Il principio delle Sezioni unite Dasgupta non vale per il rito abbreviato non condizionato

Redazione Scientifica
14 Ottobre 2016

Nel rito abbreviato non condizionato la condanna in secondo grado che riforma l'assoluzione pronunciata nel primo grado non presuppone un obbligo di rinnovazione istruttoria, salvo il potere del giudice d'appello di incrementare il compendio probatorio, qualora lo reputi necessario nel caso concreto.

Nel rito abbreviato non condizionato la condanna in secondo grado che riforma l'assoluzione pronunciata nel primo grado non presuppone un obbligo di rinnovazione istruttoria, salvo il potere del giudice d'appello di incrementare il compendio probatorio, qualora lo reputi necessario nel caso concreto.

La Cassazione penale, con sentenza n. 43242, depositata il 13 ottobre 2016 ha così “integrato” quanto deciso dalla recente pronuncia delle Sezioni unite n. 27620/2016 (vedi MAGI, Le Sezioni unite aprono la strada alle conformazioni d'ufficio del vizio di motivazione) con la quale era stato affermato il principio per cui è affetta da vizio motivazionale ex articolo 606, comma 1, lett. e) c.p.p., per mancato rispetto del canone del giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio ex art. 533, comma 1, c.p.p. la sentenza d'appello che, a seguito d'impugnazione del P.M., riformi in peius una sentenza assolutoria operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non ha disposto rinnovazione ex art. 603, comma 3, c.p.p., e, pertanto, in caso di ricorso ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., il giudice di legittimità, se la impugnazione non è inammissibile, deve annullare la sentenza con rinvio e lo stesso vale anche in caso di riforma su appello della parte civile.

Nella parte motiva della decisioni le Sezioni unite rilevavano incidentalmente che tale principio deve applicarsi anche nel caso di impugnazione del pubblico ministero contro pronuncia di assoluzione emessa nell'ambito del giudizio abbreviato, ove questa sia basata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive dal primo giudice e il cui valore sia posto in discussione dall'organo dell'accusa impugnante.

Trattandosi però di un obiter dictum e quindi non vincolante, con la sentenza citata la terza sezione penale propone una diversa lettura per l'ipotesi in cui si sia proceduto con rito abbreviato non condizionato.

Nel rito abbreviato non condizionato, così come nel patteggiamento, spiega la Sezione III, l'imputato, a fronte di un consistente sconto sanzionatorio, rinuncia a che il giudice assuma prove, rinuncia quindi all'oralità della formazione della prova rispetto all'organo giudicante, così circoscrivendo il contradditorio alla fase antecedente al giudizio e quindi alla misura in cui essa vi si dispiega. L'accertamento è pertanto fortemente relativizzato sotto il profilo del contradditorio ed è comunque cartolare. Il giudice perviene, dunque, alla decisione senza avere una percezione diretta della prove dichiarative e senza che il contradditorio nella pregressa acquisizione delle fonti di conoscenza sia equiparabile a quello proprio del giudizio dibattimentale. A fronte di tali considerazione, risulterebbe quindi non ragionevole porre in capo al giudice d'appello l'obbligo di ricondurre ai propri canoni di un giudizio dibattimentale il rito speciale in questione: sarebbe infatti illogico obbligare il giudice d'appello ad un contatto diretto con la fonte della prova dichiarativa che il giudice di primo grado non ha avuto e non ha avuto per espressa scelta dello stesso imputato.

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