il profilo amministrativo, verrebbe tout court vanificata dalla necessità di mantenere comunque integro il rapporto familiare genitori/figlio, anche allorquando l'età di quest'ultimo consentirebbe, invece, di concedere priorità alla diversa esigenza di carattere pubblico.

Il caso

Il Gip del tribunale di Ascoli Piceno ordina l'espulsione dal territorio dello Stato di un cittadino straniero, a pena espiata per plurimi delitti di cui all'art. 73 T.U. stupefacenti, in quanto soggetto pericoloso. Ciò, in applicazione dell'art. 86 del T.U. citato (rubricato espulsione dello straniero condannato), ai sensi del quale lo straniero condannato per uno dei reati previsti, tra gli altri, dall'art. 73 d.P.R. 309 del 1990, a pena espiata deve essere espulso dallo Stato, una volta che il giudice abbia accertato la sussistenza in concreto della pericolosità sociale dello stesso (in virtù dell'intervento integratore della sentenza della Corte costituzionale n. 58 del 1995).

Avverso tale provvedimento l'interessato propone ricorso per cassazione, adducendo la mancata valutazione di plurimi elementi ostativi all'espulsione dal territorio dello Stato, ricavabili dall'art. 19, comma 2, lett. c) e d) del d.lgs. 286 del 1998, quali la presenza di legami familiari con il fratello cittadino italiano ed il rapporto di convivenza con il figlio minore d'età.

La questione

A mente dell'art. 19, comma 2, d.lgs, 286/1998, non è consentita l'espulsione nei confronti:

  • degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana (lett. c));
  • delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono (lett. d)).

Atteso che l'accertamento della convivenza di cui alla lett. c) attiene al fatto, la questione giuridica fondamentale che si pone all'attenzione dei giudici di legittimità concerne l'ambito di applicazione della successiva lett. d). In proposito, è appena il caso di precisare che, per effetto di una sentenza additiva della Corte costituzionale (n. 376 del 27 luglio 2000), il divieto di espulsione è stato esteso al marito convivente della donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio.

Posto che il figlio del ricorrente aveva superato i sei mesi di vita alla data del provvedimento di espulsione, il dato problematico concerne la possibilità di interpretare estensivamente il dictum della Corte costituzionale sino a ricomprendervi altresì il figlio minore tout court: ciò che condurrebbe ad allargare ulteriormente i confini della norma ostativa all'espulsione.

Le soluzioni giuridiche

Sulla questione giuridica da ultimo tratteggiata, la Corte di cassazione nega recisamente che una simile operazione ermeneutica – di estensione del campo di applicazione dell'art. 19, comma 2, lett. d) d.lgs. 286/1998 – possa essere ragionevolmente effettuata: ed infatti, è chiara la lettera della norma, che prevede una deroga all'espulsione nel solo caso in cui il figlio non abbia superato i sei mesi di vita. La ratio della disposizione citata è da ravvisare nella particolare tutela apprestata dal Legislatore nei confronti della madre e del bambino nel delicato periodo successivo alla nascita dello stesso.

Neppure può operarsi una lettura estensiva della sentenza n. 376 del 2000 della Corte costituzionale, la quale, in virtù di un principio di paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all'educazione della prole, senza distinzione e separazione dei ruoli tra uomo e donna ma con reciproca integrazione di essi, ha esteso il divieto di espulsione al marito convivente della donna incinta o della donna che abbia partorito da non oltre sei mesi. Ciò, alla luce dell'essenzialità della presenza del padre nel delicato periodo preso in considerazione dal Legislatore. In questi casi, e solo in questi casi, le esigenze securitarie cedono il passo alle esigenze di tutela della prole.

Ne consegue che un'interpretazione fedele alla lettera e alla ratio della norma non può portare ad un'estensione della stessa fino a ricomprendervi l'ipotesi di convivenza – peraltro, tutt'altro che certa nel caso in esame – con il figlio minore tout court. Non sempre, infatti, le esigenze di sicurezza pubblica possono essere sopravanzate dalle, pur meritevoli, esigenze di tutela dei soggetti minori o dell'unità familiare.

Ed infatti, conclude la Corte, «l'esigenza di una adeguata disciplina di gestione dei flussi migratori, soddisfatta anche attraverso l'espulsione dal territorio nazionale di un soggetto pericoloso o comunque irregolare sotto il profilo amministrativo, verrebbe tout court vanificata dalla necessità di mantenere comunque integro il rapporto familiare genitori/figlio, anche allorquando l'età di quest'ultimo consentirebbe, invece, di concedere priorità alla diversa esigenza di carattere pubblico».

Merita un cenno, infine, la manifesta infondatezza dell'ulteriore motivo di ricorso addotto dall'interessato, afferente alla sussistenza di legami familiari con il fratello cittadino italiano. I giudici di legittimità, sul punto, si limitano a sottolineare che, ai fini dell'applicazione della deroga all'espulsione di cui alla lett. c) dell'art. 19 citato, occorre il requisito della convivenza, viceversa essendo irrilevante la presenza di meri legami familiari – secondo la prospettazione del ricorrente – nel territorio dello Stato.

Osservazioni

L'art. 19 d.lgs. 286/1998 disciplina i divieti di espulsione e di respingimento degli stranieri (non cittadini Ue). Al primo comma sono previsti due divieti assoluti di espulsione o respingimento: a) verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali; b) verso uno Stato in cui lo straniero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione. Al secondo comma sono enumerati altri divieti di espulsione (non di respingimento), viceversa suscettibili di deroga nei casi di cui all'art. 13, comma 1, d.lgs. 286/1998, e cioè allorquando l'espulsione sia disposta dal Ministro dell'interno, previa notizia al Presidente del Consiglio ed al Ministro degli affari esteri, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato.

Come ampiamento premesso, la sentenza oggetto di commento si concentra sulla sussistenza nel caso di specie di due di questi divieti (c.d. relativi), e segnatamente sul divieto di espulsione:

  • degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana, ai sensi dell'art. 19, comma 2, lett. c);
  • delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono, ai sensi dell'art. 19, comma 2, lett. d).

Per quanto concerne il primo divieto, come anticipato, centrale è il concetto di convivenza: la norma, volta a tutelare il diritto all'unità familiare dei cittadini italiani e dei loro familiari, subordina l'inespellibilità dello straniero alla condizione dell'effettività della convivenza con il coniuge o con il parente entro il secondo grado, che siano cittadini italiani. È appena il caso di sottolineare, in proposito, che la sussistenza di tale requisito, da accertare a cura dell'amministrazione, fonda altresì il diritto dello straniero ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari, ai sensi dell'art. 28, comma 1 d.P.R. 394/1999.

Per quanto riguarda il secondo divieto, la ratio è da ravvisare nella tutela delle donne in stato di gravidanza e dei loro figli nell'immediatezza della nascita. Con la citata sentenza n. 376 del 2000 la Corte costituzionale ha esteso l'applicabilità – in via temporanea – del divieto anche al marito convivente: «alla famiglia deve essere riconosciuta la più ampia protezione ed assistenza, in particolare nel momento della sua formazione ed in vista della responsabilità che entrambi i genitori hanno per il mantenimento e l'educazione dei figli minori». Sulla scia di tale illustre precedente, la giurisprudenza ha dovuto affrontare l'ulteriore problema dell'estensibilità del principio di diritto sopra delineato al convivente more uxorio della donna straniera in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. Sul punto, la giurisprudenza è granitica nell'affermare che la convivenza more uxorio non rientra tra le ipotesi tassative di divieto di espulsione di cui all'art. 19 d.lgs. 286/1998, le quali, essendo previste in deroga alla regola generale dell'obbligo di espulsione nelle fattispecie contemplate dall'art. 13 del medesimo testo legislativo, non sono suscettibili di interpretazione analogica o estensiva (Cass. civ.,Sez. I, 23 luglio 2004, n. 13810). La questione è stata altresì affrontata – e dichiarata manifestamente infondata – dalla Corte costituzionale, la quale ha sancito l'irrilevanza della convivenza more uxorio del padre del nascituro con la donna in stato di gravidanza, non solo e non tanto per le particolari tutele che circondano l'istituto della famiglia fondata sul matrimonio, ma soprattutto perché, in mancanza di matrimonio, non opera la presunzione di paternità (Corte cost. n. 444 del 2006).

Conclusivamente, si può rilevare come un ragionamento non dissimile da quello operato dalla giurisprudenza citata è sotteso anche alla sentenza in commento, laddove il divieto di cui alla lett. d) dell'art. 19 d.lgs. 286/1998, ancorché ampliato nel proprio ambito di applicazione dall'intervento della Consulta, è pur sempre interpretato in chiave di eccezione alla regola dell'espulsione. Ne consegue che, de iure condito, la lettera della legge non può subire ulteriori “torsioni” esegetiche, in nome di una non meglio precisata tutela del minore tout court: ciò, alla luce della precisa volontà del Legislatore, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, di fare prevalere le esigenze di tutela dell'unità familiare su quelle della sicurezza pubblica esclusivamente nei casi tassativamente previsti dalla legge.

Guida all'approfondimento

TORIELLO, Espulsione del padre durante la gravidanza: la Consulta allinea la legge sugli stranieri ai “principi fondamentali”, in Familia, 2001, 1160

DEGL'INNOCENTI, Stranieri irregolari e diritto penale, Giuffrè ed., 2011

SAVIO (a cura di), Codice dell'immigrazione, Rimini ed., 2014

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