Apologia dell'Isis via Facebook e custodia cautelare in carcere

14 Settembre 2016

In relazione a un soggetto accusato del reato di cui all'art. 414 c.p. aggravato dalla finalità di terrorismo per condotte commesse a mezzo internet non può trovare applicazione la favorevole prognosi sulla pena ai fini della disciplina di favore di cui all'art. 275, comma 2-bis, c.p.p.
Massima

In relazione a un soggetto accusato del reato di cui all'art. 414 c.p. aggravato dalla finalità di terrorismo per condotte commesse a mezzo internet non può trovare applicazione la favorevole prognosi sulla pena ai fini della disciplina di favore di cui all'art. 275, comma 2-bis, c.p.p.

Il caso

Nel mese di dicembre del 2015 il pubblico ministero della procura della Repubblica di Palermo chiedeva al locale Gip, contestualmente alla convalida del fermo, la misura cautelare in carcere nei confronti di S.K.A. una cittadina libica ricercatrice universitaria residente a Palermo.

La stessa risultava indagata per il reato di cui all'art. 414 e 270-sexies c.p. ed all'art. 4 legge 146/2006 per aver pubblicamente istigato a commettere più delitti in materia di terrorismo di matrice islamica ed in particolare rientranti nella fattispecie delittuose di cui all'art. 270-bis e seguenti c.p. e per avere pubblicamente fatto apologia di più delitti della medesima specie.

In particolare, secondo l'accusa, tali condotte venivano realizzate con mezzi informatici o telematici attraverso cui la S.K.A. con il social network Facebook condivideva, sul proprio profilo, materiale propagandistico delle attività svolte da gruppi islamici di natura terroristica sia di tipo documentale che video-fotografico (scene di guerra, discorsi propagandistici) e, nella specie, manteneva contatti con le pagine Facebook “Rivoluzionari contro Abib Haftar”, “Giovani di Bengasi”, “Battaglione dei martiri della Libia libera”, “Siamo quelli del volto coperto”, “Dallo 01 a tutte le unità”, “Insieme per far tornare i ribelli per proteggere Bengasi”- materiale in precedenza scaricato dal sito web “just paste” creato per la condivisione e la raccolta di materiale jihadista) nonché condividendo detto materiale e mantenendo i contatti con foreign fighters ritornati in Europa dopo aver combattuto nei conflitti in Libia e in Siria.

Tulle le condotte contestate secondo la pubblica accusa sarebbero connotate dalla finalità del terrorismo nonché aggravate dalla natura transnazionale del crimine perché connesse ad un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato.

Il Gip di Palermo non convalidava il fermo richiesto in quanto riteneva non ravvisabile il pericolo di fuga dell'indagata, con riferimento, invece, alla richiesta della misura cautelare in carcere, applicava nei confronti dell'indagata la misura meno afflittiva dell'obbligo di dimora nel territorio del Comune di residenza con adeguate prescrizioni atte a limitare i movimenti.

Nell'ordinanza citata il Gip, con i limiti della fase cautelare, riteneva integrato le condotte tipiche dei reati di istigazione a delinquere e di apologia di reato aggravati dalla finalità di terrorismo.

Avverso la suddetta ordinanza il P.M. proponeva appello ex art. 310 c.p.p. per errata interpretazione delle norme giuridiche relative alla valutazione degli elementi di prova raccolti e per illogicità e contraddittorietà del percorso argomentativo seguito, chiedendo la misura cautelare in carcere nei confronti dell'indagata.

Il tribunale del riesame di Palermo accoglieva l'appello del P.M. ritenendo il pericolo di fuga concreto ed attuale.

La difesa dell'indagata ricorreva per cassazione avverso l'ordinanza del tribunale di libertà di Palermo con due motivi di impugnazione, nel primo denunciava il vizio della motivazione in ordine all'applicabilità dell'art. 275, comma 2-bis, c.p.p.; nello specifico, la difesa della ricorrente richiamava la motivazione dell'ordinanza del Gip che riteneva sproporzionata l'entità del fatto alla misura cautelare in carcere nonché rispetto alla pena detentiva irrogabile all'esito del giudizio, la quale prevedibilmente, avuto riguardo anche all'incensuratezza dell'indagata e nell'ottica di cui all'art. 275, comma 2-bis, c.p.p. non doveva essere superiore ai tre anni di reclusione.

Nel secondo motivo la difesa dell'indagata denunciava la violazione di legge in relazione alla mancanza del pericolo di fuga e dell'inquinamento probatorio.

La questione

Nei casi di apologia dell'Is mediante la diffusione via Facebook la misura cautelare in carcere è l'unica idonea ad evitare il pericolo di reiterazione del reato?

Le soluzioni giuridiche

Si premette che nel ricorso per cassazione, come evidenziato dagli stessi giudici nella motivazione della sentenza, la difesa dell'indagata non ha contestato il quadro probatorio accusatorio, limitandosi alla critica di alcune letture dei testi intercettati ma, essendo valutazioni di merito, sono improponibili innanzi al giudice di legittimità.

La Cassazione con riferimento al primo motivo di ricorso ha ritenuto che la favorevole prognosi indicata dalla difesa non appare condivisibile, in quanto la condotta contestata all'indagata, a seguito dell'aumento di pena previsto dell'ultimo comma dell'art. 414 c.p., è punibile da un anno e otto mesi ad otto anni a tre mesi di reclusione (se l'istigazione o l'apologia riguarda delitti di terrorismo, la pena è aumentata della metà e se il fatto è commesso con mezzi informatici o telematici la pena è aumentata fino a due terzi).

Pertanto, nel caso in esame il comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p. non può trovare applicazione in quanto in caso di condanna la pena da irrogare sarebbe in ogni caso superiore a tre anni.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso in ordine alla ricorrenza delle esigenze cautelari, la Cassazione ha avallato la posizione assunta dall'ordinanza del riesame dei giudici di Palermo affermando che: Al riguardo infatti il Tribunale ha richiamato il pericolo di reiterazione di condotte analoghe a quelle per cui è causa richiamando la perizia e la dimestichezza informatica dimostrata dall'indagata, personalmente colpita negli affetti familiari per la perdita di un caro familiare in uno scontro armato, nelle vicende politiche del suo paese e con esso la possibilità concreta di una sua partecipazione attiva alle dinamiche proprie del conflitto in atto in Libia tra fazioni contrapposte, quella governativa e quella militarmente ad essa contrapposta.

La Corte di cassazione ha, pertanto, rigettato il ricorso della difesa dell'indagata condividendo l'ordinanza del tribunale del riesame di Palermo che sosteneva che l'indagata sebbene risponda di un reato di opinione, ha mostrato di sposare la causa del terrore con tale abnegazione da indurre, in chi esamina la sua condotta, il sereno convincimento che costei possa, se richiesta, andare ben al di là del sostegno ideologico, apologia di reato, fino ad offrire ben più incisivo contributo concreto alle esigenze anche solo logistiche di soggetti che abbiamo come scopo finalità di commettere delitti di terrorismo.

Sicché, in definitiva la Corte di cassazione, condividendo l'ordinanza del tribunale delle libertà ha ritenuto la misura cautelare in carcere l'unica applicabile al fine di soddisfare l'esigenze cautelari.

Osservazioni

La strategia della tensione dello Stato Islamico (Is o Isis) parte dal web ed è proprio attraverso internet che il fenomeno Jihadista ha assunto una pericolosa evoluzione, quello che oggi più preoccupa è il fenomeno dei c.d. lupi solitari ossia di soggetti convertiti a titolo individuale alla causa fondamentalista.

È stato già detto (BELARDELLI) che nel terrorismo islamico si ritrova una delle caratteristiche dei sistemi totalitari del ‘900 (nazismo e comunismo): l'idea di un nemico oggettivo, cioè di una categoria di persone individuata e colpita (fino alla morte) non per ciò che fa ma per ciò che è.

Dopo l'attentato alla redazione del giornale parigino Charlie Hebdo del gennaio del 2015 il Legislatore italiano è intervenuto con il d.l. 18 febbraio 2015 n.7 convertito con la legge 43/2015 che ha potenziato i meccanismi di contrasto al terrorismo internazionale.

Nella legge sopra citata sono state modificate le norme in materia di misure di prevenzione personali e di espulsioni dello straniero per motivi di prevenzione al terrorismo mentre il diritto penale si è arricchito di fattispecie a vocazione fortemente preventiva.

È evidente però che lo strumento penale non può da solo distruggere il terrorismo di matrice islamica non può essere trasformato da spada di giustizia ragionevole, rispettosa delle garanzie del singolo, in macchina belligerante, la quale potrebbe finire verso soglie anticipate di tutela, fino a comprimere anche le libertà dei cittadini senza che, invero, gli Stati siano stati in grado, attraverso gli altri strumenti, soprattutto di prevenzione di assicurare un miglior standard di sicurezza (APRILE, 228).

Guida all'approfondimento

BELARDELLI, L'estremismo dell'Isis è totalitarismo religioso, in Corriere della Sera 5 agosto 2016;

APRILE, Dei Delitti contro la personalità dello Stato, in Codice Penale - Rassegna di Giurisprudenza e dottrina - Aggiornamento 2015- Giuffrè Editore;

VIGANÒ, Minaccia dei “lupi solitari e risposta dell'ordinamento, in Il Nuovo Pacchetto Antiterrorismo, a cura di Kostoris e Viganò, Torino, 2015.

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