Restituzione nel termine e conoscenza della sentenza contumaciale da parte dell'imputato

Giuseppe Tabasco
12 Maggio 2016

La tempestività dell'istanza di remissione nel termine, ai fini della impugnazione di una sentenza contumaciale, ex art. 175, comma 2, c.p.p., va esclusa allorché il condannato abbia avuto la sicura consapevolezza dell'esistenza dell'atto e la precisa cognizione dei suoi estremi o allo svolgimento di un'attività procedimentale che consenta di individuare senza equivoci il momento in cui detta conoscenza si è verificata.
Massima

La tempestività dell'istanza di remissione nel termine, ai fini della impugnazione di una sentenza contumaciale, ex art. 175, comma 2, c.p.p., va esclusa allorché il condannato abbia avuto la sicura consapevolezza dell'esistenza dell'atto e la precisa cognizione dei suoi estremi (autorità, data, oggetto), collegata o alla comunicazione di un atto formale (come la notificazione dell'ordine di carcerazione) o allo svolgimento di un'attività procedimentale (come la richiesta di una copia) che consenta di individuare senza equivoci il momento in cui detta conoscenza si è verificata.

Il caso

Con ricorso per cassazione, è stata impugnata la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano, che aveva dichiarato inammissibile l'istanza di rimessione in termini per l'impugnazione della sentenza contumaciale emessa dal tribunale di Milano, deducendo la inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 175, comma 2-bis, del codice di rito penale.

Secondo la ricorrente l'effettiva conoscenza della sentenza si sarebbe avuta solo in data 24 febbraio 2015, ossia quando, dopo lunghe ricerche presso gli archivi del tribunale, il difensore aveva potuto visionare il fascicolo processuale ed estrarne copia e non già quando egli aveva ricevuto la notificazione dell'ordine di esecuzione della sentenza contumaciale.

In tale momento, infatti, si assume che la ricorrente non era in grado di riferire con certezza se avesse ricevuto o meno comunicazioni inerenti a quel procedimento, giacché, essendo affetta da un disturbo cleptomanico, era stata sottoposta a numerosi procedimenti penali per fatti analoghi, di guisa che la presentazione di un'istanza di restituzione nel termine non avrebbe potuto prescindere da un attento studio delle carte processuali.

La questione

Alla Corte di cassazione è stato chiesto di annullare la sentenza della Corte di appello di Milano, che aveva dichiarato inammissibile l'istanza di restituzione in termini, in quanto intempestiva, deducendo l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 175, comma 2-bis, c.p.p., atteso che l'effettiva conoscenza del provvedimento sarebbe avvenuta soltanto allorché il difensore aveva potuto visionare il fascicolo processuale ed estrarne copia e non già allorché egli aveva ricevuto la notificazione dell'ordine di esecuzione della sentenza contumaciale.

Le soluzioni giuridiche

Prima delle modifiche normative, intervenute con la legge 22 aprile 2005, n. 60 e con la legge 28 aprile 2014, n. 67, l'art. 175 c.p.p. prevedeva la restituzione nel termine con riferimento alla sentenza contumaciale e al decreto penale di condanna.

In relazione alla prima ipotesi, nella versione originaria, il codice di rito penale contemplava due distinte situazioni.

La prima relativa al caso in cui l'imputato, giudicato in contumacia, avesse provato di non aver avuto, senza sua colpa, effettiva conoscenza della sentenza ed il difensore non avesse già provveduto a proporre impugnazione.

La seconda inerente all'imputato contumace, che, non sottrattosi volontariamente alla conoscenza degli atti, avesse dimostrato di non aver avuto effettiva conoscenza della decisione notificata per estratto al difensore, essendo egli irreperibile, ovvero fosse risultato impossibile provvedere alla notificazione nel domicilio dichiarato o eletto.

Tale dettato normativo veniva aspramente criticato dalla dottrina, che lo riteneva in contrasto con il diritto dell'accusato ad essere presente nel processo, così come garantito dagli artt. 24, comma 2, Cost. e art. 6, § 1 e 3, lett. c), d) ed e) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché 14, § 3, lett. d) del Patto internazionale sui diritti civili e politici (MOSCARINI).

Peraltro, anche la Corte europea dei diritti dell'uomo rilevava, in presenza di sentenze contumaciali, la scarsa efficacia del sistema restitutorio, sottolineando, da un lato, la difficoltà, per il contumace, di provare di non essersi sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti, dall'altro, la brevità del termine perentorio concesso all'imputato condannato in contumacia, per formulare l'istanza di restituzione (Corte Edu, 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia, in Cass. pen., 2004, p. 1390, che condannava l'Italia per violazione dell'art. 6 Cedu, ritenendo che non si potesse parlare di rinuncia a comparire non equivoca ogni volta che mancasse la prova dell'esistenza di almeno una comunicazione che avesse i requisiti di forma e di sostanza, che garantissero l'esercizio effettivo dei diritti dell'imputato, non essendo a tal scopo sufficiente una conoscenza vaga e non ufficiale. Nello stesso senso Corte Edu, 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia, in Cass. pen., 2004, p. 3727. Nel vigore del codice di rito penale del 1930, Corte Edu, 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, in Cass. pen., 1985, p. 1421, aveva affermato lo stesso principio).

In seguito alla sentenza Sejdovic c. Italia, il legislatore intervenne sulla materia e, modificando l'istituto della restituzione in termini, consentì all'imputato di limitarsi ad addurre la mancata conoscenza del processo, salva la prova, incombente all'autorità giudiziaria, che lo stesso avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e avesse volontariamente rinunciato a comparire ovvero proporre impugnazione od opposizione.

Tuttavia, nonostante tali interventi normativi, la Corte europea persisteva nelle sue perplessità e ribadiva che l'informazione inviata all'interessato, a proposito di iniziative giudiziarie nei suoi confronti, costituisce un atto giuridico di tale importanza da richiedere condizioni formali e sostanziali idonee a garantire l'effettivo esercizio dei diritti (Corte Edu, 8 febbraio 2007, Kollcaku c. Italia, § 51).

Peraltro, in dottrina, anche tale intervento normativo non veniva ritenuto idoneo ad eliminare le carenze del sistema normativo interno, osservandosi che non sempre la restituzione nel termine per impugnare e la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale fossero in grado di garantire al contumace un nuovo ed equo giudizio sul merito delle accuse, sia perché l'imputato giudicato in contumacia in primo grado, nonostante la possibilità di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, si sarebbe trovato di fronte ad una situazione processuale già pregiudicata sotto il profilo probatorio, sia perché la norma consentiva eventualmente soltanto di rinnovare in appello l'istruzione dibattimentale, sottraendogli di tal guisa un grado di merito (CASSANO).

Tali limiti dell'impianto processuale portavano, prima della modifica della norma intervenuta con la legge 28 aprile 2014, n. 67, alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 175, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non contentiva la restituzione del contumace, che non avesse avuto cognizione del processo, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, quando analoga impugnazione fosse già stata proposta dal difensore (Corte cost., 4 dicembre 2009, n. 317).

Con la legge in parola sono state recepite alcune delle criticità evidenziate nei confronti del cosiddetto processo contumaciale e, ritenendo non idonei a garantire i diritti dell'imputato i rimedi previsti dagli artt. 175, comma 2, e 603, comma 4, c.p.p. è stato disciplinato il processo in assenza dell'imputato, introducendo la cosiddetta sospensione del procedimento nei confronti degli imputati irreperibili, di guisa che è stato espunto ogni riferimento alla sentenza contumaciale dall'art. 175, comma 2, c.p.p., che attualmente fa riferimento soltanto al decreto penale di condanna.

Ovviamente, con riferimento alla sentenza contumaciale, prima della recente riforma, il comma 2 dell'art. 175 c.p.p., ai fini della valutazione dell'osservanza del termine di decadenza di trenta giorni per la proposizione dell'istanza di restituzione nei termini per l'impugnazione, implicava che il giudice, allorché non avesse ritenuto esaustive le ragioni addotte dall'istante, avrebbe dovuto compiere gli accertamenti opportuni in ordine al momento in cui il soggetto istante avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento e del provvedimento e avesse, se del caso, volontariamente rinunciato a proporre impugnazione (Cass. pen., Sez. VI, 28 maggio 2007, n. 25415).

In altre parole, secondo la giurisprudenza di legittimità, al fine della decisione sulla richiesta di restituzione nel termine per l'impugnazione di una sentenza contumaciale, ex art. 175, comma 2, c.p.p., la dimostrazione della tardività – e, quindi, l'eventuale momento diverso da quello allegato dalla parte a far data dal quale potesse, in base agli atti, dirsi decorso il termine per la sua proposizione che, a pena di decadenza, era di trenta giorni dalla effettiva conoscenza della sentenza che si intendesse impugnare – spettava – in caso di diversa allegazione della parte – al giudice, al quale, a tal fine, veniva attribuito il potere di accertamento nel caso in cui sussistessero dubbi al riguardo, considerato che una diversa e restrittiva interpretazione avrebbe trasformato l'onere di allegazione della parte in un onere di prova, con il sostanziale ripristino di quegli ostacoli all'effettività del diritto ad un giusto processo individuati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel testo dell'art. 175 c.p.p. precedente alla novella del d.l. 17 del 2005, conv. con modif, con l. 60 del 2005 (Cass. pen., Sez. V, 31 marzo 2010, n. 19072).

Sul giudice, cioè, gravava l'onere sia di valutare la tempestività della richiesta sia di individuare in atti l'eventuale momento dal quale computare il termine di trenta giorni, a pena di decadenza, decorrente dalla data di effettiva conoscenza del provvedimento da impugnare (Cass. pen., Sez. IV, 7 gennaio 2014, n. 4106; nonché, nello stesso senso, Cass. pen., Sez. II, 22 gennaio 2010, n. 5443; Cass. pen., Sez. I, 8 febbraio 2006, n. 8321).

In conclusione, la legge 22 aprile 2005, n. 60 aveva introdotto una sorta di presunzione iuris tantum di non conoscenza della pendenza del procedimento da parte del'imputato, ponendo a carico del giudice l'onere di reperire in atti l'eventuale prova contraria e, più in generale, di effettuare tutte le verifiche occorrenti al fine di accertare se il condannato avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento e avesse volontariamente rinunciato a comparire (Cass. pen., Sez. VI, 16 dicembre 2008, n. 2178).

Viceversa, in ordine alla tempestività dell'istanza, l'art. 175, comma 2-bis,c.p.p. presuppone che l'istante fornisca la prova della data in cui ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento, mentre, in virtù della modifica normativa introdotta dalla legge 22 aprile 2005, n. 60, l'art. 175 c.p.p. faceva ricadere sull'autorità giudiziaria l'onere della prova della mancata conoscenza del procedimento da parte dell'imputato, essendo obbligata a compiere un accertamento positivo circa la sua eventuale rinuncia a comparire ovvero la sua rinuncia a proporre impugnazione.

E con tale espressione si deve intendere la sicura consapevolezza della esistenza e la precisa cognizione degli estremi del provvedimento, collegata alla notizia certa o alla comunicazione di un atto formale che consente di individuare senza equivoco il momento in cui tale conoscenza si è verificata, non potendosi, invece, lasciare alla discrezionalità dell'imputato la scelta del momento in cui prendere cognizione del provvedimento impugnato sulla base della propria convenienza (Cass. pen., Sez. I, 9 maggio 2006, n. 20036)

A parere della giurisprudenza di legittimità, infatti, il diritto alla restituzione nel termine per impugnare una sentenza contumaciale opera solo quando risulti dagli atti la mancata conoscenza del procedimento da parte dell'imputato, non essendo sufficiente la dichiarazione di quest'ultimo di non aver ricevuto notifica del provvedimento, atteso che all'onere dell'autorità giudiziaria di compiere ogni necessaria verifica, ai sensi dell'art. 175, comma 2, c.p.p., corrisponde l'onere dell'interessato di allegare circostanze rilevanti, suscettibili di verifica da parte dell'autorità giudiziaria stessa (Cass. pen., Sez. II, 22 novembre 2012, n. 9776).

Sulla base di questa distinzione la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza della Corte di appello di Milano, che aveva dichiarato tardiva l'istanza di rimessione nel termine sul presupposto che il difensore fosse venuto a conoscenza della condanna con la notifica dell'ordine di esecuzione, contenente gli estremi del provvedimento e della statuizione di condanna.

Osserva, infatti, la suprema Corte che l'esigenza di individuazione certa del dies a quo deriva dalla natura eccezionale dell'istituto e verrebbe frustrata qualora dovesse tenersi conto del momento in cui l'imputato, secondo scansioni cronologiche sue proprie, decida di prendere cognizione del provvedimento.

Ne consegue che, ai fini della effettiva conoscenza di una sentenza contumaciale, è sufficiente che il condannato abbia la sicura consapevolezza dell'atto, circostanza che può essere integrata o dalla comunicazione di un atto formale, quale la notificazione di un ordine di esecuzione, ovvero dallo svolgimento di un'attività procedimentale che consente di individuare senza equivoci il momento in cui si è verificata tale conoscenza.

Osservazioni

La Corte di cassazione rileva che, al caso di specie, va applicato l'art. 175, comma 2, c.p.p. nel testo antecedente la modifica apportata dall'art. 11, comma 6, della legge 28 aprile 2014, n. 67, in quanto alla data di entrata in vigore di tale legge, ossia il 17 maggio 2014, era stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado e l'imputato era stato dichiarato contumace ma non irreperibile.

Il rilievo, sebbene esatto, merita una precisazione.

La legge 28 aprile 2014, n. 67, come è noto, ha dettato una disciplina del processo in assenza dell'imputato.

Tuttavia, essa risultava carente di una specifica regolamentazione intertemporale per i rapporti giuridici pendenti al momento della sua entrata in vigore.

In assenza di tale disciplina, la Corte di cassazione, con riferimento all'istituto della restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso le sentenze contumaciali, rilevava che la legge in parola avesse introdotto disposizioni profondamente innovative in tema di procedimento in assenza, attraverso una rimodulazione delle sequenze e degli istituti tesi ad assicurare la partecipazione dell'imputato al processo», e considerata la «intima correlazione che lega fra loro l'intera gamma delle previsioni che scandiscono la nuova “dinamica” ed i relativi presupposti, affermava che la “vecchia” disciplina del procedimento in contumacia e degli istituti ad essa coesi – tra cui la notifica dell'estratto contumaciale e la restituzione nel termine per proporre impugnazione – non possa ammettere contaminazioni parziali ad opera delle nuove previsioni, pena, altrimenti, l'innesto di un tertium genus processuale, privo di qualsiasi coerenza, giustificazione sistematica e base normativa. Pertanto, statuiva che l'art. 175, comma 2, c.p.p., nella sua previgente formulazione, ossia prima della modifica introdotta dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, continuasse a trovare applicazione nei confronti degli imputati già dichiarati contumaci in virtù delle pregresse disposizioni normative (Cass., Sez. II, 27 maggio 2014, n. 23882, che, in assenza di una disciplina intertemporale, evidenziava il problema se la novellazione dell'art. 175, comma 2, c.p.p., che corrisponde ad una intervenuta abrogazione dell'istituto della restituzione nel termine per proporre impugnazione avverso le sentenze contumaciali, trov[asse] applicazione nei procedimenti in corso, in ragione del noto brocardo tempus regit actum, che regola la successione nel tempo delle norme processuali, in mancanza […] di una disciplina transitoria).

La legge 11 agosto 2014, n. 118, aggiungendo, nel Capo III della legge 28 aprile 2014, n. 67, l'art. 15-bis, ha colmato la lacuna, introducendo una disciplina intertemporale.

Il primo comma dell'articolo stabilisce che le nuove disposizioni si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della […] legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado.

Il legislatore ha preferito fare riferimento alla pronuncia del dispositivo della sentenza di primo grado e non già alla eventuale dichiarazione di contumacia.

E ciò, forse, allo scopo di rendere più lineare il regime delle impugnazioni.

Quindi, se alla data di entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67, nel processo di primo grado è stato già pronunciato il dispositivo, continuerà ad applicarsi la vecchia disciplina; viceversa, anche se è stata dichiarata la contumacia dell'imputato ma non sia ancora intervenuta la pronuncia del dispositivo della sentenza di primo grado, troveranno applicazione le nuove disposizioni sul processo penale in absentia.

Il secondo comma della legge in parola dispone che […] le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della […] legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della […] legge quando l'imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità.

Nel caso di specie il dispositivo della sentenza di primo grado era stato già emesso e, pertanto, ciò avrebbe precluso, comunque, l'applicazione delle nuove disposizioni.

Allora, potrebbe, forse, apparire superfluo il richiamo, operato dalla suprema Corte, alla dichiarazione di contumacia ed alla non emissione del decreto di irreperibilità, al fine di ritenere l'applicabilità delle vecchie disposizioni.

Condivisibile sembra invece la pronuncia laddove nel rigettare il ricorso ha confermato la sentenza della Corte territoriale, che aveva dichiarato l'istanza di restituzione in termini inammissibile in quanto tardivamente proposta.

La Corte regolatrice, infatti, ha statuito che, per aversi effettiva conoscenza di una sentenza contumaciale sia non solo necessario ma sufficiente che il condannato abbia la sicura consapevolezza dell'esistenza dell'atto e la precisa cognizione dei suoi estremi, collegata o alla comunicazione di un atto o allo svolgimento di un'attività che consenta di individuare senza equivoci il momento in cui detta conoscenza si sia verificata.

Il legislatore ha previsto che il processo in absentia dell'imputato possa celebrarsi soltanto nel caso in cui ricorra l'accertata conoscenza del procedimento o l'accertata volontaria sottrazione alla sua conoscenza o ad atti del medesimo.

In particolare, come è noto, la nuova normativa prevede la celebrazione in absentia dell'imputato soltanto in casi tipizzati che consentono di ritenere certa la conoscenza del procedimento, da parte dell'imputato, garantendogli il diritto di partecipare al processo.

La nomina di un difensore di fiducia rientra fra le ipotesi tipizzate dal legislatore di legittima celebrazione del processo in assenza dell'imputato.

Sembra, allora, che la notificazione dell'ordine di esecuzione costituisca certamente un atto che mette a conoscenza dell'esistenza del processo e consente di proporre l'impugnazione della sentenza contumaciale.

Tanto più che, come rilevato dalla stessa Corte regolatrice, l'istanza di rimessione in termini non deve indicare, a differenza di quanto previsto per l'atto di impugnazione all'art. 581 c.p.p., a pena di inammissibilità, i capi o punti della decisione impugnata e che può ritenersi validamente proposta un'istanza che si limiti ad enunciare i dati identificativi del provvedimento

Opinare diversamente significherebbe lasciare alla discrezionalità dell'imputato la scelta del momento in cui prendere cognizione del provvedimento impugnato sulla base della propria convenienza (Cass. pen., Sez. I, 9 maggio 2006, n. 20036 cit.).

D'altronde, la giurisprudenza di legittimità, prima della entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67, nel vigore dell'art. 175 c.p.p. come riformulato dalla legge 60 del 20005, aveva statuito che la prova della effettiva conoscenza del procedimento, che esclude la concedibilità della restituzione in termini, può essere desunta dalla nomina di un difensore di fiducia, senza che rilevi la rinuncia al mandato effettuata nel corso del procedimento (Cass. pen., Sez. II, 7 marzo 2006, ord. 11883. Nello stesso senso, più di recente, Cass., Sez. II, 27 giugno 2013, n. 43436, secondo cui la notifica della citazione a giudizio e dell'estratto della sentenza contumaciale nel domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia deve far ritenere, salva la prova del contrario, che il condannato in contumacia abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento e del provvedimento di condanna, sì da non aver diritto alla restituzione nel termine per l'impugnazione).

Invece, solo la notificazione della sentenza contumaciale al difensore d'ufficio, presso cui l'imputato abbia in precedenza eletto domicilio in fase processuale, non può ritenersi di per sé idonea a dimostrare l'effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento da parte dell'imputato, essendo, invece, necessaria anche la prova positiva che lo stesso difensore sia riuscito a rintracciare il suo assistito e abbia instaurato un effettivo rapporto professionale con lui (Cass. pen., Sez. VI, 5 aprile 2013, n. 19781).

A tal proposito mette conto di rilevare che la nuova normativa, mentre nell'ipotesi di nomina di un difensore di fiducia presume che vi sia la prova certa di conoscenza del procedimento da parte dell'imputato – sebbene la nomina possa intervenire in una fase molto distante rispetto all'udienza preliminare, ossia all'instaurazione della fase processuale, e ciò potrebbe non garantire il diritto di partecipazione dell'imputo al procedimento, soprattutto in caso di carenze dell'attività difensiva, di guisa che la norma non risulta proprio in linea con i principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali – non fa alcun accenno alla nomina di un difensore di ufficio. Pertanto, in tal caso, se l'avviso della nomina del difensore di ufficio, da comunicare senza ritardo all'imputato ex art. 28 disp. att. c.p.p., è ricevuta da quest'ultimo personalmente, si può ritenere la conoscenza dell'esistenza del procedimento; in caso contrario, allorché l'avviso sia ricevuto da altri soggetti, in assenza di altri atti o fatti che facciano presumere la conoscenza certa dell'esistenza del procedimento, il processo non potrà essere celebrato in assenza dell'imputato.

Entrata in vigore la legge 28 aprile 2014, n. 67, la Corte di cassazione si è nuovamente pronunciata in materia di notificazioni, sia con riferimento al difensore di fiducia che a quello di ufficio.

Ha statuito, infatti, che il decreto di citazione notificato al difensore di fiducia non domiciliatario, in luogo del domicilio eletto dall'imputato, non implica alcuna nullità se non si deduce il concreto pregiudizio determinato al diritto di difesa, giacché la sussistenza del rapporto fiduciario fa sì che l'imputato abbia comunque conoscenza dell'atto e non subisca così alcun pregiudizio nel diritto di difesa (Cass. pen., Sez. II, 3 febbraio 2015, n. 4998), reintroducendo, di tal guisa, una sorta di presunzione di conoscenza dell'atto in virtù della mera sussistenza di un rapporto fiduciario tra l'imputato ed il difensore, che evidenzia la probabile violazione del diritto di partecipazione dell'imputato al procedimento.

Viceversa, con riferimento al difensore di ufficio il tribunale di Asti (ord. 10 novembre 2015) ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 161 e 163 c.p.p. nella parte in cui non prevedono la notifica personale dell'atto introduttivo del giudizio penale, quantomeno nell'ipotesi di elezione di domicilio presso il difensore di ufficio. É previsto, infatti, che si proceda in absentia dell'imputato nel caso in cui nel corso del procedimento l'imputato abbia dichiarato o eletto domicilio. Tuttavia, a parere del giudice rimettente quando l'elezione di domicilio avviene presso il difensore di ufficio nominato dalla polizia giudiziaria all'atto del primo intervento della persona sottoposta alle indagini le informazioni fornite all'indagato sono vaghe, risolvendosi nella mera indicazione, in punto d' accusa, della norma di legge violata, cosicché è probabile che l'imputato abbia una conoscenza soltanto formale piuttosto che effettiva dell'esistenza del procedimento.

Infine, di recente, Cass. pen., Sez. V, 13 novembre 2015, n. 12445, rilevando che con la legge 28 aprile 2014, n. 67 si è verificato un mutamento di prospettiva, che non consente di applicare i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione dell'art. 175, co. 2, c.p.p., nella sua previgente formulazione, secondo cui, con particolare riferimento alla impugnazione della sentenza contumaciale, era configurabile un diritto dell'imputato alla rimessione in termini ogni qual volta non vi fosse stata effettiva conoscenza del “processo”, ha affermato che non è più sostenibile l'approdo interpretativo secondo cui la mera regolarità formale della notifica eseguita, ai sensi dell'art. 161, c.p.p., presso il difensore d'ufficio nominato all'imputato, non possa essere considerata dimostrativa della conoscenza del giudizio o rivelatrice della volontà del destinatario di non impugnare la sentenza contumaciale o di non opporre il decreto penale di condanna (cfr. Cass. pen., Sez. II, 15 aprile 2015, n. 21393).

Pertanto, l'effettiva conoscenza del processo da parte dell'imputato deve sempre desumersi quando questi nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio, tanto presso il difensore d'ufficio quanto presso quello di fiducia, oppure sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare o abbia nominato un difensore di fiducia oppure ricevuto personalmente la notifica dell'udienza, ovvero da qualunque altra circostanza atta a dimostrare l'effettiva conoscenza del giudizio o la volontaria sottrazione al medesimo.

A parere della suprema Corte, infatti, la posizione del difensore di ufficio non si differenzia da quella del difensore di fiducia, giacché una volta che l'imputato abbia eletto domicilio presso il difensore di ufficio eventualmente nominatogli e non abbia esercitato la facoltà di nominare un difensore di fiducia, egli ha operato la scelta di venire a conoscenza delle vicende relative alla celebrazione del processo a suo carico attraverso il difensore di ufficio, presso il quale, pertanto, coerentemente con tale scelta, avrà l'onere di informarsi dello sviluppo del procedimento.

Anche a tal proposito mette conto di rilevare che di tal guisa sembra introdotta una sorta di presunzione di conoscenza dell'atto in virtù della mera sussistenza di un rapporto fiduciario tra l'imputato ed il difensore, che evidenzia la probabile violazione del diritto di partecipazione dell'imputato al procedimento.

Appare, inoltre, troppo gravoso l'onere di informazione a carico dell'indagato circa i futuri sviluppi del procedimento in cui ha eletto o dichiarato domicilio.

Guida all'approfondimento

BRICCHETTI – PISTORELLI, La “scomparsa” del processo in contumacia, in Guida dir., 2014, 21, p. 93 e ss.;

BRICCHETTI – PISTORELLI, Giudizi pendenti pieni di insidie interpretative, in Guida dir., 2014, 21, p. 104 e ss.;

CASSANO, Impugnazione della sentenza contumaciale e restitutio in integrum, in M. Cassano – Calvanese, Giudizio in contumacia e restituzione nel termine, Milano, 2008;

MANGIARACINA, Garanzie partecipative e giudizio in absentia, Torino, 2010;

MOSCARINI, La contumacia dell'imputato, Milano, 1997;

NACAR, Il processo in absentia tra fonti internazionali disciplina codicistica e recenti interventi riformatori, Padova, 2014;

PAPAGNO, Contumacia e processo equo, Milano, 2010;

QUATTROCOLO, Sospensione del processo e imputato irreperibile, in Cass. pen., 2006, p. 2947 e ss.;

QUATTROCOLO, Il contumace cede la scena processuale all'assente, mentre l'irreperibile l'abbandona, in Dir. pen. cont., 2014;

TABASCO, La sospensione del processo nei confronti degli imputati irreperibili (Prima parte), in Studium iuris, 2014, 10, p. 1113 e ss.;

TABASCO, Le norme intertemporali per l'applicazione della disciplina della sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili, in Studium iuris, 2015, 2, p. 147 e ss.;

TONINI – CONTI, Il tramonto della contumacia, l'alba radiosa della sospensione e le nubi dell'assenza “consapevole”, in Dir. pen. proc., 2014, p. 514 e ss.;

TRINCI – VENTURA, Notificazioni e processo senza imputato, Milano, 2015.

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