La valutazione della “minore gravità” nei reati di violenza sessuale

14 Dicembre 2015

Ai fini della configurabilità della diminuente ex art. 609-bis, ultimo comma, c.p., deve farsi riferimento ad una valutazione globale della vicenda, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave e che il danno arrecato alla stessa, anche in termini psichici, sia stato significativamente contenuto.
Massima

Per giurisprudenza costante, ai fini della configurabilità della diminuente ex art. 609-bis, ultimo comma, c.p., deve farsi riferimento ad una valutazione globale della vicenda, nella quale assumano rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave e che il danno arrecato alla stessa, anche in termini psichici, sia stato significativamente contenuto (così: Cass. pen., Sez. III, 15 aprile 2015, n. 21623; Cass. pen.,Sez. III, 14 aprile 2014, n. 23913; Cass. pen., Sez. III, 10 dicembre 2013, n. 6623).

Il caso

Il 21 maggio 2013, il tribunale di Trapani emetteva pronuncia di condanna a carico dell'imputato ritenendolo colpevole dei reati ascritti di cui agli artt. 81 cpv, 609-bis commi 1 e 2, n. 1, c.p. per aver indotto la cognata, affetta da epilessia parziale in soggetto con elettroencefalografia bioelettrica alterata in sede fronto-temporale bilateralmente ed insufficienza mentale grave con deficit cognitivo, a subire atti sessuali e per questo lo condannava alla pena di sei anni di reclusione.

Il 5 dicembre 2014, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza di primo grado e la relativa condanna.

L'imputato, personalmente, proponeva ricorso per Cassazione deducendo quattro motivi:

  • erronea applicazione della legge penale in merito alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa;
  • erronea valutazione della legge penale riguardo la valutazione degli elaborati peritali;
  • errata qualificazione dell'art. 609-bis, ultimo comma, c.p. e mancata concessione della diminuente speciale;
  • erronea applicazione degli artt. 62-bis e 133 c.p. per eccessività della pena.

La Corte di cassazione riforma la sentenza impugnata solo relativamente al punto relativo all'applicazione della diminuente speciale, ritenendo assorbito anche il motivo sull'eccessività della pena.

La questione

La normativa in tema di reati sessuali è stata modificata dalla l. 66 del 15 febbraio 1996 con la quale si è proceduto a riunificare, sotto un medesimo titolo di reato, la violenza carnale e gli atti di libidine violenti (artt. 519 e 521 c.p.) e si è focalizzata l'attenzione sul concetto di atto sessuale, inteso come qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo fra soggetto attivo e soggetto passivo, ancorché fugace ed estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest'ultimo, sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale (Cass. pen., Sez. III, 25 gennaio 2006, n. 4878).

È opportuno precisare che sulla questione riguardante i casi di quella previsione normativa che, ante riforma del 1996, venivano indicati come di lieve entità, il 18 luglio del 1995 si pronunciò la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati: essa fornì il suggerimento al legislatore a predefinire in maniera più puntuale i criteri di giudizio in base ai quali valutare i casi di lieve entità del fatto, relativi alla normativa in tema di violenza sessuale antecedenti alla legge del 1996.

In effetti, nei lavori preparatori alla sua redazione, il legislatore sottolineava come tale circostanza dovesse essere individuata non tanto sul tipo di atto compiuto bensì sull'intensità dell'abuso, come misura della violenza esercitata sulla vittima e degli effetti psicologi derivanti.

Con la riforma dei reati sessuali, così, si ottenne la sostituzione della formula lieve entità con l'altra che fa riferimento ai casi di minore gravità, come indicato all'ultimo comma dell'art. 609-bis c.p., inserito con la legge del 15 febbraio 1996, n. 66: tale fattispecie deve ritenersi quale circostanza speciale ad effetto speciale ed indefinita.

Deve evidenziarsi, però, che tale previsione normativa ha suscitato alcune perplessità in dottrina.

Una questione cruciale da risolvere riguardò la natura giuridica da attribuire ai casi di minore gravità: due erano le teorie che si fronteggiavano in campo. Per alcuni Autori, infatti, l'ultimo comma dell'art. 609-bis c.p. rappresentava una mera circostanza attenuante idonea ad avere un'incidenza solo quod poenam; per altri, invece, la locuzione doveva essere elevata a rango di titolo autonomo di reato in grado in quanto tale di colmare l'horror vacui delle violenze di bassa lega.

Se dal punto di vista ontologico, infatti, non esiste una differenza tra circostanze ed elementi costitutivi del reato, dal punto di vista della disciplina, sia sostanziale che processuale, invece, la differenza c'è, ed è notevolissima: le circostanze sono soggette al giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 c.p.; il regime d'imputazione delle circostanze, stabilito dall'art. 59, commi 1 e 2 (tendenziale necessità almeno della colpa, se si tratta di aggravanti; tendenziale sufficienza della loro oggettiva presenza, se si tratta di attenuanti), è diverso da quello, risultante dall'art. 42, comma 2, c.p. degli elementi costitutivi (per i quali è di regola necessario il dolo, salva espressa previsione della colpa); le circostanze, a differenza degli elementi costitutivi, non incidono sul tempus e sul locus commissi delicti, sicché la qualificazione di un elemento come circostanziale anziché come costitutivo comporta importanti ricadute, sulla individuazione del momento consumativo del reato e sulla determinazione del giudice competente per territorio ai sensi dell'art. 8 c.p.p.

Prevalse, quindi, alla fine, la tesi che attribuiva all'art. 609-bis, ultimo comma,c.p. valenza di circostanza attenuante, quanto meno in ragione di un rapporto di continuità di beni interessi giuridici tutelati nei quali viene in rilevo solo un diverso grado di aggressione.

La natura di circostanza attenuante è stata, in effetti, pacificamente riconosciuta anche in giurisprudenza (Cass. pen., Sez. III, 5 febbraio 2009, n. 10085), secondo cui essa deve valutarsi nei suoi criteri oggettivi (in tal senso: Cass. pen., Sez. III, 28 ottobre 2003, n. 47730; Cass. pen., Sez. III, 7 novembre 2006, n. 5002; Cass. pen., Sez. III, 6 dicembre 2006, n. 40174; Cass. pen., Sez. III, 10 dicembre 2013, n. 6623; Cass. pen., Sez III, 14 maggio 2014, n. 23913; Cass. pen., Sez, III, 15 aprile 2015 n 21623).

Tuttavia, le questioni affrontate in dottrina non si esaurirono.

Venne infatti evidenziato come tale norma, anzitutto, avesse l'intento di consentire diminuzioni di pena nei casi più lievi in cui la pena, stabilita negli altri commi, poteva risultare eccessiva. Tuttavia, così operando, il legislatore delegava al giudice il compito di mitigare e rendere più eque, nel caso concreto, delle sanzioni molto rigorose.

In ogni caso, si giunse a chiarire che la valutazione relativa alla maggiore o minore gravità della violenza dovesse essere posta sulla base dei seguenti elementi oggettivi:

  • valutazione del disvalore della condotta criminale, desunto dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione;
  • gravità del danno criminale o del pericolo cagionato alla persona offesa;
  • l'intensità del dolo o il grado della colpa; senza alcun obbligo, invece, di prendere in considerazione specificamente anche gli indici della capacità a delinquere, i quali potranno essere valutati solo ai fini della commisurazione finale della pena ( Cass. pen., Sez. IV, 8 giugno 2007, n. 22520).

La Corte di cassazione, nella sentenza oggetto di commento, ha ritenuto che la Corte di appello di Palermo non abbia ben utilizzato i principi sopra indicati, pur avendoli richiamati; infatti, si legge nella sentenza in commento che la diminuente è stata negata in ragione di un danno non patrimoniale cagionato alla vittima da un soggetto che era anche figura di riferimento nel nucleo familiare, per lungo tempo e che, in conseguenza di siffatta condotta, ha anche cagionato conseguenze gravemente destabilizzanti nei suoi rapporti familiari e, conclude la Corte di cassazione, che tale affermazione della Corte territoriale è da ritenersi per un verso apodittica, per altro verso irrilevante nell'ottica in oggetto, perché attinente ad un profilo – i rapporti intersoggettivi tra familiari – del tutto estraneo, in sé, alla valutazione che deve presiedere l'esame della diminuente, secondo i parametri sopra richiamati. La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio, affinché la Corte di Appello valuti, alla luce dei principi di cui sopra, la configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 609 bis, ultimo comma, c.p..

La Corte di aassazione, inoltre, allargando la valutazione della diminuente anche all'aspetto edittale chiarisce che con la fattispecie della minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi e che la ratio che sostiene tale mitigazione sanzionatoria trae origine dall'unificazione, compiuta dalla l. 15 febbario 1996 n. 66, dei concetti di violenza carnale e di atti di libidine violenti nella comune figura di atti sessuali per i quali, però, appariva evidente distinguere in maniera adeguata per quei fatti che, pur potendo essere ricondotti alla nuova ed unica fattispecie di reato, risultassero offensivi della libertà sessuale in modo non particolarmente grave.

Le soluzioni giuridiche

È stato conclusivamente ribadito il seguente principio di interpretazione sistemica:

Ai fini della configurabilità della diminuente ex art. 609 bis, ultimo comma c.p., deve farsi riferimento ad una valutazione globale della vicenda, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave e che il danno arrecato alla stessa, anche in termini psichici, sia stato significativamente contenuto.

Osservazioni

Da un punto di vista squisitamente processuale, di recente è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, per contrarietà agli artt. 3 e 25 Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3, c.p., sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p. (Corte cost. 106/2014).

Nel ritenere fondata la censura relativa al principio di proporzionalità della pena (art. 27,comma 3,Cost.), i giudici costituzionali hanno ricordato come l'introduzione dell'unitaria nozione di atto sessuale ha fatto sorgere l'esigenza di introdurre una circostanza attenuante per i casi di minore gravità e che, quindi, il divieto di soccombenza della recidiva reiterata rispetto all'attenuante dell'art. 609-bis, comma 3, c.p., impedisce il necessario adeguamento, che dovrebbe avvenire appunto attraverso l'applicazione della pena stabilita dal legislatore per il caso di minore gravità.

L'art. 69, comma 4, c.p., nel precludere la prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata, realizza una deroga rispetto a un principio generale che governa la complessa attività commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall'art. 27, comma 3, Cost., diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell'applicazione delle circostanze (sentenze n. 251 del 2012 e n. 183 del 2011).

Infine, la Corte Costituzionale ha ritenuto fondata anche la censura relativa al principio di uguaglianza motivando la propria decisone sulla base che anche fatti di minima entità venivano, per effetto del divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, ad essere irragionevolmente sanzionati con la stessa pena, prevista dal comma 1 dell'art. 609-bis c.p., per le ipotesi di violenza più gravi.

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