Procedimento per decreto e limiti al potere decisionale del Gip

Fonte:
Gaetano Bonifacio
12 Aprile 2016

Al giudice per le indagini preliminari, qualora investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna ai sensi dell'art. 459 c.p.p., è precluso il potere di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., nelle ipotesi in cui debba applicare sentenza di assoluzione secondo il disposto dell'art. 530, comma 2, c.p.p.
Massima

Al giudice per le indagini preliminari, qualora investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna ai sensi dell'art. 459 c.p.p., è precluso il potere di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., nelle ipotesi in cui debba applicare sentenza di assoluzione secondo il disposto dell'art. 530, comma 2, c.p.p.

Il caso

La Corte di cassazione nella sentenza in commento è stata chiamata a pronunciarsi sulla congruità giuridica della sentenza di proscioglimento pronunciata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale, il quale investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, pronunciava sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., dall'imputazione per il reato di cui all'art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152.

Il pubblico ministero ricorreva per Cassazione contro la decisione, lamentando violazione dell'art. 606 lett. e) c.p.p. in relazione all'art. 459, comma 3, c.p.p., in quanto in caso di rilevata lacunosità degli elementi probatori raccolti, il giudice avrebbe dovuto restituire gli atti al pubblico ministero, essendogli precluso ogni altro potere; inoltre rilevava la erronea applicazione dell'art. 5 c.p., in relazione all'art. 606 lett. b) c.p.p., in quanto la situazione fattuale emergente dagli atti, non permetteva di giudicare come ricorrente l'ipotesi di ignoranza scusabile sul precetto della legge penale, lamentando poi un ulteriore profilo di violazione della lett. b) dell'art. 606 c.p.p., in quanto il Giudice avrebbe valutato i fatti come non integranti la fattispecie in contestazione.

La questione

Secondo un orientamento già consolidato del supremo Collegio, l'art. 129 c.p.p. non attribuisce al giudice, nel procedimento per decreto, il potere di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., in quanto è solo l'istruttoria dibattimentale che permette al giudice di avere cognizione dei fatti, in relazione alle ipotesi di mancato raggiungimento della prova, ovvero di valutazione sull'opportunità di esercizio dell'azione penale, o sulla inoffensività della condotta.

Tale orientamento trae origine prima di tutto dal dato testuale dell'art. 129 c.p.p., che tra le ipotesi di possibile declatoria delle cause di non punibilità o di proscioglimento, non enumera anche quelle con la formula contenuta nell'art. 530, comma 2, c.p.p.

Le soluzioni giuridiche

Il rito speciale del procedimento per decreto, si trova regolato nel Libro VI Titolo V del codice di procedura penale, agli artt. 459 e seguenti c.p.p.

In particolare l'art. 459, comma 1, c.p.p. stabilisce che il pubblico ministero può richiedere al giudice per le indagini preliminari, sia nel caso che proceda per reati perseguibili di ufficio, sia per quelli perseguibili a querela, ove il querelante nell'atto di querela non si sia opposto a tale rito e nelle ipotesi in cui lo stesso ritenga di dover applicare la sola pena pecuniaria, anche se in sostituzione della pena detentiva, l'applicazione di una pena pecuniaria indicandone la misura.

Il giudice, in accoglimento dell'istanza, procede in conformità applicando la pena richiesta; nei casi in cui non ritenga di procedere in accoglimento della richiesta, ne di pronunciare sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p., deve restituire gli atti al pubblico ministero.

La pronuncia di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., consente al giudice la sola valutazione di elementi tali da poter pronunciare sentenza secondo le formule contenute nell'art. 530, comma 1, c.p.p., non essendo presente nell'art. 129 c.p.p., il richiamo testuale alle ipotesi di proscioglimento che sono elencate nell'art. 530, comma 2, c.p.p., di tal che il giudice, ove riconosca ricorrere tali ipotesi, deve restituire gli atti al pubblico ministero, essendogli precluso ogni sindacato nel merito dei fatti che possa portare ad una pronuncia, in quella sede, di proscioglimento ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p.

Il supremo Collegio, nella decisione in commento, evidenzia come al giudice, nel procedimento per decreto, sia precluso un sindacato nel merito dei fatti, di tal che nelle ipotesi in cui, dagli atti non risulti evidente la mancanza di elementi probatori e sia necessario, al fine di decidere nel merito della responsabilità, il vaglio dell'istruttoria dibattimentale a chiarimento di ipotesi controverse, che solo l'esame processuale delle parti davanti al giudice può fornire, il giudice deve disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero.

Il supremo Collegio, dopo aver preliminarmente statuito che il giudice, in simile ipotesi, avrebbe dovuto restituire gli atti al pubblico ministero, compie un percorso critico in ordine alla valutazione della sussistenza, sia dell'elemento soggettivo dolo, operata dal giudicante, che di qualificazione giuridica della fattispecie in contestazione.

Al giudice è precluso, in sede di richiesta di emissione del decreto penale di condanna ogni sindacato nel merito dei fatti, che comporti, come avvenuto nel caso di specie, un giudizio, che non si basa su elementi obbiettivi ed univoci ma sulla valutazione di condotte poste in essere dall'imputato, e su elementi fattuali, da cui si possono trarre conclusioni non univoche, quali la mancanza di professionalità in relazione alla definizione della fattispecie in contestazione, quale reato a soggettività ristretta, anziché reato comune, che si pone in relazione ad elementi definitori di fattispecie quali la locuzione “chiunque” contenuta nella norma di cui all'art. 256, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006 n.152.

In quella sede il giudicante, aveva anche rilevato trattarsi di un ipotesi di lieve entità con riferimento alla quantità di materiale trattata, oltreché alla mancanza dell'elemento soggettivo richiesto per la perfezione della fattispecie in contestazione.

Tali valutazioni, sono state poste in discussione dal supremo Collegio, in quanto, la qualificazione della fattispecie in contestazione quale reato proprio, si trova in stretta correlazione con l'attività in concreto esercitata, di talché non è sufficiente la sola mancanza dei titoli autorizzativi richiesti per le attività di smaltimento dei rifiuti, a qualificare come occasionale l'attività in concreto esercitata, e ad escludere quindi l'applicazione della fattispecie in questione, magari in favore dell'applicazione di quella di cui all'art. 255 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, che sanziona in via amministrativa chiunque ponga in essere le sole condotte di abbandono o deposito di rifiuti, bensì il fatto che l'attività concretamente svolta di gestione di rifiuti, che, al di fuori dell'ipotesi di assoluta occasionalità, integra la tipicità del reato di gestione abusiva allorquando svolta in assenza di autorizzazione.

La valutazione, poi, sulla sussistenza dell'elemento soggettivo dolo, si è basata, secondo l'interpretazione del supremo Collegio, sul ritenuto concretarsi dell'ipotesi di ignoranza scusabile sul precetto della legge penale, ai sensi dell'art. 5 c.p.

Osservazioni

Per giungere a tale conclusione il giudice per le indagini preliminari avrebbe attivato un iter argomentativo non ammesso nella fase procedurale di valutazione in ordine alla richiesta di emissione di decreto penale di condanna.

Il precetto dell'art. 5 c.p., Nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale, oggetto di interpretazione della Corte costituzionale, nella celebre decisione contenuta nella sentenza n. 364/1988, prima considerato come “rigido”, è stato “mitigato”, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità nella parte in cui non esclude dall'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile.

Il problema centrale nell'applicazione dell'art. 5 c.p., è quello della valutazione sulla conoscibilità del precetto penale, da parte del soggetto attivo del reato.

Su tale valutazione, si fonda il giudizio in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo dolo.

Il sistema penale, infatti, basa la sua operatività anche su elementi quali quello di conoscibilità della norma penale, ed è su tale elemento che trova fondamento la possibilità di rimprovero in caso di sua mancata conoscenza, in base al combinato disposto delle norme contenute agli artt. 2, 3, 25, 73 e 27 della Costituzione.

Infatti, ai principi di solidarietà sociale sanciti dall'art. 2 Cost., è sotteso un obbligo di prendere conoscenza delle norme penali, anche nel rispetto dei diritti altrui.

I doveri, quali quello di far conoscere la legge da parte dello Stato ordinamento e di impegnarsi a conoscerla da parte del cittadino, discendono, come è stato rilevato, dalla teoria contrattualistica dello Stato, per cui il cittadino deve porsi nella condizione di aver adempiuto a quegli obblighi di solidarietà sociale che impongono allo stesso, di far tutto quanto necessario per conoscere la legge penale.

Esistono comunque, come rilevato, problemi in ordine a quella che è la concezione “illuministica” di conoscenza della legge penale, in quanto se lo stato ha adempiuto al suo dovere di far conoscere la legge penale, attraverso l'avvenuta attivazione dei canali istituzionali operata in conformità del disposto dell'art. 73, comma 3, Cost., è poi necessaria la mediazione del singolo soggetto, che in forza dei doveri prima richiamati, deve essersi attivato per la conoscenza del precetto, in quanto è solo grazie al suo impegno che si realizza la necessaria mediazione che porta alla conoscenza della legge penale.

Vi sono però ipotesi in cui il precetto della legge penale è caratterizzato da elevato tecnicismo, tanto da rendersi indispensabile in certi casi, anche per gli addetti ai lavori, l'interpretazione da parte di tecnici esperti di determinati settori.

In tali ipotesi, il soggetto, che nonostante l'impegno profuso in adempimento di quest'obbligo di conoscenza, di cui è portatore in base al disposto dell'art. 54, comma 1, della Costituzione, non ha compreso il significato del precetto che lo stesso ha violato, può essere considerato scusabile, in quanto tale condizione di ignoranza si può considerare inevitabile; in tal caso la condotta costitutiva del reato risulterebbe, verificato l'adempimento degli obblighi di informazione, non essere sorretta dall'elemento soggettivo dolo, richiesto per la perfezione della fattispecie incriminatrice.

Tale iter argomentativo, se applicato al caso oggetto di impugnazione davanti al supremo Collegio, avrebbe portato a rilevare la presenza dell'elemento soggettivo dolo in capo al soggetto attivo, non dovendosi ritenere scusabile la sua ignoranza sul precetto penale.

L'iter argomentativo utilizzato dal giudice per le indagini preliminari per la pronuncia di proscioglimento, ha reso necessario prendere in considerazione elementi fattuali che emergevano dagli atti, sviluppandoli poi in base a considerazioni congetturali, non sorrette dal procedimento di verifica che è proprio dell'istruttoria dibattimentale, che la fase processuale non consentiva, di tal che da considerarsi non ammissibile.

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