“L'attività sessuale per superare i disturbi psichici”. Condannati i “medici” che fanno un uso distorto della teoria neo-reichiana

Redazione Scientifica
12 Settembre 2016

Confermate in Cassazione le condanne emesse nei confronti di tre sedicenti medici per i reati di esercizio abusivo della professione e violenza sessuale commessi in danno a pazienti affette da anoressia.

Confermate in Cassazione le condanne emesse nei confronti di tre sedicenti medici per i reati di esercizio abusivo della professione e violenza sessuale commessi in danno a pazienti affette da anoressia.

I tre imputati, in realtà psicologo, naturopata e attore, hanno esercitato rispettivamente le attività di medico, dietologo e psicoterapeuta senza averne le necessarie abilitazioni e, facendo applicazione della c.d. teoria neo-reichiana, commesso atti di violenza sessuale.

Secondo tale teoria all'origine del disturbo alimentare, unitamente ad altri fattori, vi sarebbe un problema di sessualità bloccata e pertanto le pazienti dovevano riacquistare la capacità di vivere pienamente la loro sessualità mediante l'esasperazione, in funzione terapeutica, dei tratti femminili.

Ad essere censurato però, si legge nella sentenza, non è tanto il ricorso a tale tipo di pratiche – la cui scientificità o meno non viene messa in discussione – quanto l'aver debordato da esse esercitando professioni per i quali i ricorrenti non erano abilitati o compiendo atti di compromissione della libertà di autodeterminazione sessuale di talune pazienti, approfittando, delle particolari condizioni nelle quali versavano, prescindendo perciò dal loro consenso o procurandosi consapevolmente un consenso viziato.

La circostanza che, in alcuni casi, possa essere stato espresso il consenso da parte delle vittima al rapporto sessuale con gli imputati non esclude la configurabilità del reato di violenza sessuale con abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica ex art. 609-bis, comma 2, n. 1 c.p.

Il consenso infatti – come è accaduto nel caso in esame – può ben essere mera conseguenza di una strumentalizzazione della inferiorità psichica della vittima da parte dell'autore del fatto, che abbia sfruttato le condizioni di minorata capacità di resistenza o di comprensione della natura dell'atto da parte del soggetto passivo mediante una condotta di induzione.

Tale condotta di induzione consiste in un'opera di persuasione spesso sottile o subdola con cui il partner è spinto o convinto ad atti che diversamente non avrebbe compiuto.

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