Quel “pasticciaccio brutto” di piazza Cavour. Le Sezioni unite sul riformato riesame cautelare reale

12 Aprile 2016

Le Sezioni unite della Cassazione sono state chiamate ad pronunciarsi sul significato da attribuire alla previsione di cui al comma 7 dell'art. 324 c.p.p., ove si prevede che nel procedimento di riesame delle misure cautelari reali si applicano le disposizioni dell'art. 309, commi 9, 9-bis e 10. La formulazione della previsione è conseguente alla modifica di cui all'art. 11 della l. 47 del 2015.

Anche con la nuova Presidenza continua il momento negativo delle Sezioni unite della Cassazione in materia di processo penale. Dopo le sentenze Papola (in tema di divieto della reformatio in peius), Sandomenico (in materia di interrogatorio di garanzia), Maresca (relativamente al rito in Cassazione sui ricorsi cautelari reali), la sentenza Capasso del 31 marzo 2016 (v. LETO, Procedimento di riesame. L'art. 324, comma 7, c.p.p. dopo la riforma cautelare: rinvio statico o dinamico?) conferma un significativo deficit di cultura scientifica e dogmatica.

Il problema che il Collegio riunito era chiamato ad affrontare riguardava il significato da attribuire alla previsione di cui al comma 7 dell'art. 324 c.p.p., ove si prevede che nel procedimento di riesame delle misure cautelari reali si applicano le disposizioni dell'art. 309, commi 9, 9-bis e 10. La formulazione della previsione è conseguente alla modifica di cui all'art. 11 della l. 47 del 2015. Il testo precedente era così formulato: si applicano le disposizioni dell'articolo 309 commi 9 e 10.

Per una miglior comprensione del problema è necessario riportare anche il testo del comma 10 dell'art. 309 c.p.p., prima delle modifiche introdotte dalla nuova legge e quello dei commi 9-bis e 10 dell'art. 309 c.p.p. come modificato dalla citata l. 47 del 2015.

Con la prima previsione (art. 309, comma 10, c.p.p. prima della riforma) si affermava che se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame non interviene entro il termine prescritto, l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia.

Con il comma 9-bis dell'art. 309 c.p.p. riformato si afferma che su richiesta formulata personalmente dall'imputato entro due giorni dalla notificazione dell'avviso, il tribunale differisce la data dell'udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi. In tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito dell'ordinanza sono prorogati nella stessa misura.

Il nuovo comma 10 dell'art. 309 c.p.p. dispone che se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame o il deposito dell'ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini prescritti, l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata. L'ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione.

Con la citata sentenza del 31 marzo 2016 delle Sezioni unite, come emerge dall'indicazione provvisoria della stessa Cassazione, si è deciso – per quanto qui rileva – che il rinvio dell'art. 324, comma 7, ai commi 9 e 9-bis dell'art. 309 c.p.p. comporta per un verso l'applicazione integrale della disposizione di cui al comma 9-bis e, per altro verso, l'applicazione della disposizione del comma 9 in quanto compatibile con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l'autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa

Con specifico riferimento al comma 10 dell'art. 309 c.p.p. si è affermato che il rinvio contenuto all'art. 324, comma 7, deve intendersi, invece, riferito alla formulazione codicistica originaria di quest'ultimo. Cioè, per il riesame delle misure cautelari reali, opererebbe ancora la previsione introdotta dalla l. 332 del 1995.

Riservandoci di ritornare in argomento dopo il deposito della motivazione, alcune considerazioni possono essere ugualmente fin da ora sviluppate.

Il comma 9-bis dell'art. 309 c.p.p. fa riferimento espresso alle ricadute della richiesta dell'indagato di differimento dell'udienza davanti al tribunale, su due scadenze processuali che determinano la perdita di efficacia della misura: il termine per la decisione e quello per il deposito dell'ordinanza.

Ora, il vecchio art. 309, comma 10, c.p.p. prevedeva un termine solo per la decisione e non conteneva nessuna indicazione per il secondo termine. Solo il nuovo comma 10 dell'art. 309 c.p.p., per ovviare a prassi deprecabili e deprecate, ha introdotto il termine di trenta o quarantacinque giorni per il deposito dell'ordinanza.

Appare evidente, quindi, che la previsione del comma 9-bis dell'art. 309 c.p.p. operante – come dicono le Sezioni unite – anche nel riesame cautelare reale si correla strettamente – salva l'amputazione di una parte espressa e non implicita del suo contenuto – alla previsione di cui al successivo comma 10 riformato. Pertanto, il richiamo del comma 9-bis dell'art. 309 c.p.p., da parte dell'art. 324, comma 7, c.p.p., implica il richiamo – con le implicazioni connesse – al nuovo comma 10 dell'art. 309 c.p.p., che – peraltro – figura richiamato nell'attuale art. 324, comma 7, c.p.p.
Sul punto esiste un elemento che appare insuperabile. Va richiamata, infatti, l'attenzione su di un profilo formale: la riforma del comma 7 dell'art. 324 c.p.p. nella legge 47 del 2015 è riportata al comma 6 dell'art. 11, guarda caso, proprio dopo i nuovi commi 9-bis e 10 dell'art. 309 c.p.p. che sono ora richiamati nel comma 7 dell'art. 324 c.p.p. Cioè, con una sola disposizione – il citato art. 11 – con 6 commi in successione, il legislatore interviene sia sul riesame cautelare personale, sia su quello reale. A conferma di questo dato all'appello, è dedicato il successivo art. 12. L'art. 11 della riforma va letto secondo i rigorosi criteri che presiedono all'interpretazione delle leggi e al concatenarsi organico delle sue disposizioni. Cosa doveva dire di più il legislatore?

Anche senza essere dei “fini giuristi” è credibile che lo stesso legislatore che ha appena riformato il comma 9, introdotto il comma 9-bis e riscritto il comma 10, nell'adeguare la disciplina del riesame reale, interpoli il nuovo comma 9-bis e faccia, invece, riferimento a previsioni che ha appena modificato?

Va, altresì, sottolineato che il legislatore non senza una qualche precisione formale ha inserito una virgola tra l'art. 309 e il riferimento al comma 9 (stante l'interpolazione di un nuovo comma – il 9-bis – che non figurava nel testo originario) mentre non si rendeva necessaria nessuna precisazione per il comma 10 (e 10).

La situazione in esame è completamente diversa da quella affrontata dalle Sezioni unite Cavalli, in relazione ai giorni nei quali devono pervenire gli atti al tribunale del riesame. Invero, quale che ne sia la ragione, il legislatore ha dedicato una norma espressa al tema della trasmissione degli atti, il comma 3 dell'art. 324 c.p.p., senza riprodurre l'intero contenuto del comma 5 dell'art. 309 c.p.p., con la conseguenza di rendere inoperante – per questo profilo – la sanzione del comma 10 dell'art. 309 c.p.p.

Escludendo l'operatività dell'art. 309, comma 10, c.p.p. nella procedura del riesame cautelare reale si dovrà conseguentemente ritenere – secondo le Sezioni unite – che non ci sia termine per il deposito della motivazione e conseguentemente che questa attività potrà essere disposta senza limiti temporali e senza conseguenze sul provvedimento cautelare reale. Al fondo di queste scelte di annida la scarsa sensibilità della magistratura sulle implicazioni dei sequestri dei beni anch'essi costituzionalmente protetti ed incidenti sui diritti dei soggetti destinatari dei provvedimenti restrittivi. Si evidenzia altresì una scarsa razionalità e ragionevolezza della disciplina delle misure cautelari personali e reali.

Che i giudici – soprattutto quelli della Cassazione – siano interpreti della legge è sicuro ma non possono essere anche creatori del diritto. Che i giudici non accettino limiti ai lori poteri è noto; che soffrano i termini perentori è altrettanto noto; che non abbiano condiviso una previsione come quella in esame che condiziona alla presenza di eccezionali esigenze cautelari la reiterazione di provvedimenti che, per responsabilità propria e del sistema, non possono reiterare, al punto da parlare di “salvacondotto” per l'imputato, non giustifica, però, interpretazioni sorrette da considerazioni finalistiche. Quando si abbandonano i principi del diritto, per inseguire orizzonti frutto di soggettive opzioni di sistema, inevitabilmente si finisce per deragliare.

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