Le circostanze aggravanti del delitto di violenza sessuale aggravata

14 Gennaio 2016

La legge 15 febbraio 1996, n. 66 Norme contro la violenza sessuale ha ridisciplinato l'intera materia dei reati sessuali. Nello specifico l'art. 4 ha introdotto l'art. 609-ter c.p., che prevede alcune nuove circostanze aggravanti speciali collegate alla commissione del delitto di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.).
Abstract

La legge 15 febbraio 1996, n. 66 Norme contro la violenza sessuale ha ridisciplinato l'intera materia dei reati sessuali. Nello specifico l'art. 4 ha introdotto l'art. 609-ter c.p., che prevede alcune nuove circostanze aggravanti speciali collegate alla commissione del delitto di violenza sessuale (art. 609-bis c.p.). Secondo la previgente disciplina, infatti, solo alcune ipotesi attualmente previste dall'art. 609-ter c.p. potevano comportare un inasprimento di pena ai sensi dell'art. 61 c.p.

L'art. 609-ter è stato successivamente oggetto di modifiche ad opera:

l. 15 luglio 2009, n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (art. 609-ter, comma 1, n. 5-bis);

d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119 Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province (art. 609-ter, comma 1, n. 5 e 5-ter);

d.lgs. 4 marzo 2014, n. 39, Attuazione della direttiva 2011/93/Ue relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile (art. 609-ter, comma 1, n. 5-quinques e 5-sexies).

Inquadramento

In merito alla qualificazione giuridica delle ipotesi contemplate dall'art. 609-ter c.p. sono state prospettate due diverse opzioni ermeneutiche: secondo alcuni si tratta di circostanze aggravanti; secondo altri costituiscono fattispecie autonome. Il quesito si è posto perché da un lato i lavori preparatori della legge e la stessa rubrica dell'art. 609-ter fanno espresso riferimento alle “circostanze aggravanti”; dall'altro gli artt. 609-sexies, 609-septies, 609-nonies e 609-decies c.p. riportano all'interno delle singole disposizioni la dicitura i delitti previsti dall'art. 609-ter c.p.

Il contrasto è stato risolto evidenziando che l'art. 609-octies c.p., fattispecie incriminatrice, riporta, invece, nel corpo del testo l'espressione le circostanze aggravanti previste dall'art. 609-ter. Di conseguenza si ritiene che la diversa formulazione delitti previsti dall'art. 609-ter, utilizzata nelle altre fattispecie non incriminatrici sopra menzionate, sia una mera imprecisione lessicale del legislatore e deve essere intesa come delitti circostanziati, come tali fondati sulla compenetrazione in un'unica fattispecie normativa dei fatti congiuntamente descritti dai disposti degli artt. 609-bis e 609-ter c.p.

Si tratta, dunque, di circostanze aggravanti speciali, che possono concorrere con quelle comuni di cui all'art. 61 c.p. Quella prevista al comma 2 è ad effetto speciale. Quelle di cui al comma 1 comportano, infatti, la pena della reclusione da sei a dodici anni, mentre l'ultima addirittura da sette a quattordici anni.

In base al disposto della norma l'aggravamento si produce in relazione alla fattispecie base dell'art. 609-bis c.p. Il richiamo operato dall'art. 609-octies c.p. all'art. 609-ter c.p., invece, stabilisce in modo generico che se ricorre una delle ipotesi ivi previste bisogna procedere ad un aumento di pena non specificamente determinato. Si reputa, pertanto, di dover far riferimento ai principi generali in tema di circostanze.

Nell'ipotesi di concorso di più circostanze del comma 1 si applica l'art. 63, commi 1 e 2, c.p., mentre in quella di concorso di una o più circostanze del comma 1 con quella del comma 2, si applica l'art. 63, comma 3.

Le circostanze che fanno riferimento alla maggiore vulnerabilità della persona offesa

Le circostanze contemplate dall'art. 609-ter c.p. possono distinguersi in due gruppi in base alla ratio della loro introduzione: il primo prende in considerazione la maggiore vulnerabilità della vittima, dovuta, ed es., all'età della persona offesa, e, quindi, meritevole di una tutela più accentuata da parte dell'ordinamento. Il secondo si caratterizza per le particolari modalità di realizzazione del reato e per l'insidiosità della condotta, che evidenziano il suo più intenso disvalore tale da giustificare l'inasprimento di pena.

Sono riconducibili al primo gruppo le aggravanti previste ai numeri 1, 4, 5, 5-bis, 5-ter e 5- quater del comma 1 e quella del comma 2.

L'art. 609-ter, comma 1, n. 1c.p.Contempla l'ipotesi che il delitto sia commesso nei confronti di persona che non ha ancora compiuto i quattordici anni.

L'ambito preciso di applicazione dell'aggravante si perimetra facendo riferimento al comma 2 del medesimo articolo che regolamenta i casi in cui le vittime non hanno ancora compiuto 10 anni: di conseguenza ricomprende necessariamente solo le ipotesi in cui i soggetti passivi hanno un'età ricompresa tra i 10 e i 14 anni.

La ratio della disposizione s'individua nella necessità di tutelare maggiormente gli infraquattordicenni, sui quali l'esecuzione di determinati atti può causare conseguenze e traumi di maggiore intensità rispetto ad un adulto.

Per quanto attiene ai rapporti tra l'aggravante prevista al n. 1 del comma 1 e quella al n. 5 si pone la questione di quale delle due si applichi quando, ad es., un genitore violenta la figlia tredicenne, in quanto la prima sancisce l'aggravamento di pena quando la violenza è perpetrata nei confronti di un minore di anni quattordici, la seconda di un minore di anni diciotto da parte di un ascendente, di un genitore, ecc.

Secondo un primo orientamento, poiché l'art. 609-ter c.p. è una disposizione a più norme aggravatrici, la soluzione di un eventuale concorso di circostanze andrebbe ricercata sul piano della ratio delle singole ipotesi: si dovrebbe tenere in considerazione solo quella di cui al n. 1, del comma 1, perché tra le due è possibile ravvisare un'identità di ratio (la vulnerabilità della vittima) e perché la qualità del colpevole (ascendente, genitore, ecc.) non possiede quel disvalore tale da giustificare l'applicazione congiunta di entrambe. Il concorso sarebbe apparente e andrebbe risolto sulla base del principio del ne bis in idem sostanziale. Secondo un altro orientamento, invece, l'aggravante di cui al n. 5 presenterebbe un quid pluris perché trova ragione d'essere anche nella specifica qualità rivestita dai soggetti attivi. Di conseguenza si configurerebbe un concorso formale e non apparente, proprio perché il legislatore ha voluto punire con una pena maggiore le violenze in famiglia, in quanto si caratterizzano per la loro particolare pericolosità e comportano conseguenze psichiche di ampia portata. Per un'ulteriore impostazione la questione deve essere risolta in base al disposto dell'art. 68 c.p., che disciplina i casi in cui quando una circostanza aggravante comprende in sé un'altra circostanza aggravante, ovvero una circostanza attenuante comprende in sé un'altra circostanza attenuante. Di conseguenza in virtù del criterio dell'assorbimento ivi accolto si applica un solo aumento della pena base.

In merito all'imputazione della circostanza l'art. 609-sexies c.p. dispone che il colpevole non può invocare a propria scusa l'ignoranza dell'età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile. Si tratta di una presunzione juris et de jure non superabile da prova contraria. In caso di concorso di persone tale ipotesi non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 118 c.p. Di conseguenza gli effetti aggravanti si estenderanno anche ai compartecipi che abbiano ignorato l'età della vittima.

Art. 609-ter, comma 1, n. 4 c.p.Punisce chiunque agisca su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale, anche nelle ipotesi in cui l'agente non riveste una qualifica pubblicistica. Soggetti attivi di tale circostanza sono, infatti, tutti coloro i quali approfittano della situazione in cui versa la persona offesa (ad es. un detenuto nei confronti di un altro detenuto) e non solo i preposti alla custodia (Cass. pen., Sez. III, 4 novembre 2009, n. 49586), i quali rispondono del reato aggravato soltanto quando hanno agito con violenza o minaccia o a titolo d'induzione, poiché nel caso di abuso di autorità quest'ultimo è elemento costitutivo del reato.

L'individuazione dell'esatta estensione della clausola persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale è risultata complicata.

L'utilizzo della parola comunque, infatti, non indica soltanto una situazione di arresto, fermo, reclusione o internamento, ma riguarda anche altre ipotesi quali gli arresti domiciliari, la detenzione domiciliare, la semi libertà, l'accompagnamento alla frontiera (se straniero) o la sottoposizione ad un trattamento sanitario obbligatorio. I casi, invece, del detenuto che fruisce del permesso o della persona affidata in prova al servizio sociale o sottoposta alla libertà vigilata o semilibertà sono più problematici. Secondo parte della dottrina l'aggravante sarebbe applicabile perché anche in queste situazioni è ravvisabile ugualmente una condizione di maggiore vulnerabilità della persona offesa che giustifica l'inasprimento della pena (si fa l'esempio del responsabile di una cooperativa sociale che, in cambio di un parere favorevole sulla condotta della persona affidatagli, pretenda prestazioni sessuali).

Secondo un orientamento rientrerebbero nell'ambito di applicazione della clausola sia i casi in cui la restrizione della libertà è lecita, sia quelli in cui non lo è, come il sequestro di persona (Cass. pen., Sez. III, 4 novembre 2009, n. 49586).

La circostanza non rientra in quelle disciplinate dall'art. 118 c.p. per cui si applica a tutti i concorrenti.

Art. 609-ter, comma 1, n. 5c.p.Prevede l'aggravamento quando l'atto sessuale è commesso nei confronti di persona che non ha ancora compiuto i diciotto anni ed il soggetto attivo è l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore. L'art. 1, comma 1-ter, del d.l. 93/2013, ha esteso l'applicazione dell'aggravante ai fatti commessi in danno dei minori di anni diciotto, prima limitata a quelli compiuti in danno di un minore degli anni sedici.

La ratio della disposizione può essere rintracciata nella più intensa gravità del delitto derivante dalla maggiore facilità con cui il familiare approfitta del ruolo che ricopre nella vita del minore e nella profondità dell'offesa subita derivante anche dalla lesione del rapporto familiare.

L'individuazione dei soggetti attivi richiamati non presenta particolari difficoltà. L'aggravante si applica anche quando la vittima è un figlio nato fuori dal matrimonio: il disposto dell'art. 540 c.p. infatti, equipara la filiazione legittima a quella naturale quando il rapporto di parentela è considerato come elemento costitutivo o come circostanza aggravante o attenuante o come causa di non punibilità.

Non sono richiamate, invece, le ulteriori figure menzionate (convivente del genitore o soggetto a cui il minore è affidato) nel nuovo art. 609-quater, n. 2, c.p.

Il mancato coordinamento tra le due disposizioni ha sollevato diverse perplessità. Secondo parte della dottrina la scelta legislativa è dovuta alla presenza dell'aggravante comune dell'art. 61, n. 11, c.p. che determina, tra l'altro, un aggravamento – fino ad un terzo - maggiore rispetto all'art. 609-ter, comma 1, n. 5, c.p.

In merito ai rapporti con l'aggravante di cui all'art. 61, n. 11 c.p. si sono prospettate due questioni.

La prima attiene al concorso tra le due norme, che si realizza quando l'ascendente, il genitore o il tutore abbiano anche abusato delle relazioni domestiche, della coabitazione o dell'ospitalità (si pensi al caso del nonno che violenta la nipote quindicenne mentre è ospite a casa sua). In merito si sono formati due orientamenti dottrinari. Secondo il primo si deve ritenere prevalente l'aggravante comune. Se si applicasse quella speciale, infatti, si avrebbe una pena più mite e, in tal modo, ci si porrebbe in contrasto con la volontà legislativa, deducibile anche dai lavori parlamentari, di inasprire la pena nel caso di violenza sessuale commessa da un soggetto qualificato. Secondo un'altra impostazione, invece, si realizza un concorso di circostanze poiché l'art. 609-ter, comma 1, n. 5, c.p. non richiama elementi quali l'abuso di ospitalità o di coabitazione, che connotano ulteriormente il fatto di gravità.

Il secondo quesito riguarda l'applicabilità, o meno, della disposizione di cui all'art. 61, n. 11 quando la violenza è commessa dall'ascendente, dal genitore anche adottivo o dal tutore mediante abuso di autorità. La dottrina ha sostenuto l'inapplicabilità dell'aggravante perché ritenuta già rilevante come elemento costitutivo del fatto tipico di violenza sessuale. L'abuso di autorità richiamato nell' art. 61, n. 11 viene assimilato, infatti, all'abuso di coabitazione. Se si esclude il concorso fra ipotesi circostanziali riportate nell'ambito dello stesso numero (ad es. abuso di coabitazione e di prestazione d'opera) lo si dovrebbe negare anche quando il medesimo dato compare come elemento costitutivo del fatto tipico. Di conseguenza se non si può aggravare due volte la pena a chi ha commesso un qualsiasi altro fatto di reato con abuso di autorità e di coabitazione, in ossequio al principio del ne bis in idem, non si potrà applicare l'art. 61, n. 11 c.p. al reo che ha realizzato il delitto di violenza sessuale con abuso di autorità e con abuso di coabitazione.

L'aggravante non rientra nel campo di applicazione dell'art. 609-sexies c.p. perché nel concreto è difficile che il soggetto attivo, considerati i suoi rapporti con la vittima, non ne conosca l'età.

Art. 609-ter, comma 1, n. 5-bis, c.p.La previsione è stata aggiunta dal comma 23 dell'art. 3, l. 94/2009 e sanziona chi commette violenza sessuale all'interno o nelle immediate vicinanze di un istituto d'istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa.

Tale aggravante è stata introdotta per contrastare il fenomeno degli abusi sessuali perpetrati all'interno di asili, parrocchie, centri sportivi, ecc. a danno di allievi minori. Le ragioni per cui si ritiene che la condotta di reato realizzata secondo le modalità descritte dall'aggravante si connoti per un disvalore più intenso sono diverse. Esse si rinvengono nelle conseguenze degli abusi sessuali perpetrati nei luoghi d'istruzione o di formazione che si possono produrre sul corretto sviluppo della personalità della vittima; nella maggiore gravità della commissione del delitto in posti dove il soggetto passivo è sicuramente più esposto e vulnerabile, perché si affida a quelli che dovrebbero essere educatori ed insegnanti; nella più accentuata pericolosità sociale di chi compie violenza sessuale in istituti abitualmente frequentati da bambini e giovani, naturali destinatari dell'istruzione e della formazione.

L'individuazione della ratio dell'aggravante è fondamentale per determinare i suoi confini applicativi perché consente di stabilire, in via interpretativa, se l'espressione frequentare debba essere intesa, più restrittivamente, come attribuibile solo ad destinatario dell'istruzione o formazione o se è riferibile anche alle situazioni in cui la vittima sia una persona che frequenta l'istituto per ragioni professionali (ad es. l'insegnante di una scuola). Si ritiene maggiormente sostenibile la prima interpretazione perché se il soggetto passivo non è il diretto destinatario della formazione, ma qualcuno che, ad es., vi lavora, la violenza subita non reca offesa al corretto sviluppo della personalità, profilo individuato come motivo di maggior disvalore della condotta. Per istituti di formazione ed istruzione si devono intendere tutte le tipologie di scuole, pubbliche o private (comprese le scuole di danza o calcio, centri estivi, ecc.).

L'aggravante è speciale rispetto a quella comune contemplata dall'art. 61, n. 11-ter, che commina un inasprimento di pena più contenuto per chi commette un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all'interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o formazione. Le due circostanze non possono concorrere. La circostanza di cui all'art. 609-ter, comma 1, n. 5-bis,c.p. si applica, a differenza di quella comune, sia nel caso in cui il soggetto passivo sia un minore, sia una persona di età pari o superiore ai diciotto anni (ad es. nel caso di abusi sessuali commessi da un docente universitario ai danni di una studentessa) poiché fa genericamente riferimento alla persona offesa. In questa ipotesi, infatti, la presenza di un minore è eventualmente legata (potendosi la condotta estrinsecarsi nei confronti di persone offese maggiorenni) al luogo nel quale lo stesso si forma.

Art. 609-ter, comma 1, n. 5-ter, c.p.La disposizione sanziona l'ipotesi in cui il fatto di reato è commesso ai danni di una donna in stato di gravidanza è stata inserita dall'art. 1, comma 2, del d.l. 93/2013, intervento normativo principalmente dedicato all'introduzione di nuove misure volte a contrastare la violenza di genere ovvero ai danni delle donne, con particolare riguardo a quella commessa in ambito familiare e domestico. In questa ipotesi la pena è aumentata non solo per rafforzare la tutela di un soggetto particolarmente vulnerabile a causa della gravidanza, condizione che diminuisce la capacità di difendersi, ma soprattutto perché una violenza sessuale su una donna incinta espone a pericolo sia quest'ultima, sia il feto.

L'aggravante è considerata speciale rispetto a quella comune di cui all'art. 61, n. 5, c.p. quando l'unico elemento di minorata difesa coincide con lo stato di gravidanza della vittima. Di conseguenza se non sussistono altre circostanze di tempo e di luogo di cui il reo ha approfittato, il giudice dovrebbe calcolare solo l'aggravante di cui all'art. 609-ter, comma 1, n. 5-ter c.p. e non quella comune. Tale impostazione, però, contrasta con la volontà legislativa di sanzionare più gravemente le violenze sessuali perpetrate ai danni delle donne incinte perché l'aggravante comune prevede un aumento di pena fino ad un terzo, perciò maggiore rispetto a quello stabilito dalla circostanza speciale (fino ad un quinto).

Per quanto attiene alla gravidanza, si deve trattare di una condizione in cui la vittima versa al momento della violenza sessuale, perché non rilevano eventuali gravidanze successive o conseguenze della violenza stessa. Per la sua nozione si deve far riferimento alla letteratura medico-scientifica, che considera tale lo stato della donna dal concepimento fino al parto.

Il profilo maggiormente problematico nella prassi applicativa non attiene tanto all'accertamento della gravidanza (se non nei casi limite: quando, ad es., la denuncia interviene a mesi di distanza dalla consumazione del delitto e non si può datare con esattezza il concepimento rispetto al momento di commissione della violenza sessuale), quanto piuttosto alla sussistenza dell'elemento soggettivo in capo al reo in ordine alla condizione della persona offesa. In merito si ritiene applicabile l'art. 59, comma 2, c.p. per cui verrà inflitta una pena aggravata non solo quando sussiste il dolo dell'agente rispetto allo stato di gravidanza, ma anche quando gli si può muovere un addebito per colpa in ordine alla mancata percezione di questo particolare stato della persona offesa.

La circostanza non rientra in quelle ex art. 118 c.p.p. per cui si comunica a tutti i concorrenti.

Art. 609-ter, comma 1, n. 5-quarter c.p.È stato aggiunto dall'art. 1, comma 2, d.l. 93/2013 e contempla l'ipotesi in cui il fatto di reato sia posto in essere nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato in passato da relazione affettiva, anche senza convivenza.

La ratio è la medesima della precedente ipotesi individuata al n. 5-ter, ovvero contrastare la c.d. violenza di genere, realizzata nella forma più insidiosa del rapporto di coppia o quando la relazione è conclusa e la violenza diviene una forma di ritorsione nei confronti dell'ex partner. In base alla disposizione, infatti, i fatti commessi in costanza di un rapporto coniugale o affettivo hanno la stessa rilevanza aggravatrice di quelli realizzati quando la relazione è terminata. La circostanza sancisce, inoltre, il superamento della presunzione in base alla quale quando il rapporto sessuale è stato estorto mediante costrizione da un coniuge in danno dell'altro non si realizza violenza sessuale, ma al più si ha la commissione di illeciti meno gravi. Nell'ambito delle relazioni di coniugio o semplicemente di coppia la violenza si considera aggravata per la particolare vulnerabilità della vittima di fronte ad abusi perpetrati da soggetti nei cui confronti la persona offesa è più affettivamente esposta e, pertanto, più debole.

Art. 609-ter, comma 2, c.p.Stabilisce che sia assoggettato ad una pena da sette a quattordici anni chi compie un atto sessuale nei confronti di persona che non ha ancora compiuto dieci anni.

Si tratta di circostanza ad effetto speciale. La ratio della disposizione è quella di reprimere più duramente la piaga della pedofilia. In questa ipotesi la violenza è comunque presunta perché si applica il principio dell'intangibilità sessuale del minore. Si ritiene, infatti, che il minore non ha raggiunto uno sviluppo ed una maturità psico-fisica tali da comprendere il significato e da valutare le conseguenze legate alla sfera dei rapporti sessuali.

Le circostanze che fanno riferimento alla maggiore insidiosità della condotta

Sono riconducibili al secondo gruppo le aggravanti previste ai numeri 2, 3, 5-quinques e 5-sexies:

Art. 609-ter, comma 1, n. 2, c.p.Prevede l'eventualità che il delitto sia commesso con l'uso di armi o di sostanze alcooliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesive della salute della persona offesa.

Il legislatore ha ritenuto di inasprire la pena in tutte le ipotesi in cui la vittima è posta maggiormente a rischio a causa dell'utilizzo di strumenti tipicamente offensivi come le armi o, comunque, di mezzi insidiosi che diminuiscono e annullano le capacità psichiche (è il caso, ad es., di chi somministri caffè mescolato con narcotici, v. Cass. pen., Sez. III, 8 giugno 2011, n. 29603, o dell'anestesista che somministri farmaci anestetici allo scopo di porre in essere la condotta illecita, v. Cass. pen., Sez. III, 5 marzo 2008, n. 18360) o che colpiscono l'integrità fisica in modo ulteriore rispetto alla stessa violenza sessuale. La ratio della disposizione, pertanto, è quella di reprimere più severamente comportamenti volti ad attenuare o sopprimere la capacità di resistenza psicho-fisiche della vittima attraverso l'utilizzazione di strumenti potenzialmente idonei a compromettere la sua salute.

La condotta del reo si qualifica per l'impiego di mezzi tipici e atipici. Nella prima categoria rientrano le armi e le sostanze alcooliche, narcotiche o stupefacenti. La nozione di arma si ricava dall'art. 585, comma 2, c.p. Sono, pertanto, rilevanti sia quelle proprie sia quelle improprie (per cui la circostanza è applicabile anche quando manca – o viene successivamente a mancare – il consenso di uno dei due partner ad un rapporto di natura sadomasochistica nel corso del quale si utilizzano per i giochi erotici strumenti che possono comma 3 dell'art. 585 assimila i materiali esplodenti e i gas asfissianti e accecanti alle armi. In concreto, però, difficilmente tali materiali posso essere usati per costringere un altro soggetto ad un atto sessuale. L'unica ipotesi che si ritiene possa essere ricondotta a tali modalità è quella dell'impiego di una bomboletta spray in un contesto in cui il reo se ne serve per vincere la resistenza della vittima. La bomboletta spray, infatti, è assimilabile al gas accecante ed generalmente può essere usata come mezzo antiaggressione. Secondo parte della dottrina non è necessario che l'agente utilizzi armi vere ma è sufficiente che faccia uso di armi giocattolo o sceniche, purché prive del tappo rosso di riconoscimento. L'art. 5, comma 6, legge 18 aprile 1975, n. 110, così come modificato dall'art. 2, legge 21 febbraio 1990 n. 36, stabilisce, infatti, che quando l'uso o il porto di armi è previsto come elemento costitutivo o come circostanza aggravante del reato, il reato sussiste o è aggravato anche qualora si tratti di arma per uso scenico o di giocattoli riproducenti armi la cui canna non sia occlusa a norma del quarto comma. Per quanto attiene alla nozione di sostanze alcooliche, narcotiche o stupefacenti, è necessario fare rinvio a quella fornita dalle discipline scientifiche perché non è possibile rinvenirne una a carattere normativo. L'aggravante non sussiste se l'assunzione delle sostanze sopra elencate è stata spontanea da parte del soggetto passivo perché non è ascrivile al reo alcun rapporto causale. Quando l'uso delle sostanze elencate provoca uno stato d'incapacità d'intendere e di volere della vittima si realizza un concorso apparente di reati con la fattispecie di cui all'art. 613 c.p. che si ritiene venga assorbita da quella di cui all'art. 609-ter c.p. in virtù del disposto dell'art. 84 c.p. Non è escluso, invece, il concorso con i reati di lesioni personali e di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto. Per quanto riguarda i mezzi atipici l'individuazione è rimessa al giudice, il quale dovrà accertarsi che il citato mezzo sia equiparabile, quanto alla sua oggettiva gravità, agli altri indicati dalla norma. A tale esegesi si perviene attraverso la valutazione della parola altri che congiunge le modalità tassative con la clausola di chiusura. Dall'utilizzo di tale aggettivo indefinito si può dedurre che i mezzi tipici descritti dall'aggravante sono della stessa specie del più ampio genere descritto dalla formula altri strumenti o sostanze gravemente lesive della salute della persona offesa. Secondo la formulazione della norma la commissione del delitto deve avvenire con l'uso dei sopramenzionati strumenti. In merito ci si è interrogati se sia sufficiente che il reo abbia utilizzato il mezzo ai fini della realizzazione dell'aggravante o se sia necessario un quid pluris, ovvero che il giudice accerti le conseguenze del predetto utilizzo, cioè l'effettiva compromissione della libertà di autodeterminazione della vittima, causalmente connessa con lo strumento impiegato. La dottrina maggioritaria accoglie questo secondo orientamento perché nell'ipotesi in cui il mezzo impiegato dall'agente non ha influito sulla capacità di autodeterminazione dell'altro e sia stato consumato un atto sessuale si prospettano due alternative: o non c'è stata violenza sessuale, perché non c'è costrizione, per cui non è neanche possibile applicare l'aggravante oppure il reo, constatata la permanente capacità di autodeterminazione della vittima, ha dovuto ripiegare su altri mezzi costrittivi e di conseguenza appare difficile ipotizzare che la costrizione si sia esplicata mediante l'uso di mezzi non efficaci per agire sulla volontà della vittima.

Qualora ricorrano più ipotesi fra quelle elencate al n. 2 si ritiene ricorra una sola aggravante in base al principio secondo il quale diversamente si attribuirebbe un peso eccessivo all'aggravante.

Art. 609-ter, comma 1, n. 3, c.p.Aggrava la pena se il reato è commesso da persona che si travisa o che simula la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio (per queste sue caratteristiche, la figura di cui all'art. 609-ter, n. 3, c.p. è analoga all'ipotesi contenuta nell'art. 625, n. 5, c.p.).

In merito alla nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio si rinvia agli artt. 357 e 358 c.p. L'aggravante si applica per aver simulato le predette qualit, e non per il semplice possesso delle stesse.

La ratio della disposizione si rinviene nella posizione di difesa attenuata in cui si viene a trovare la vittima a causa del travisamento o della simulazione.

Si ha travisamento quando l'alterazione del viso, prodotto attraverso una maschera, il trucco, una parrucca, è idonea a rende il riconoscimento del soggetto impossibile o difficile.

La simulazione delle qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dovrà essere contestuale alla realizzazione del crimine in qualsiasi modalità venga realizzata (indossando la divisa, esibendo un tesserino, ecc.).

Questa circostanza sembrerebbe applicabile ai soli casi di violenza sessuale per costrizione e per induzione ai sensi dell'art. 609-bis, comma 2, n. 1, c.p. ma non all'ipotesi disciplinata al n. 2, in quanto quest'ultima presuppone la sostituzione fisica di persona, mentre l'aggravante un mero inganno sullo status dell'agente. In merito ai rapporti tra la circostanza e il reato di cui all'art. 494 c.p. si applica l'art. 84 c.p. D'altronde l'art. 494 c.p. contiene una clausola di sussidiarietà espressa che risulta circoscritta ai soli delitti contro la fede pubblica.

Art. 609-ter, comma 1, n. 5-quinques c.p. È stato introdotto dall'art. 1, comma 2, d.lgs. 39/2014 e sanziona il caso in cui il reato è realizzato da persona che fa parte di un'associazione per delinquere e al fine di agevolarne l'attività. La disposizione s'inserisce nell'ambito delle misure predisposte dalla direttiva 2011/93/Ue per contrastare l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile che si realizzano all'interno di un mercato minorile spesso gestito dalla criminalità organizzata. Nel caso di specie il legislatore non si è limitato a dare attuazione alla normativa europea, ma ne ha esteso l'ambito di applicazione rispetto all'art. 9 della direttiva 2011/93/Ue anche ad altre forme di abusi e sfruttamenti sessuali di vittime adulte da parte di associazioni criminali (ad es. nei rapporti tra organizzazioni criminali e donne costrette a prostituirsi spesso anche attraverso lo strumento di ripetute violenze sessuali). L'aggravante, infatti, non richiede la presenza della vittima minore.

Per quanto riguarda la nozione di associazione per delinquere si rinvia all'art. 416. Ai fini dell'applicazione dell'aggravante non è sufficiente l'appartenenza del reo ad una associazione per delinquere, ma è altresì necessario che l'associato abbia commesso violenza sessuale allo scopo di agevolarne l'attività. Il giudice, pertanto, dovrà accertare la sussistenza del dolo specifico ovvero stabilire se la condotta ex art. 609-bis c.p. sia stata posta in essere con l'obiettivo di agevolare l'associazione (ad es. si dovrà verificare se gli atti sessuali con i minori siano realizzati allo scopo di produrre materiale pedopornografico destinato ad essere messo in commercio dall'associazione a cui appartiene l'autore del reato o se la violenza sessuale perpetrata ai danni di una prostituta ridotta in schiavitù sia commessa per piegare la volontà della vittima o come mezzo di ritorsione contro i tentativi di denuncia delle proprie condizioni). Il fine di agevolare non deve consistere necessariamente nello scopo finale ed esclusivo perseguito dal reo, ma può essere anche un fine intermedio o concorrente (ad es. il caso del soggetto che violenta una donna per costringerla a prostituirsi a vantaggio dell'associazione criminale ma anche per ribadire il ruolo di capo nel sodalizio criminoso). Lo scopo eventualmente perseguito dall'agente deve avere dei riflessi anche sulle caratteristiche dell'illecito, che deve risultare concretamente idoneo ad agevolare l'attività dell'associazione, anche nell'ipotesi in cui il fine perseguito non sia effettivamente conseguito.

La circostanza non rientra in quelle ex art. 118 per cui si applica a tutti i concorrenti.

Art. 609-ter, comma 1, n. 5-sexies c.p.È stato aggiunto dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 39/2014 e prevede l'aggravamento di pena per chi commette il reato con violenze gravi o se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave. Anche questa disposizione rientra tra le misure predisposte dalla direttiva 2011/93/Ue per contrastare l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile. La ratio, quindi, è quella di offrite una tutela rafforzata quando la vittima è il minore.

La norma descrive due fattispecie alternative tra loro: l'aver commesso il reatocon violenze gravi oppure se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave. In merito alla prima ipotesi ci si è interrogati se faccia solo riferimento ad una vittima minore di età o se operi anche qualora il soggetto passivo abbia un'età pari o superiore ai diciotto anni. Al riguardo si è osservato che la medesima espressione contenuta all'art. 9 della direttiva 2011/93/Ue si riferiva esclusivamente al minore. Ciò, però, non costituisce un elemento preclusivo all'interpretazione secondo la quale il legislatore italiano potrebbe aver ritenuto opportuno estendere l'ambito di applicazione della norma anche ad altri soggetti.

In conclusione

La disciplina delle circostanze aggravanti speciali collegate alla realizzazione del delitto di violenza sessuale risulta complessa e articolata anche alla luce dei recenti interventi normativi operati. Si sviluppa secondo due direttrici: da un lato la necessità di fornire una tutela più accentuata alle vittime che si trovano in una condizione di maggiore vulnerabilità a causa, ed es., dell'età; dall'altro l'esigenza di sanzionare più gravemente quelle condotte che si caratterizzano per la particolare l'insidiosità perché evidenziano un più intenso disvalore.

Ai fini del calcolo della pena la qualificazione delle circostanze del primo comma come ad effetto comune comporta che si possono profilare le seguenti ipotesi:

  • se concorrono tra di loro due o più circostanze del primo comma dell'art. 609-ter si applica l'art. 63, commi 1 e 2, c.p. per cui il giudice prima fissa la pena base tenendo conto dei limiti edittali stabiliti dall'art. 609-bis c.p. (reclusione da cinque a dieci anni) e, successivamente, applica un aumento fisso di un quinto per ogni circostanza concretamente integrata;
  • se concorrono tra di loro due o più circostanze del primo comma dell'art. 609-ter e una o più aggravanti comuni e ad efficacia comune ex art. 61 c.p. il giudice dovrà operare un cumulo materiale dei vari aumenti di pena. Dopo aver individuato la pena base nell'ambito dei limiti edittali imposti dall'art. 609-bis c.p. dovrà procedere ad un aumento fisso di un quinto per ogni circostanza speciale ex art. 609 ter e di un ulteriore aumento fino ad un terzo per quelle comuni ex art. 61;
  • se concorrono una o più circostanze del primo comma con quella del secondo comma dell'art. 609-ter c.p. si applica l'art. 63, comma 3, per cui il giudice individuerà la pena base all'interno dei limiti edittali prescritti dall'aggravante ad effetto speciale ex art. 609-ter, comma 2, c.p. e poi opererà tanti aumenti nella misura fissa di un quinto tante quante sono le circostanze ex art. 609-ter, comma 1, c.p. realizzate.

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