Il nuovo articolo 375 c.p., prime riflessione sul reato di frode nel processo penale e depistaggio

12 Luglio 2016

Nella seduta del 5 luglio scorso, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la proposta di legge di iniziativa dell'on. Paolo Bolognesi, Presidente dell'Associazione vittime della strage di Bologna, che introduce il reato di depistaggio.Per l'esattezza, la bozza di articolato in esame introduce una nuova fattispecie di reato: il delitto di cui all'art. 375 c.p. (Frode nel processo penale e depistaggio), che viene configurato come reato proprio del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio (in precedente lettura era reato comune).

Nella seduta del 5 luglio scorso, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva la proposta di legge di iniziativa dell'on. Paolo Bolognesi, Presidente dell'Associazione vittime della strage di Bologna, che introduce il reato di depistaggio.

Per l'esattezza, la bozza di articolato in esame introduce una nuova fattispecie di reato: il delitto di cui all'art. 375 c.p. (Frode nel processo penale e depistaggio), che viene configurato come reato proprio del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio (in precedente lettura era reato comune).

Va detto che la previsione presenta tre caratteristiche interessanti:

La prima è, appunto, quella della connotazione del delitto come reato proprio; in realtà, le condotte in esso previste (immutazione artificiosa del corpo del reato o dello stato dei luoghi; dichiarazioni false o reticenti) costituiscono già violazioni di rilievo penale anche se commesse da “chiunque” (vds. artt. 374, comma 2, e 371-bis e 372, che però hanno pena edittale inferiore); nel caso della norma di nuovo conio, la pena considerevolmente più elevata (per essere il fatto commesso da soggetto qualificato) esprime un disvalore aggiuntivo, dovuto a una sorta di “infedeltà” alla funzione pubblica e alla laesio del particolare affidamento che essa comporta anche nei rapporti con l'amministrazione della giustizia (peraltro già espresso da altre disposizioni del Capo I del Titolo III: vds. artt. 361, 362, 363, seconda parte, 374-bis, comma 2; ma anche 365, 366, 373) ed ulteriormente incrementato al ricorrere di condotte caratterizzate da particolare gravità, attraverso la previsione di aggravanti ad effetto speciale “rinforzate” (ossia sottratte a giudizio di comparazione ex art. 69 c.p.) e del raddoppio, nei casi più gravi, del termine di prescrizione;

La seconda è quella della clausola di sussidiarietà (Salvo che il fatto costituisca più grave reato), che in parte risolve il problema del concorso di norme incriminatrici. Il problema resta invece per quanto riguarda il concorso con norme penali caratterizzate da pena edittale meno grave: in questi casi, si porrà il consueto problema dell'indagine sulla configurabilità del concorso di reati o del concorso apparente di norme, da risolvere, more solito, tenendo conto da un lato del principio di specialità di cui all'art. 15 c.p. (e anche di quanto stabilito dall'art. 84 c.p.), dall'altro dell'identità o della diversità del bene giuridico offeso dalle singole disposizioni. Ad esempio si può ritenere che il concorso tra la fattispecie in esame e il delitto di falsa testimonianza o quello di false dichiarazioni al P.M. (disposizioni che ledono lo stesso bene giuridico) dovrebbe risolversi, in relazione al principio di specialità, con la prevalenza della nuova fattispecie (lettera b) rispetto a quella di cui all'art. 371-bis o all'art. 372, atteso che l'elemento specializzante è costituito qui dalla qualifica soggettiva dell'autore del reato;

La terza è costituita dall'elemento soggettivo, ossia dal dolo specifico (costituito dallo scopo di impedire, ostacolare o sviare un'indagine o un processo penale) che caratterizza la nuova figura di reato, in modo sostanzialmente analogo e coerente con quanto previsto per il reato di frode processuale di cui all'art. 374 c.p.: i problemi pratici che potrebbero incontrarsi, in alcuni casi, nell'accertamento del dolo appaiono legati alle specificità dei singoli casi concreti ma va detto che la finalità ulteriore individuata dalla nuova norma incriminatrice costituisce, a ben vedere, il proprium della stessa, essendo evidente che in tanto una condotta mendace o manipolativa all'interno di un'indagine o di un processo è meritevole di specifica censura penale, in quanto essa è finalizzata a ostacolare il raggiungimento della verità, che costituisce il fine ultimo dell'indagine e del processo.

L'attenuante prevista per il ravvedimento post delictumappare coerente con la scelta (immanente nell'intero sistema penale, sia di parte generale che di parte speciale) di incentivare l'animus poenitendi di chi, dopo aver commesso il reato, manifesta concretamente la propensione ad attivarsi per eliminare o ridurre le conseguenze del reato. Analoga e più radicale finalità ha la causa di non punibilità della ritrattazione, estesa al nuovo reato dal testo riformulato dell'art. 376 c.p.

L'esclusione della punibilità per i reati commessi in relazione a indagini o processi per reati perseguibili a querela, richiesta o istanza non presentate è coerente con quanto già previsto dall'art. 374, comma 2, c.p.; così come l'estensione della fattispecie alle indagini e ai processi della Corte Penale Internazionale è coerente con la già vigente disposizione di cui all'art. 371-bis e all'art. 374-bis c.p.

Anche il più grave regime delle pene accessorie rispetto a quello previsto dagli artt. 28 e ss. c.p. è pienamente giustificato sulla base dell'ordinamento già vigente (per numerosi reati previsti dalle disposizioni del Capo I del Titolo III è già prevista: vds. ad es. artt. 371, comma 3, 373, comma 2, 377, ultimo comma) in relazione alla particolare gravità della condotta in quanto posta in essere da soggetto investito di funzioni o servizi pubblici.

L'inserimento dell'art. 383-bis è giustificato da un duplice ordine di ragioni: la prima, di sistematica codicistica, è legata alla sostituzione dell'attuale testo dell'art. 375 (recante anch'esso Circostanze aggravanti legate alla condanna inflitta al soggetto nei cui confronti si procede); la seconda è invece legata all'inclusione di analoghe circostanze aggravanti per il reato di nuovo conio, oltreché a una diversa articolazione delle pene ivi stabilite. Altrettanto coerente con il sistema è la previsione di cui all'art. 384-ter, legata alla particolare gravità delle condotte poste in essere al fine di impedire, sviare od ostacolare indagini e processi per reati di particolare insidiosità e allarme sociale.

In definitiva, il testo all'esame è caratterizzato da un percorso logico coerente con il quadro dell'attuale ordinamento penale, rispondendo a chiare finalità di una adeguata risposta penale in riferimento a condotte poste in essere da soggetti qualificati, riguardo alle quali si avverte l'esigenza di una più severa risposta punitiva.

La tenuta costituzionale del testo sembra assicurata in relazione a tale presupposto, avuto riguardo anche ai principi affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, ad esempio con riferimento al principio di proporzionalità, inteso non soltanto quale proporzione tra gravità del fatto e sanzione penale bensì, anche e soprattutto, quale criterio generale di congruenza degli strumenti normativi rispetto alle finalità da perseguire (sentenza n. 487 del 1989); nessun problema sembra affiorare anche con riguardo alla peculiare rilevanza della condotta penale attribuita a soggetti qualificati, atteso che essa, sempre secondo la Consulta, è giustificata allorché è espressiva di un maggior danno o di un maggior pericolo per il bene giuridico tutelato (arg. ex Corte cost., sentenza n. 249 del 2010) e che nella qualifica soggettiva dell'autore del reato vi è, nella specie, un più marcato indice di offensività (ed è noto che il principio di offensività è ormai da anni ampiamente riconosciuto, in tutta la sua portata, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, anche costituzionale). Né può ipotizzarsi alcuna lesione del principio di ragionevolezza, che nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale è declinato sull'intrinseca sproporzione tra misura edittale e disvalore del fatto, specie alla luce della funzione rieducativa della pena (a partire da Corte cost. sentenza n. 313 del 1990): nella specie non solo non è dato ravvisare alcuna lesione del principio in esame, ma vi è anzi una tendenziale armonizzazione del sistema a scelte di politica criminale solidamente fondate sulle disposizioni, di rango costituzionale e sovranazionale, che hanno consacrato il principio di legalità, l'esercizio del diritto di difesa nel contraddittorio delle parti e il principio del giusto processo o fair trial (artt. 24, 27 e 111 Cost.; art. 6 Cedu).

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