L'applicabilità della regola di giudizio del ne bis in idem: un tormentato percorso giurisprudenziale per nulla concluso

Enrico Campoli
12 Ottobre 2016

La questione del processo Eternit ha trovato un fondamentale arresto giurisprudenziale nella pronuncia n. 200 della Corte costituzionale, che è però lontana dal porre la parola "fine".
Massima

La regola di giudizio del ne bis in idem deve trovare eventuale spazio applicativo anche nel caso in cui vi sia concorso formale tra ipotesi di reato già giudicata ed altra per la quale il procedimento sia iniziato.

Il caso

L'imputato, già giudicato, con sentenza irrevocabile, in relazione ai delitti ex artt. 434 (disastro doloso) e art. 437(omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro) c.p. – decisione con la quale, tali fattispecie delittuose, aventi ad oggetto 186 persone offese, erano state dichiarate prescritte – viene sottoposto ad un nuovo esercizio dell'azione penale per omicidio volontario riguardo a 258 vittime, 72 delle quali non oggetto del primo giudizio.

Il giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Torino rimette gli atti alla Corte costituzionale paventando uno spettro di incostituzionalità più ampio di quello poi dichiarato in quanto prospetta, con riferimento agli artt. 117, primo comma, della Costituzione e art. 4, del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, l'illegittimità dell'art. 649 c.p.p. nella parte in cui limita l'applicazione del principio del ne bis idem all'esistenza del medesimo “fatto giuridico”, nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che all'esistenza del medesimo “fatto storico”.

La questione

La delicata questione sorta in merito alle note vicende delle vittime dell'amianto in provincia di Torino (c.d. processo Eternit) – oggetto, in prima istanza, di un'opinabile impostazione giudiziaria – ha trovato un fondamentale arresto giurisprudenziale nella pronuncia n. 200 della Corte costituzionale, pronuncia che, come dimostrano le numerose decisioni che si sono poi accavallate nell'ultimo periodo in merito alla regola di giudizio dettata dall'art. 649 c.p.p., è tutt'altro che caratterizzata dalla capacità di porre la parola fine.

Nell'occasione citata il giudice delle leggi, in questo richiamando quanto già affermato anni addietro in sede di legittimità (Cass. pen., Sez. unite, n. 34655/2005), ha avuto modo di precisare che ciò che rileva è che il giudice – all'esito dell'attento esame della triade composta da condotta/nesso causale/evento naturalistico e non della sola azione od omissione, come, invece, sostenuto dal giudice remittente – potrà affermare la sussistenza dell'idem factum – tra “vecchio” e “nuovo” giudizio – solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica per cui non può esservi mai dubbio sulla diversità dei fatti qualora da un'unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell'integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e quindi un nuovo evento in senso storico.

Di contro, qualora la suddetta triade di elementi sia stata presa in considerazione nel precedente giudizio occorrerà accertare se essa – nella sua composizione (condotta/nesso causale/evento naturalistico) – è stata già specificamente contestata ed in caso positivo, e solo in questo caso, ritenere la sussistenza del medesimo fatto, anche se diversamente qualificato per il titolo, per il grado e per le circostanze.

Speculare a ciò, pertanto, è l'affermazione secondo cui il fatto può essere il medesimo, e dunque legittimare l'applicazione del ne bis in idem, anche nel caso del concorso formale del reato già giudicato in modo irrevocabile e quello fatto oggetto del nuovo esercizio dell'azione penale.

Il mero ”parametro giuridico” del concorso formale dei reati, tra quelli oggetto del primo (irrevocabile) giudizio e quelli fatti oggetto del secondo (e nuovo) esercizio dell'azione penale, non è, però, da solo idoneo ad escludere l'applicabilità del ne bis in idem.

In breve, non perché il delitto ex art. 434 c.p. (o, anche, quello ex art. 437 c.p.) può essere contestato in concorso formale con il delitto di omicidio volontario ne scaturisce che di per sé non possa trovare applicazione la regola di giudizio di cui all'art. 649 c.p.p.

Quest'ultimo, per trovare applicazione come regola di giudizio, necessita che sia verificata, in concreto, la sussistenza dei singoli tre elementi costitutivi e solo dinanzi ad una verifica (positiva) di essi dovrà essere dichiarata l'estinzione del procedimento mentre in tutti gli altri casi l'esercizio dell'azione penale non può essere arrestato.

Il giudice remittente – esclusa, quindi, ogni applicazione automatica in un senso anziché in un altro della regola di giudizio in commento, e cioè la sua applicabilità tout court ovvero la sua esclusione – dovrà verificare, in concreto, la sussistenza o meno della sovrapponibilità delle tre componenti sopra citate riguardo alle 186 persone offese che facevano parte anche del primo giudizio mentre per le altre 72, il cui decesso è avvenuto successivamente ad esso, non v'è dubbio che si debba procedere oltre.

Le soluzioni giuridiche

Il giudice delle leggi, con la sentenza in commento, ha sancito l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p.. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per il quale è iniziato un nuovo procedimento penale.

Osservazioni

Lo spazio applicativo della regola di giudizio del ne bis in idem sta subendo nel corso degli ultimi anni numerosi assestamenti anche in considerazione della sempre più frequente interferenza tra decisioni in sede Cedu e “piccate” prese di posizione sia della Corte costituzionale che della suprema Corte di cassazione.

In un recente intervento, quest'ultima, (n. 25815/2016), ha avuto modo di ribadire che nel caso in cui si profili un eventuale contrasto tra una norma interna ed una norma della Convenzione Edu, il giudice nazionale deve preventivamente verificare la possibilità di interpretare la prima in senso conforme alla norma convenzionale e solo laddove ciò non sia possibile, non potendo disapplicare la norma interna contrastante, deve denunciare la rilevata incompatibilità chiedendo l'intervento della Corte costituzionale.

Quello del perimetro decisionale cui i giudici di merito italiani devono attenersi è un aspetto tutt'altro che trascurabile nel dibattito in corso perché, nella prassi, le “dirette” pronunce di sentenze di proscioglimento ex artt. 129 - 649 c.p.p. sulla base di un orientamento giurisprudenziale della Cedu sono tutt'altro che rare.

Non a caso la Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. III, n. 25815/2016) – nell'annullare con rinvio la sentenza di merito con la quale il giudice di primo grado aveva “direttamente” prosciolto ex art. 649 c.p.p. l'imputato cui era contestato il delitto ex art. 10-ter d.lgs. 74/2000 pur essendo lo stesso già stato condannato, per il medesimo fatto, in sede tributaria – ha avuto modo di affermare che gli strumenti preventivi e riparatori che compongono il quadro sistematico all'interno del quale si colloca la disciplina di cui all'art. 649 cod. proc. pen. presuppongono tutti la comune riferibilità dei più procedimenti per il medesimo fatto all'autorità giudiziaria penale : è, dunque, tale quadro sistematico, in uno con la considerazione letterale della disposizione codicistica, che preclude un'interpretazione di quest'ultima che ne estenda l'ambito applicativo a sanzioni irrogate l'una dal giudice penale, l'altra da un'autorità amministrativa (Sez. V, ordinanza n. 1782/2015).

Del resto, già in una precedente decisione, sia pur in data antecedente alla sentenza della Corte di Strasburgo (Grande Stevens c. Italia) del 4 marzo 2014, la Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. unite, n. 37424/2013), proprio sul punto, aveva affermato che il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto (art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000) non si pone in rapporto di specialità ma di progressione illecita con l'art. 13, comma primo, d. lgs. n. 471/1997, che punisce con la sanzione amministrativa l'omesso versamento periodico dell'imposta entro il mese successivo a quello di maturazione del debito mensile IVA, con la conseguenza che al trasgressore debbano essere applicate entrambe le sanzioni.

Sulla base di tali premesse, secondo i giudici di legittimità, l giudice di merito […] avrebbe dovuto constatare la non possibilità di interpretare l'art. 649 cod. proc. pen. in senso conforme alla norma convenzionale e sollevare questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 117 Cost. comma 1, in relazione all'art. 4 del Procotollo n. 7 Cedu, nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali e dei relativi Protocolli.

Nelle conclusioni – una volta rilevata l'impossibilità di sollevare, d'ufficio, la questione di legittimità ovvero quella pregiudiziale di interpretazione, attesa la circostanza che non vi è prova della definitività dell'accertamento tributario – si è avuto modo, infine, di evidenziare che la Corte costituzionale (sentenza n. 102/2016), proprio in relazione a questioni inerenti il rispetto del principio del ne bis idem come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, in casi di cosiddetto “doppio binario” sanzionatorio, cioè in casi nei quali la legislazione nazionale prevede un doppio livello di tutela, penale e amministrativo”, nel dichiarare l'inammissibilità della questione, ha perentoriamente affermato che “il divieto di ne bis in idem ha carattere processuale e non sostanziale” e che “spetta innanzi tutto al legislatore stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che tale sistema genera tra l'ordinamento nazionale e la Cedu.

L'insieme degli orientamenti fini qui susseguitisi, sia sotto il profilo di legittimità che di costituzionalità, fa emergere una costante ed evidente fibrillazione di cui neanche la pronuncia n. 200 della Corte costituzionale può essere considerata il momento finale.

Se da un lato è vero, difatti, come ammette anche la Consulta, che oramai la Convenzione recepisce il più favorevole criterio dell'idem factum, a dispetto della lettera dell'art. 4 del Protocollo n. 7, anziché la più restrittiva nozione di idem legale non discende affatto da ciò, e per i motivi sopra esposti, che il test di comparazione tra fatto già giudicato definitivamente e fatto oggetto di una nuova azione penale dipenda esclusivamente dalla medesimezza della condotta dell'agente.

Questa “tirata d'orecchi” al giudice remittente non pare, però, sormontare il quesito del ragguaglio, in concreto, tra fatto storico e fatto giuridico ove solo si ponga mente alla circostanza che, anche all'esito dello specifico giudizio di merito per omicidio volontario, che eventualmente sancisca l'innocenza dell'imputato, al maturare di ulteriori morti per le conseguenze dell'amianto, consumatesi nella medesima situazione fattuale, lo stesso potrà essere/sarà nuovamente soggetto alla legittimata iniziativa dell'azione penale (“vita natural durante”) in quanto le stesse costituiranno, indiscutibilmente, un nuovo fatto storico.

Guida all'approfondimento

BONIFACIO, Sentenza Eternit. Applicazione del principio del ne bis in idem e secondo giudizio per il medesimo fatto;

D'ALTILIA, Ne bis in idem e reati tributari : la Corte Costituzionale restituisce gli atti per jus superveniens.

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