Intercettazioni: è al tramonto la stagione dell'instradamento?

12 Giugno 2017

La giurisprudenza di legittimità è saldamente orientata a ritenere la materia delle intercettazioni regolata da un principio di fondo, secondo il quale il ricorso alla rogatoria internazionale è richiesto solo nei casi in cui l'attività captativa sia diretta a percepire contenuti di comunicazioni o conversazioni che transitino unicamente su territorio straniero. Dopo il recepimento della Convenzione di Bruxelles del 2000 e, a maggior ragione, quando sarà recepita la direttiva O.E.I. del 2014, questo indirizzo ...
Abstract

La giurisprudenza di legittimità è saldamente orientata a ritenere la materia delle intercettazioni regolata da un principio di fondo, secondo il quale il ricorso alla rogatoria internazionale è richiesto solo nei casi in cui l'attività captativa sia diretta a percepire contenuti di comunicazioni o conversazioni che transitino unicamente su territorio straniero.

Dopo il recepimento della Convenzione di Bruxelles del 2000 e, a maggior ragione, quando sarà recepita la direttiva O.E.I. del 2014, questo indirizzo giurisprudenziale, che valorizza il c.d. instradamento dei flussi comunicativi, sembra destinato a tramontare.

La procedura dell'instradamento

È frequente che nel corso delle indagini vengano intercettate conversazioni o comunicazioni in cui uno degli interlocutori si trova all'estero ovvero ivi si trovi il dispositivo informatico captato. Capita anche che siano intercettate conversazioni che si svolgono integralmente all'estero ma che coinvolgono un dispositivo mobile italiano. In questi casi, secondo l'indirizzo consolidato della Corte di cassazione, per utilizzare i risultati delle captazioni non è necessario attivare un meccanismo di cooperazione giudiziaria internazionale. L'intercettazione può legittimamente essere realizzata mediante la procedura dell'instradamento che permette di compiere la captazione nel momento in cui per la conversazione è impegnato un “nodo tecnologico” o una “centrale telefonica” che si trova in Italia. Detta procedura, quindi non determina la violazione delle norme sulle rogatorie internazionali, perché la captazione e la registrazione delle conversazioni è interamente realizzata sul territorio italiano e non si verifica alcuna intrusione nella giurisdizione dello Stato estero, ove si trova uno degli interlocutori ovvero entrambi o ancora il dispositivo captato.

Il ricorso alla rogatoria, invece, è necessario solo per gli interventi da compiere integralmente all'estero ed anzi esclusivamente per l'intercettazione di conversazioni captate soltanto da una compagnia telefonica straniera che, di conseguenza, non sono “istradati” su nodi di comunicazione nazionali (cfr., di recente, Cass. pen., n. 7634/2014; Cass. pen., n. 9161/2015; Cass. pen., n. 10788/2016).

L'instradamento, anche sul piano strettamente descrittivo, rende manifesto come non si verifichi alcuna lesione della sovranità di altro Stato: il flusso comunicativo, ancorché avvenga in parte all'estero, viene carpito nel momento in cui entra nel nostro Stato. Analogamente, se la conversazione riguarda un apparecchio mobile italiano, la sua captazione è possibile perché, sebbene la comunicazione avvenga integralmente all'estero, essa “rimbalza” anche nel nostro Paese per ragioni tecniche e/o amministrative (come per esempio per gestire i rapporti contrattuali tra i gestori dei servizi).

Anzi, è stato affermato dalla Suprema Corte che, ritenendo necessario utilizzare meccanismi di cooperazione giudiziaria per realizzare questo genere di intercettazioni, si stravolgerebbe «il concetto stesso di rogatoria internazionale, in relazione al suo oggetto, non essendo concepibile una richiesta di assistenza giudiziaria ad uno Stato estero per un'attività interamente espletata nel territorio nazionale e senza che sia stata compiuta alcuna attività materiale invasiva della territorialità e, dunque, della sovranità di uno Stato estero, con la conseguenza che laddove una tale attività debba invece essere espletata in territorio straniero, solo allora sarà necessario ricorrere alla cooperazione giudiziaria […] Ciò che dunque rileva non è la nazionalità dell'utenza da intercettare quanto se l'intercettazione sia compiuta o meno nel territorio italiano […] » (cfr. Cass. pen., n. 9161/2015).

(Segue). Instradamento e blackberry

Alla tecnica dell'instradamento è stato fatto riferimento, di recente, dalla giurisprudenza per la captazione di messaggi tra apparecchi del tipo Blackberry. Al riguardo, è stata esclusa la necessità di esperire una rogatoria internazionale per carpire le conversazioni che utilizzano questi dispositivi allorquando l'attività di captazione del flusso comunicativo avviene in Italia, perché i telefoni sono localizzati nella nostra nazione o almeno uno di essi impiega un nodo interno per le comunicazioni (Cass. pen., n. 39925/2015). È stato affermato che, a nulla rileva, sul piano del rispetto della giurisdizione, il fatto che per decriptare i dati identificativi associati ai codici identificativi dell'apparecchio Blackberry (che si chiamano pin”) sia indispensabile ricorrere alla collaborazione del produttore del sistema operativo avente sede all'estero (Cass. pen., n. 16670/2016) per l'impiego dell'algoritmo necessario per la decifrazione dei flussi informatici (Cass. pen., n. 5818/2015).

(Segue). Il principio della nazionalità dell'utenza

Secondo un indirizzo giurisprudenziale, inoltre, ai fini dell'individuazione della giurisdizione competente, non rileva il luogo dove sia in uso il relativo apparecchio e, dunque, dove si trova la persona che lo impiega, ma esclusivamente la nazionalità dell'utenza, essendo tali apparecchi soggetti alla regolamentazione tecnica e giuridica dello Stato cui appartiene l'ente gestore del servizio (Cass. pen., n. 37774/2002). «Ciò significa che, se un apparecchio cellulare italiano si trova in territorio estero, ma il flusso comunicativo si registri in Italia e non all'estero, non rileva il luogo dove sia in uso il relativo apparecchio, bensì esclusivamente la nazionalità dell'utenza» (cfr. Cass. pen., n. 9161/2015).

Quest'impostazione giurisprudenziale suscita profonde perplessità in dottrina, perché ha condotto la Corte a ritenere legittima la captazione di conversazioni “estero su estero” nelle quali sia impegnata almeno un'utenza telefonica italiana. Si tratta di casi in cui la registrazione è possibile, come è stato evidenziato, senza attivare meccanismi di collaborazione internazionale solo perché, per una qualche ragione tecnica (per esempio per la contabilizzazione ed il pagamento dei servizi resi), le compagnie estere interessate procedono all'instradamento della comunicazione su una centrale tecnologica di comunicazione italiana.

(Segue). Intercettazioni informatiche ed instradamento

La giurisprudenza, inoltre, ha esteso l'instradamento alla captazione dei flussi informatici, come per esempio quelli relativi ad una casella di posta elettronica allocata su un server estero. La necessità di una rogatoria internazionale è esclusa perché il flusso informatico in entrata ed in uscita è captato, mediante il meccanismo descritto, sulle linee telefoniche in uso ad internet point ubicati in Italia (Cass. pen., n. 40903/2016).

Si tratta di un'applicazione del principio in esame molto utile per le investigazioni, perché permette di superare gli ostacoli frapposti dai grandi gestori di servizi informatici. Essi, in genere, non sono particolarmente collaborativi con le forze dell'ordine, in quanto reputano la salvaguardia della riservatezza degli utenti un valore intrinseco ai servizi offerti ed un elemento che induce gli utenti a preferirli, sicché non sono particolarmente inclini a consentire l'accesso totale ai dati da essi detenuti.

Va aggiunto, inoltre, che sovente i sistemi informatici che gestiscono i servizi - dunque gli enormi server che servono a governare il traffico dati - sono allocati in Stati con cui è difficile instaurare relazioni rapide ed efficaci di cooperazione giudiziaria.

Il recepimento della convenzione di Bruxelles del 2000

L'orientamento giurisprudenziale in esame è destinato ad evolversi rapidamente, quanto meno in ambito euro-unitario, per effetto del recepimento di normative europee.

Con il d.lgs. 5 aprile 2017, n. 52, infatti, sono state emanate le norme di attuazione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea del 29 maggio 2000 (meglio nota come Convenzione di Bruxelles del 2000).

Al recepimento nell'ordinamento italiano si è giunti dopo oltre sedici anni dalla firma della convenzione che ha costituito il primo atto di diritto dell'Ue volto a disciplinare le procedure di assistenza giudiziaria penale tra gli Stati membri, mirando a sostituire il quadro normativo formato, all'epoca, quasi esclusivamente dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, adottata nell'ambito del Consiglio d'Europa e dal relativo protocollo del 17 marzo 1978.

La convenzione, in particolare, fissa regole per semplificare la cooperazione giudiziaria tra Paesi membri dell'Unione come il principio generale dello scambio diretto delle richieste di assistenza tra autorità giudiziarie (art. 6, par. 1); quello della tempestività e celerità nella risposta (art. 4, par. 2); quello dell'esecuzione della richiesta nel rispetto «delle procedure e formalità indicate dallo Stato membro richiedente» (art. 5) al fine di garantire la piena utilizzabilità in giudizio degli atti compiuti in un diverso Stato europeo.

(Segue). La disciplina delle intercettazione

Il d.lgs. 52 del 2017, negli artt. da 19 a 23, in attuazione della Convenzione, prevede un'articolata disciplina delle intercettazioni, che riguarda sia la procedura passiva, cioè quella relativa alle richieste provenienti dall'estero, che quella attiva, la quale concerne le richieste inoltrate dal pubblico ministero italiano all'Autorità competente in altro Stato membro. In entrambi i casi si distinguono due ipotesi:

  1. intercettazioni per la cui esecuzione, per ragioni tecniche, è necessaria l'assistenza tecnica dello Stato Parte della Convenzione nel quale si trova la persona intercettata o il dispositivo controllato;
  2. intercettazioni per la cui esecuzione, dal punto di vista tecnico, non è necessaria detta assistenza, ancorché la persona intercettata o il dispositivo controllato si trova in altro Stato Parte della Convenzione.

Per quello che qui interessa, va segnalato che, nei casi in cui è necessaria, il pubblico ministero è l'organo deputato nel nostro Paese a ricevere la richiesta di assistenza tecnica proveniente dall'Autorità competente in altro Stato membro (art. 19) e che è tenuto ad eseguirla mediante ordine all'operatore di rete.

Quando la richiesta ha ad oggetto l'assistenza in relazione ad operazioni di intercettazione nei confronti di persona che si trova nel territorio dello Stato, tuttavia, il Procuratore della Repubblica deve chiedere al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione all'esecuzione della richiesta di assistenza. Il giudice deve verificare che l'autorità richiedente abbia comunicato le informazioni di cui all'art. 22, comma 1, del medesimo d.lgs. 52/2017, unitamente alla descrizione sommaria del fatto per cui si procede, e, soprattutto, che il mezzo di ricerca della prova sia stato disposto per un reato corrispondente ad uno o più tra quelli per i quali, secondo l'ordinamento interno, l'intercettazione è consentita.

Quando l'intercettazione è stata disposta dall'Autorità di uno Stato estero senza che fosse necessario richiedere l'assistenza tecnica di altro Stato parte, ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. 52 del 2017, inoltre, il pubblico ministero, «ricevuta notificazione dell'avvio delle operazioni, la trasmette al giudice per le indagini preliminari». Il giudice per le indagini preliminari ordina, con decreto, l'esecuzione o la prosecuzione delle operazioni, ovvero, fermo quanto previsto dall'articolo 20, par. 4, della Convenzione, l'immediata cessazione, se le intercettazioni sono state disposte in riferimento a un reato per il quale, secondo l'ordinamento interno, esse non sono consentite. L'art. 20, comma 4, della Convenzione, tra l'altro, prevede che, finché lo Stato membro informato non ha adottato una decisione, lo Stato membro che effettua l'intercettazione può proseguire la captazione, ma non può utilizzare il materiale già intercettato, tranne che sia stato diversamente convenuto tra gli Stati membri interessati oppure per adottare provvedimenti urgenti intesi a prevenire un pericolo grave e immediato per la sicurezza pubblica. Un siffatto uso e i motivi che lo giustificano, peraltro, sono comunicati allo Stato membro informato.

Regole non dissimili sono state previste per la procedura attiva.

Secondo l'art. 22 del d.lgs 52 del 1997, infatti, quando è necessario per ragioni tecniche, il pubblico ministero fa richiesta all'autorità competente dello Stato parte per ottenere l'assistenza allo svolgimento delle operazioni. Quando il pubblico ministero ha notizia che il dispositivo controllato si trova in territorio di altro Stato parte dà esecuzione al decreto di intercettazione del giudice delle indagini preliminari ed informa l'autorità competente di quello Stato. Lo stesso pubblico ministero dispone l'immediata cessazione delle operazioni di intercettazione quando l'autorità competente nello Stato parte dà comunicazione che non possono essere proseguite. Anche in questo caso, l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni è regolata secondo quanto previsto dall'art. 20, par. 4, della Convenzione.

(Segue). Le conseguenze sull'instradamento

La disciplina illustrata mette in seria discussione l'applicazione del principio dell'instradamento, sebbene sia assolutamente consolidato in giurisprudenza, perché è previsto l'obbligo di ricorrere alla cooperazione giudiziaria internazionale non solo quando è necessario per ragioni tecniche, ma anche quando la persona intercettata o il dispositivo controllato si trova in altro Stato parte.

Gli artt. 21, comma 2, e 23, comma 5, del d.lgs. 52 del 2017, sia per la procedura attiva, che per quella passiva, prevedono la sanzione di inutilizzabilità, consentendo l'impiego delle captazioni solo se utili per salvaguardare la sicurezza nazionale.

Queste nuove norme, dunque, almeno in ambito europeo, sembrano determinare il superamento del principio dell'instradamento e di quello della nazionalità dell'utenza ed il recupero, invece, della giurisdizione dello Stato nel quale si trova la persona intercettata o il

La direttiva 2014/41/Ue sull'ordine europeo d'indagine

Dopo la Convenzione di Bruxelles, a seguito dell'affermarsi del principio del reciproco riconoscimento, divenuto con il Consiglio europeo di Tampere “pietra angolare” della cooperazione giudiziaria in materia penale, è stato avviato un processo di sostituzione delle tradizionali procedure di assistenza.

Nel mutato quadro giuridico europeo, gli Stati membri hanno sperimentato più celeri strumenti di cooperazione giudiziaria destinati a soppiantare la convenzione del 2000.

Ad esempio, con la decisione quadro 2002/465/Gai, sono state previste le squadre investigative comuni. Questa direttiva è stata recepita nel nostro Paese con il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 34 che ha introdotto una disciplina che sostituisce, nei rapporti tra gli Stati da essa vincolati, l'applicazione dell'art. 13 della Convenzione di Bruxelles.

È stata poi adottata la direttiva 2014/41/Ue relativa all'ordine europeo di indagine penale (c.d. direttiva O.E.I.) che, nella Legislazione euro-unitaria, è stata destinata a superare proprio la convenzione del 2000.

Il decreto legislativo di recepimento dovrebbe essere prossimo all'approvazione definitiva. Il suo testo, infatti, è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 17 marzo 2017 ed ormai necessita solo del parere delle Camere. L'articolo 34 della direttiva O.E.I., del resto, nel disciplinare le relazioni con altri strumenti giuridici, accordi e intese, prevede che, «fatta salva la loro applicazione tra Stati membri e Stati terzi e la loro applicazione temporanea in virtù dell'articolo 35, la presente direttiva sostituisce, a decorrere dal 22 maggio 2017, le corrispondenti disposizioni delle seguenti convenzioni applicabili tra gli Stati membri vincolati dalla presente direttiva», tra cui la «convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea e relativo protocollo».

L'approvazione della direttiva O.E.I., dunque, ha determinato il sostanziale superamento delle disposizioni della Convenzione di Bruxelles. Quest'ultima, pertanto, è destinata a disciplinare le richieste di assistenza giudiziaria eventualmente pervenute tra la data di approvazione del d.lgs. 52 del 2017 e la data del 22 maggio 2017 di efficacia della direttiva O.E.I. o quella successiva di approvazione delle norme nazionali di recepimento, oltre a poter essere applicata agli Stati membri che non sono vincolati dalla stessa direttiva O.E.I. (Danimarca e Irlanda) o agli Stati che non sono membri dell'Unione, ma che hanno aderito alla convenzione stessa (Islanda e Norvegia).

(Segue). Le norme del d.lgs. di recepimento della direttiva O.E.I. in materia di intercettazione

Anche la direttiva O.E.I. del 2014 contiene norme che regolano l'assistenza giudiziaria in materia di intercettazioni. Di conseguenza, lo schema del d.lgs. di recepimento della direttiva disciplina anche questo mezzo di ricerca della prova, prevedendo agli artt. 23 e 24 la procedura “passiva” e agli artt. 43, 44 e 45 quella “attiva”.

L'art. 23, in particolare, dispone che al riconoscimento dell'ordine di indagine emesso per le operazioni di intercettazione provvede, sempre che sussistano le condizioni di ammissibilità previste dall'ordinamento interno, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto.

Il comma 2 della medesima norma stabilisce che detto Procuratore debba trasmettere al giudice per le indagini preliminari l'ordine di indagine con richiesta di esecuzione, dopo aver provveduto al riconoscimento e dopo aver specificamente verificato che siano indicati l'autorità che procede, l'esistenza del titolo che dispone o autorizza lo svolgimento delle operazioni di intercettazione con l'indicazione del reato, i dati tecnici necessari allo svolgimento delle operazioni, la durata dell'intercettazione e i motivi che rendono necessaria l'attività di indagine richiesta.

Il comma 3 sempre della stessa norma stabilisce che il giudice per le indagini preliminari rifiuta l'esecuzione, oltre che per i motivi indicati dall'art. 10 (disposizione che elenca i motivi di rifiuto), se non sussistono le condizioni di ammissibilità previste dall'ordinamento interno. Del rifiuto è data immediata comunicazione all'autorità di emissione a cura del Procuratore della Repubblica.

L'invece, stabilisce che «Quando è disposta, senza richiesta di assistenza tecnica, l'intercettazione di un dispositivo, anche di sistema informatico o telematico, in uso a persona che si trovi nel territorio dello Stato, il Procuratore della Repubblica trasmette immediatamente al giudice per le indagini preliminari la notificazione dell'avvio delle operazioni effettuata dall'autorità giudiziaria dello Stato membro che procede. Il giudice per le indagini preliminari ordina l'immediata cessazione delle operazioni se le intercettazioni sono state disposte in riferimento a un reato per il quale, secondo l'ordinamento interno, le intercettazioni non sono consentite e ne dà contestuale comunicazione al procuratore della Repubblica. Il procuratore della Repubblica senza ritardo, e comunque non oltre novantasei ore dalla ricezione della notifica, dà comunicazione all'autorità giudiziaria dello Stato membro del provvedimento di cessazione delle operazioni e della non utilizzabilità a fini di prova dei risultati delle intercettazioni eseguite.

Quanto alla procedura “attiva”, l'art. 43 prevede che il pubblico ministero emetta ordine di indagine per l'assistenza tecnica all'esecuzione delle operazioni di intercettazione delle conversazioni o comunicazioni o del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici, se necessaria, quando nel territorio di altro Stato membro si trova il dispositivo o il sistema da controllare. L'ordine di indagine contiene una serie di informazioni tra cui l'indicazione dell'autorità giudiziaria che ha disposto l'intercettazione.

Il pubblico ministero, inoltre, previo accordo con l'autorità di esecuzione, indica nell'ordine di indagine se l'operazione deve essere eseguita con trasmissione immediata delle telecomunicazioni oppure intercettando, registrando e trasmettendo successivamente il risultato dell'intercettazione.

L'art. 44 inoltre, prevede che il pubblico ministero, nel dare inizio alle operazioni di intercettazione, informa l'autorità giudiziaria competente dello Stato membro nel cui territorio si trova il dispositivo o il sistema da controllare. Analogamente, nel corso delle operazioni di intercettazione, il pubblico ministero, non appena ha notizia che il dispositivo o il sistema controllato si trova nel territorio di altro Stato membro, provvede immediatamente a dare informazione all'autorità giudiziaria competente dello Stato membro interessato che le operazioni di intercettazione sono state avviate e sono in corso. Sempre il pubblico ministero è tenuto a disporre l'immediata cessazione delle operazioni di intercettazione quando l'autorità giudiziaria dello Stato membro, ricevuta l'informazione di cui ai commi precedenti, comunica che non possono essere proseguite. I risultati dell'intercettazione possono comunque essere utilizzati, ma alle condizioni stabilite dall'autorità giudiziaria dello Stato membro.

(Segue). Le conseguenze sull'istradamento

Anche la disciplina con la quale si intende recepire la direttiva O.E.I., pertanto, appare idonea a determinare il superamento del principio dell'instradamento, perché è previsto l'obbligo di ricorrere alla cooperazione giudiziaria tra gli Stati europei non solo quando è necessario per ragioni tecniche, ma anche quando la persona intercettata o il dispositivo controllato si trova in altro Stato parte.

Quando queste norme saranno promulgate, dunque, almeno in ambito europeo, appaiono in grado di travolgere il principio dell'instradamento e quello della nazionalità dell'utenza, affermando la giurisdizione dello Stato nel quale si trova la persona intercettata o il dispositivo captato.

In conclusione

Sulla base di quanto illustrato sembra allora che possa concludersi che, dopo il recepimento della convenzione di Bruxelles del 2000 e, a maggior ragione, quando sarà recepita la direttiva O.E.I. del 2014, l'indirizzo giurisprudenziale consolidato sull'instradamento debba essere accantonato. Quando il telefono intercettato si trova in un altro Paese dell'Unione, sembra che si debba necessariamente procedere a compiere intercettazioni con le forme, ormai snelle ed efficaci, della cooperazione giudiziaria.

Guida all'approfondimento

In dottrina sul tema si veda:

T. BENE, Trasnazionalità dei crimini nella società confessionale: i pericoli della tecnologia e del diritto, in Giur. it., 2016, 3, p. 717;

R.G. GRASSIA, La disciplina delle intercettazioni: l'incidenza della direttiva 2014/41/UE sulla normativa italiana ed europea, in T. Bene, L. Lupària, L. Marafioti (a cura di), L'ordine europeo d'indagine, Torino, 2016, p. 199.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario