Il concorso del professionista nei reati tributari

13 Giugno 2016

La Corte di cassazione affronta il tema del concorso del professionista nei reati tributari, affermando che sussiste il concorso nel reato di frode fiscale ogniqualvolta un soggetto, pur non rivestendo alcuna carica all'interno della compagine sociale, abbia partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito, alla società utilizzatrice delle fatture per operazioni inesistenti, un risparmio d'imposta.
Massima

È configurabile il concorso nel reato di frode fiscale di coloro che – pur non rivestendo cariche nella società cui si riferisce l'emissione di fatture per operazioni inesistenti – abbiano, in qualsivoglia modo, partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito alla società utilizzatrice delle fatture per operazioni inesistenti di potersi procurare fatture passive da inserire in dichiarazione per abbattere l'imponibile societario, non rilevando, peraltro, la prova dell'effettivo inserimento in dichiarazione delle medesime, stante la natura di reato di pericolo del delitto di cui all'art. 8, d.lgs. 74 del 2000, che punisce la sola emissione o rilascio delle fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, a differenza della speculare previsione dell'art. 2, d.lgs.74 del 2000, che non richiede solo l'avvalersi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ma anche, e soprattutto, l'indicazione in una delle dichiarazioni relative a dette imposte di elementi passivi fittizi.

Il caso

La Corte d'appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di Arezzo, dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione di un reato e riduceva, di conseguenza, la pena comminata all'imputato ritenuto responsabile, quale professionista incaricato di tenere la contabilità di diverse società, di essere concorso nell'emissione di fatture per operazioni inesistenti, avendo prospettato a due dei propri clienti la possibilità di inserire dei costi fittizi al fine di ridurre il carico fiscale.

L'imputato, a mezzo dei propri difensori, ricorreva per Cassazione prospettando tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo, il ricorrente deduceva la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, il travisamento del fatto e della prova nonché l'omessa applicazione dei criteri di valutazione della prova, contenuti nell'art. 192 c.p.p., in relazione alle dichiarazioni rese dal coimputato.

Secondo il ricorrente, i giudici dell'appello avevano, infatti, fondato il giudizio di responsabilità dell'imputato sul ritrovamento, nell'ufficio professionale del predetto, delle fatture incriminate nonché degli assegni emessi in favore del fornitore, omettendo di considerare che la ragione di tale ritrovamento era legata all'incarico per la tenuta della contabilità ricevuto dal soggetto che aveva emesso le fatture.

Con gli altri due motivi di ricorso, il ricorrente rilevava che i fatti erano già prescritti all'epoca della sentenza di appello e si doleva del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sotto il profilo della manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.

I giudici di legittimità dichiaravano il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, sulla scorta del fatto che la sentenza della Corte d'appello risultava adeguatamente motivata.

La Corte fiorentina, infatti, aveva correttamente evidenziato che gli assegni rinvenuti, rilasciati dalle due imprenditrici, erano numerosi e riportanti l'intestazione a "me medesimo", senza l'apposizione di alcuna girata, circostanza che portava ad escludere che il professionista, nonostante fosse il prenditore formale dei titoli, risultasse come intermediario.

Inoltre, veniva sottolineato come la Corte di secondo grado aveva giustamente inferito la responsabilità dell'imputato, che era il tenutario delle scritture contabili, dalla circostanza che nonostante il soggetto emittente le false fatture fosse un imprenditore edile, i documenti contabili erano relativi a operazioni commerciali del tutto estranee all'oggetto sociale della società, riferendosi infatti ad acquisti di argento.

Alla luce di tali considerazioni, la suprema Corte riteneva immune da vizi la pronuncia della Corte territoriale che aveva puntualmente confutato le censure difensive.

I giudici del supremo Consesso riservavano, infine, la medesima sorte anche agli altri due motivi di ricorso, dichiarando gli stessi inammissibili.

La questione

Nel decidere sui motivi di doglianza rappresentati dal ricorrente, la suprema Corte di cassazione affronta il tema del concorso del professionista nei reati tributari, affermando che sussiste il concorso nel reato di frode fiscale ogniqualvolta un soggetto, pur non rivestendo alcuna carica all'interno della compagine sociale, abbia partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito, alla società utilizzatrice delle fatture per operazioni inesistenti, un risparmio d'imposta.

La decisione conferma l'indirizzo ermeneutico seguito dalla suprema Corte in tema di concorso del professionista nei reati tributari commessi dal proprio cliente.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione adottata dalla Corte di cassazione, nella decisione in commento, appare in linea con un recente arresto dei giudici di legittimità, in tema di misure cautelari.

Con la sentenza n. 23522 del 5 giugno 2015, la Corte di cassazione ha respinto entrambi i motivi di ricorso proposti da un professionista, confermando la misura degli arresti domiciliari nei confronti di quest'ultimo, dopo aver affermato che il commercialista che partecipa ad una complessa attività di frode fiscale, fornendo consiglio e impartendo direttive sulle false fatturazioni – in particolare, dando indicazioni sui dati da inserire nei documenti contabili – può rispondere di concorso con il clientedei reati fiscali commessi da quest'ultimo.

Nella stessa direzione si è mossa la suprema Corte con la sentenza n. 24697 del 2015, confermando una misura ablativa adottata dal giudice di merito sui beni del professionista, ritenuto compartecipe dei reati tributari commessi dall'amministratore della società di cui era depositario delle scritture contabili.

In particolare, il commercialista veniva rinviato a giudizio per avere istigato l'omissione degli adempimenti fiscali e per il reato di dichiarazione infedele, nella sua qualità di tenutario delle scritture contabili e incaricato della redazione e della trasmissione delle dichiarazioni fiscali.

Secondo i giudici di legittimità, in caso di illecito plurisoggettivo, deve applicarsi il principio solidaristico che implica l'imputazione dell'intera azione e dell'effetto conseguente in capo a ciascun correo, di conseguenza la confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono essere disposti indifferentemente sui beni di ciascuno dei concorrenti.

Merita un cenno, infine, una recentissima pronuncia, la n. 9328 del 7 marzo 2016, con la quale la Corte di legittimità ha respinto il ricorso del commercialista avverso l'ordinanza del tribunale del riesame che confermava la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale, per aver concorso alla commissione di atti fraudolenti finalizzati alla sottrazione del pagamento delle imposte sui redditi della società e per essersi intromesso in interposizioni fittizie relative alle quote societarie.

Il supremo Consesso rigettava le doglianze difensive e stabiliva che la stessa costituzione del trust è un atto che intrinsecamente pone in pericolo la garanzia patrimoniale del credito fiscale, finalità per la quale il trust, nel caso di specie, era stato appositamente costituito.

Proprio la consapevolezza di tale intento elusivo e frodatorio era stato l'elemento valorizzato per riconoscere la responsabilità del professionista, il quale aveva prestato la propria attività per la realizzazione dell'interposizione fittizia mediante la costituzione del trust.

Osservazioni

Come noto si connotano per essere, nella maggior parte dei casi, dei reati propri, anche detti, per usare una definizione coniata dalla dottrina più accorta, a soggettività ristretta.

È del tutto evidente, del resto, che il soggetto attivo del reato può essere soltanto il contribuente obbligato nei confronti del fisco, poiché l'obbligo dell'adempimento fiscale costituisce il presupposto della condotta tipica sanzionata dalle norme contenute nel d.lgs. 74 del 2000.

Tuttavia, i commercialisti, i consulenti contabili nonché gli avvocati e in generale quei soggetti che prestano assistenza in materia tributaria, occupano una posizione estremamente delicata e rischiosa, con riferimento agli eventuali illeciti che si possono configurare in capo ai soggetti qualificati, da loro assistiti.

Occorre sempre tenere presente, tuttavia, che per ritenere il professionista compartecipe nei reati tributari perpetrati dal proprio cliente è necessario che sia integrato il dolo tipico del concorso e, dunque, che l'apporto professionale prestato sia intriso di volontà fraudolenta.

L'indagine che l'Autorità giudiziaria sarà chiamata a svolgere, pertanto, dovrà essere tesa ad accertare che il professionista abbia agito scientemente ed unitamente al cliente, al fine di realizzare lo scopo da quest'ultimo prefigurato.

Correttamente dovrà, quindi, escludersi la responsabilità a titolo di concorso quando il professionista abbia operato sulla base dei dati fornitigli dal cliente, sulla veridicità dei quali quest'ultimo ha garantito e non vi siano, comunque, elementi dai quali poterne desumere la mendacità.

Così come sarà immune da censure l'operato del professionista che si sia limitato a prestare una mera consulenza, informando il proprio cliente delle possibili conseguenze, anche penali, derivanti da determinate scelte.

Del resto, se così non fosse, si rischierebbe di ricomprendere nella portata punitiva dei reati in argomento anche tutte quelle condotte che rientrano nell'attività tipica del professionista.

Deve, tuttavia, osservarsi che, purtroppo, l'eccessiva indeterminatezza e genericità dei precetti normativi ed, in particolare, dei confini – non sempre chiari – tra l'esercizio della professione e i comportamenti astrattamente configurabili la fattispecie tipica di reato, non sempre consentono un netto distinguo tra ciò che è lecito e ciò che non lo è.

Guida all'approfondimento

CERQUA, Concorso del professionista nei reati commessi dal proprio cliente, in Dir. Prat. Società, 2000, 1, 39;

FIANDACA - MUSCO, Diritto penale, Parte generale, Bologna, 2007;

FLORA, I soggetti responsabili ed il concorso di persone nei reati tributari (tra presente e futuro), in Rassegna Tributaria, 2015, 3, 587.

LANZI – ALDOVRANDI, Diritto penale tributario, Padova, 2014;

SCOFATI, Il concorso di persone nel reato, Giuffrè, 2013.

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