L'apologia dello Stato islamico commessa tramite internet è reato

14 Dicembre 2015

Commette il delitto di cui all'art. 414, comma 3, c.p. il soggetto che faccia propaganda dello Stato islamico.L'apologia di reato di cui all'art. 414 c.p. può avere ad oggetto il delitto di associazione di terrorismo anche internazionale di cui all'art.270-bis c.p., quale è da considerarsi lo Stato islamico.
Massima

Commette il delitto di cui all'art. 414, comma 3, c.p. il soggetto che faccia propaganda dello Stato islamico.

L'apologia di reato di cui all'art. 414 c.p. può avere ad oggetto il delitto di associazione di terrorismo anche internazionale di cui all'art.270-bis c.p., quale è da considerarsi lo Stato islamico.

Sussiste la giurisdizione penale italiana se la condotta di apologia è commessa sul territorio italiano, anche se lo Stato islamico occupa territori situati solo all'estero, anche in considerazione della circostanza che alcuni concorrenti di tale associazione terroristica operano in Italia.

Sussiste l'elemento della pubblicità della condotta di apologia ove la stessa sia avvenuta tramite siti internet accessibili a tutti.

Il caso

Con la sentenza in esame la suprema Corte è intervenuta sul caso di un soggetto di origini arabe ma residente in Italia che tramite sito internet aveva pubblicato documentazione inneggiante allo Stato islamico (in lingua italiana esaltava non singoli atti ma lo Stato Islamico in quanto tale, inneggiava all'estensione dello Stato Islamico tendenzialmente in tutto il mondo, anche con l'uso delle armi, citava personaggi noti come terroristi e indicava link a siti internet facente capo all'Isis), ravvisando ipotesi di reato in tale condotta.

La questione

Le principali questioni affrontate nella sentenza in esame riguardano:

  • l'individuazione dei limiti fra libera manifestazione del pensiero ed apologia di reato;
  • la possibilità che il reato oggetto di apologia sia quello di cui all'art. 270-bis c.p.;
  • la sussistenza della giurisdizione penale italiana, dato l'insediamento dello Stato islamico su territorio straniero
Le soluzioni giuridiche

L'apologia di reato, come noto, è sanzionata, come l'istigazione a commettere reati, dall'art. 414 c.p., norma che è stata di recente modificata proprio a seguito dell'allarme generato da recenti fatti di terrorismo internazionale.

La sentenza, in merito alla prima questione, conferma l'orientamento giurisprudenziale, pacifico fin da quando la Corte costituzionale ha affrontato la relativa questione di legittimità costituzionale con sentenza 65 del 4 maggio 1970, secondo la quale, ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'articolo 414, comma 3, c.p., non basta l'esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, per quanto odioso e riprovevole esso possa apparire alla generalità delle persone dotate di sensibilità umana, ma occorre che il comportamento dell'agente sia tale per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell'autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, da determinare il rischio, non teorico, ma effettivo, della consumazione di altri reati e, specificamente, di reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal crimine esaltato (si veda ad esempio Cass. pen., Sez. I, 5 maggio 1999n. 8779 (dep. 8 luglio 1999).

La seconda questione, risolta in senso positivo dalla Corte di cassazione, si fonda sul presupposto che oggetto di apologia possa essere qualunque reato ed in particolare anche qualunque reato associativo.

Puntualizza la Corte, negando la tesi difensiva che lo Stato islamico sia un vero Stato, che si è di fronte ad una mera associazione terroristica, anche se la stessa ha militarmente occupato dei territori. Sul punto ci si richiama alla circostanza che le Autorità internazionali negano all'Isis il riconoscimento come Stato e lo considerano all'opposto come associazione terroristica ed alla circostanza che tali statuizioni prese in sede internazionale sono vincolanti per il giudice italiano. Si tratta in effetti di principi del tutto pacifici nel diritto internazionale pubblico.

La Corte di Cassazione afferma la sussistenza della giurisdizione italiana con un doppio argomento: in primo luogo perché l'attività dell'indagato è stata posta in essere sul territorio italiano; in secondo luogo perché singoli aderenti o cellule dell'Isis operano anche in Italia, come risulta da precedenti sentenze di condanna e dalla conoscenza comune.

Questo ragionamento appare interessante, perché si fonda sulla conoscenza da parte del giudice di un fatto notorio (Le massime di esperienza sono generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma autonome e sono tratte, con procedimento induttivo, dall'esperienza comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione, in quanto non si risolvono in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze o parametri riconosciuti e non controversi, così da ultimo Cass. pen., Sez. II, 6 dicembre 2013-30 dicembre 2013 n. 51818).

Per altro verso occorre ricordarsi come il legislatore abbia già fatto riferimento espresso alla punibilità degli aderenti ad associazioni a delinquere anche straniere, modificando il testo dell'art. 416-bis c.p. nel 2008.

Un ultimo punto affrontato dai giudici di legittimità attiene al fatto che l'art. 414 c.p. sanziona l'apologia di reato solo se compiuta pubblicamente.

Occore ricordare che a seguito del d.l. 18 febbraio 2015, convertito in l. 17 aprile 2015 n.43, sia stato espressamente previsto che l'apologia di reato (anche di delitti di terrorismo) sia aggravata se commessa attraverso strumenti informatici o telematici, il che consentirebbe comunque di risolvere la questione.

La Corte preferisce però seguire altro ragionamento. Si parte dall'indicazione che la definizione di istigazione compiuta pubblicamente si trova nell'art. 266, comma 4, c.p., laddove si dice che è tale – fra le varie ipotesi – quella commessa con il mezzo della stampa o con altro mezzo di propaganda.

Si richiama poi la recente giurisprudenza in tema di testate giornalistiche informatiche (In tema di sequestro di giornali e di altre pubblicazioni, la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di "stampa" di cui all'art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, in quanto si tratta di prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario; in tale ambito, non rientrano i nuovi mezzi di manifestazione del pensiero destinati ad essere trasmessi in via telematica quali forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list e social network, che, pur essendo espressione del diritto di manifestazione del pensiero, non possono godere delle garanzie costituzionali relative al sequestro della stampa, così Cass. pen., Sez. un, 29 gennaio 2015-17 luglio 2015 n. 31022) e su questi presupposti si conclude che l'inserimento di un documento su un sito internet accessibile a chiunque è espressione della volontà di diffonderlo ad una pluralità indefinita di persone, e dunque sussiste il requisito della pubblicità della apologia di reato.

Osservazioni

I principi enunciati nella sentenza in esame appaiono del tutto condivisibili e costituiscono, pur nella novità della questione in esame, il logico sviluppo della giurisprudenza finora formatasi su questioni analoghe a quella in oggetto.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.